Il ruolo della sanità per uno sviluppo sostenibile

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Il ruolo della sanità per uno sviluppo sostenibile

È giunto il tempo di capire che siamo alla fine di un periodo storico caratterizzato da un modello socioculturale fallito nei fatti. La crisi che ne consegue è di carattere antropologico, sebbene ancora descritta come economica, ma di fatto è finanziaria.

Fine del gold exchange standard

Il modello socioculturale che ha determinato il caos del nostro tempo ha radici antiche nella storia nel campo della speculazione. Ha avuto la sua progressiva formazione nel secondo dopoguerra e più precisamente dopo la fine nel 1971 del sistema dei cambi denominato gold exchange standard. Esso vincolava la stampa della carta moneta all’oro: era possibile stampare 36 dollari per ogni oncia di oro. Tutti i grafici che evidenziano la disuguaglianza e il capitale sociale nel secolo scorso negli USA mostrano la coincidenza del più basso tasso di disuguaglianza e del più alto di intensità di relazionalità sociale, capitale sociale, esattamente nel medesimo momento storico coincidente col 1971.

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La separazione tra il vincolo aureo e la moneta ha innescato la rivoluzione finanziaria che ha contribuito a generare il caos odierno. Il modello di sviluppo del liberismo finanziario privo di controllo ha reso l’economia suddita della finanza. Contro ogni logica ha trasformato il DNA dell’economia, che è una scienza sociale. In chimica, in fisica e in matematica quello che conta è ciò che è misurabile, mentre in economia gran parte dei fatti non sono misurabili. Seguendo l’abito mentale di chi studia le scienze esatte e riducendo l’analisi solo sui fatti misurabili che sono la minima parte, abbiamo limitato le analisi dei marcati solo a una limitata parte di fatti (peraltro non tutti importanti). Lo stesso Einstein ricordava che non tutto ciò che è misurabile conta e ciò che non è misurabile spesso conta.

La rivoluzione finanziaria ha avuto un effetto devastante sugli equilibri sociali e sui modelli di consumo orientati a un consumismo fine a sé stesso. Si è di fatto “economicizzato” l’uomo, rendendolo un mezzo e non più un fine. L’economia da mezzo è divenuta fine. Non si guadagna per vivere ma si vive per guadagnare. L’economia così ha un fine interno, che è la sua rapida moltiplicazione, mentre prima aveva un fine esterno coincidente col bene della società. Il modello socioculturale del liberismo finanziario non controllato è centrato sulla massimizzazione del risultato individuale, a costo di porre in essere comportamenti fraudolenti tali da cancellare il settimo comandamento “Non rubare”.

Il modello del liberismo finanziario

Il modello del liberismo finanziario è un modello non sostenibile, perché ha creato povertà, disuguaglianza, conflittualità relazionale, immoralità, disoccupazione e un profondo disagio sociale, che vediamo drammaticamente ogni giorno. Il modello che si forma negli infiniti giochi di una finanza priva di fondamento scientifico diventa non sostenibile per gli effetti negativi a cascata che crea. È il momento di prendere coscienza della tragedia culturale per proporre invece un modello di sviluppo sostenibile orientato a riportare l’uomo al centro del nostro interesse e l’economia a mezzo e non è più a fine. Ripartendo da una società equa e solidale, trova nella sanità il percorso virtuoso in cui il dolore incontra un aiuto e la solidarietà condivisa diventa un importante esempio di vita, Così si potrà ricostruire il capitale sociale da cui bisogna ripartire e dare all’uomo come persona la dignità che merita.

In questo senso la salute può essere considerata un bene comune e come tale va salvaguardata. La salute non è soltanto un bene essenziale per la nostra vita in senso biologico, ma è un bene essenziale in senso sociale, essendo fondamento della dignità umana e principio di una vita degna di essere vissuta per tutta la collettività. Va superata la dicotomia tra economia e salute, che porta alla competizione e non spinge alla collaborazione nel senso di operare per la società. Parliamo di quella societas che in latino significa alleanza.

Puntare sull’essenzialità della persona è dunque un modo di intendere il mercato come volano di cambiamento, per riportare il senso di solidarietà sociale e ridurre il ruolo del mercato come despota finanziario. La salute non è un bene privato: noi dobbiamo cooperare e non competere, dobbiamo stare globalmente bene per stare localmente bene. La salute è un bene comune: è interdipendente nell’interesse collettivo e per renderla tale è necessaria la collaborazione .

Salute e malattia nella storia

La salute e la malattia da sempre sono al centro del pensiero non soltanto cristiano. Già per gli antichi greci il malato e il ruolo del medico erano disciplinati dal giuramento di Ippocrate. Poi per lungo tempo la questione fu disciplinata dalla pietas e poi ancora di più con l’avvento del Cristianesimo. Ma solo con le dichiarazioni universali dei diritti si comincia a prendere coscienza formale della libertà, dell’unicità dell’uomo, della sua dignità e del suo diritto alla felicità, come emerge nella dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America.

È solo nel secondo dopoguerra che dopo il dolore – come sempre – l’uomo arriva alla saggezza. Sia nella Costituzione italiana all’articolo 32, sia nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo all’articolo 25, come anche nella Dichiarazione Europea, si affermano il diritto alla salute, all’assistenza e alle cure mediche. Tutto ciò rappresenta un cardine su cui pensare di costruire un modello di sviluppo sostenibile, che idealmente potrebbe essere fatto coincidere con l’evidente applicazione dei diritti fondamentali dell’uomo, redatti nel 1948 in occasione della creazione dell’ONU. Ma il modello del liberismo finanziario e della tecnica ha cancellato quei diritti, a conferma del fallimento di un modello socioculturale che non rispetta i diritti fondamentali dell’uomo con una sistematica violazione della società. Riproporre quei diritti alla relazionalità tramite il ruolo fondamentale della sanità è la sfida che abbiamo davanti per un modello di sviluppo sostenibile.

La sostenibilità: un ritorno verso la saggezza

La parola sostenibilità, come l’aggettivo sostenibile, hanno una comune etimologia derivante dal latino sustinere, composta da sub cioè sotto, e tenere, così da significare un controllo che afferma la possibilità che un oggetto, una persona o un pensiero possano essere attuati in un equilibrio tra causa ed effetto in un orizzonte di lungo periodo. Il termine è spesso stato usato nell’ambito della natura e del suo sfruttamento, ma oggi, in presenza di un modello socioculturale fallito, il tema della sostenibilità va declinato in sostenibilità naturale, sociale ed economica.

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Tutte e tre le visioni sono collegate fra di loro sulla centralità dell’uomo e vanno chiarite per evitare una confusione nell’uso delle parole. Il modello ideale di riferimento di uno sviluppo sostenibile è la Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo scritta nel 1948. Prendendo spunto da essa, si evidenzia il fallimento del modello socioculturale attuale, incapace di declinare la sostenibilità, per proporne invece uno nuovo che rappresenti un ritorno alle radici.

Nel Vangelo secondo Matteo si legge il brano sui falsi profeti, che può essere applicato oggi a coloro che sostengono un modello fallimentare. Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere (Matteo 7:15-23).

Li giudicherete dai loro frutti. Quindi un modello che crea povertà, disuguaglianza, disoccupazione, degrado morale non può essere un albero/modello buono, ma sta a noi capire il senso del Vangelo applicato alla sostenibilità: quel modello non è sostenibile. Proviamo a declinare il senso della sostenibilità nell’aspetto economico, in quello sociale ed in quello naturale.

La sostenibilità economica

La sostenibilità economica sta per l’idea di un percorso di crescita legato al concetto di equità con il perseguimento del bene comune. Il tema del bene comune è un’aspirazione, oggi diremmo utopica, che è stato posto con forza da quando l’uomo ha coscienza della vita comunitaria e in particolare dai filosofi greci. Aristotele, nella sua Etica Nicomachea, introduce l’idea secondo cui vi sono certe virtù cardinali (coraggio, generosità, sincerità, giustizia, etc.) che si situano in una “medietà” fra gli opposti eccessi. La relazione tra la sfera individuale e quella collettiva del benessere si traduce in ciò che può essere considerata la vera felicità. Nell’Etica Nicomachea a questa accezione corrisponde il termine eudaimonia, che per la prima volta fa la sua comparsa nella filosofia antica (l’etimologia del termine deriva dal greco antico eu che significa buono e daimon che significa genio) per indicare l’armonia.

Aristotele dal canto suo criticò l’idea di felicità come soddisfacimento di bisogni e desideri, e a questa contrappose i concetti di “la vita piacevole” con “la vita buona”. Aristotele interpreta l’eudaimonia come la tensione verso l’eccellenza, sulla base esclusivamente del proprio potenziale, ma in un processo tale per cui la felicità individuale può realizzarsi solo nell’ambito dello spazio sociale. Il concetto di bene comune è fondamentale per esprimere la sostenibilità di ogni organizzazione umana, solo se i membri partecipanti ad un’istituzione sociale – a partire dalla famiglia che è l’istituto base ed originario su cui si fonda lo sviluppo socioeconomico – trovano un appagamento del bene personale in quello comune, condiviso. Solo così il sistema diventa sostenibile nel lungo tempo. Se gli interessi personali non trovano composizione nel bene comune, quell’istituto è destinato a sciogliersi: diventa cioè non sostenibile.

La discussione sulla relatività del concetto di bene comune è fondamentale per ridurre al minimo le deviazioni che portano al caos le società.

Se la ricerca del bene comune nel tempo non è sempre facile non lo è per niente in un modello socioculturale tipico del liberismo individualista all’eccesso, in cui il bene comune viene visto come un male e così non abbiamo il bene comune ma la lotta di tutti contro tutti, il mostro del “bellum omnium contra omnes”.

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La sostenibilità ambientale

La sostenibilità ambientale è espressa dal rapporto tra beni naturali prodotti ed esistenti ed il loro consumo nei processi economici di produzione e consumo. Tale rapporto dovrebbe consentire una stabilità tra risorse naturali, consumi e produzioni in modo che il contesto naturale non venga pericolosamente sottomesso ad obiettivi di guadagno che il modello neoliberista ed individualista considera preminenti. È cambiato profondamente il rapporto con la natura, che una volta era definita “madre” e naturale era il comportamento rispettoso degli equilibri naturali. Questo rapporto di equilibrio e rispetto è progressivamente venuto meno a causa della diffusione del liberismo finanziario a scapito dell’economia reale.

La finanza opera in un contesto lontano dal rapporto col mondo reale, che vede solo come occasione di guadagno ed intermediato dal computer, mentre l’economia reale opera nel contesto di trasformazione produttiva ed opera in raccordo con il mondo naturale questo genera modello culturali profondamente diversi. Il primo vede la natura come una miniera da cui potere trarre tutto ciò che è utile indipendentemente dal danno provocato alla sostenibilità del creato; la cultura tecnico razionale collegata all’economia diventa una leva distruttiva della società perché lascia spazio all’avidità infinita dell’uomo teso ad accaparrarsi di tutto ciò che è possibile anche e soprattutto in modo illecito.

L’uomo moderno prende sempre più in suo dominio la natura e trasporta nel campo delle libertà le energie che nel regno inanimato sono legate da leggi razionali (…) e le sottomette a un principio che non è calcolabile (…) L’uomo, infatti, è di opinione che ogni acquisto di potenza (tecnica) sia semplicemente “progresso”, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori. In realtà la potenza è qualche cosa di assolutamente polivalente; può creare il bene e il male, costruire o distruggere.

La limitazione culturale offre all’uomo una tecnica ed un potere capace di cambiare e creare i beni della natura, ma dimostra di non avere il sufficiente potere da limitare questo suo potere. Per cui diventa imprevedibile capire il percorso distruttivo dei beni naturali, perché non vi è stato abituato e i suoi desideri sono superiori ai volumi dei beni stessi.

Il confronto tra il concetto di sostenibilità e l’equilibrio compromesso dall’avidità dell’uomo può essere espresso dal seguente rapporto proposto da Pitirim Sorokin nel suo lavoro:

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Totale desideri

Se il numeratore è pari al denominatore abbiamo una distribuzione equa tra i due valori, ma se il denominatore è superiore al numeratore è evidente che non vi sono sufficienti beni per tutti. Così abbiamo due strade: la prima è che ci si accontenti di un numero di desideri non realizzabili. Però il modello culturale attuale è di non sostenibilità, ed ognuno cerca il massimo per se stesso creando una lotta infinita per aggiudicarsi il maggiore volume di beni, uno scontro di tutti contro tutti. Salta il bene comune e con lui la sostenibilità dei consumi: siamo arrivati a questo punto e la percezione della fine di un modello di sviluppo non sostenibile diventa sempre più evidente. Il suo fallimento ci mostra come siamo in presenza di un nuovo modello che ci fa ritornare alla sostenibilità dichiarata nella dichiarazione Dei diritti universali dell’uomo del 1948, che sembrano stati scritti in tempi lontani di cui non abbiamo più memoria.

Il tema della sostenibilità ambientale, oggi pienamente accolto, nasce formalmente nel 1987 con la presentazione del rapporto Bruntland o Our Common Future, che prova a definire il concetto di sviluppo sostenibile legato al mondo naturale ed ad una sua gestione che ne assicuri la funzione nel futuro alle nuove generazioni. Questo concetto che sembra nuovo era invece profondamente radicato nelle comunità agricole e dei contadini in cui il rapporto con il mondo naturale era una spinta vitale da cui trarre tutto per vivere. Per loro che vivevano in uno stretto rapporto con la natura, la conservazione dei beni naturali era legata alla loro stessa esistenza.

A distanza di poco tempo dal Rapporto Bruntland si colloca la dichiarazione di Stoccolma del 1987, che apre ad un concetto più ampio di sostenibilità in quanto pone come problemi il diritto di tutti gli esseri a condizioni di vita soddisfacenti in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere. Solo due anni dopo ci sarebbe stato il crollo dell’Unione Sovietica e il modello vincitore sarebbe stato quello degli USA; con altissimi consumi di generi alimentari, insensibile ai risparmi energetici ed alimentari. Il mondo stava per cambiare, ma nella direzione sbagliata.

La sostenibilità sociale

La sostenibilità sociale si declina con i termini di equità e di democrazia, riportando nei sistemi sociali il senso di solidarietà e di relazionalità che sono alla base di una società sostenibile. Tutte le dichiarazioni sui diritti dell’uomo – a partire dalla Magna Charta Libertatum del 1215, in pieno Medio Evo, per arrivare a quella del 1948 e al trattato dell’Unione Europea – sono incentrate sul diritto all’uguaglianza. Cioè sono incentrate sul diritto a un benessere che possa dare dignità alla persona, il diritto all’assistenza sanitaria ed alla scuola, ad un lavoro che consenta la dignità.

Questi sono sempre i principi fondamentali che rappresentano il senso del welfare. molto presente nei trattati europei ma molto meno nel modello USA basato sul mercato. Lo stesso trattato UE è molto chiaro, sia nel preambolo che negli articoli da 1 a 10, sul senso dello sviluppo sostenibile e sul ruolo delle istituzioni al servizio dei cittadini. Dunque la stessa Unione Europea fonda il suo senso di appartenenza sui principi fondamentali delle dichiarazioni universali dei diritti dell’uomo.

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Come abbiamo visto prima, vi è una stretta correlazione tra disuguaglianza e sostenibilità sociale definibile come capitale sociale: alla diminuzione della disuguaglianza corrisponde una maggiore tenuta sociale, diremmo anzi che aumenta la sostenibilità sociale Al contrario. all’aumentare della disuguaglianza tende a ridursi il capitale sociale, la vivibilità diffusa e quindi peggiora la sostenibilità sociale. Il modello socioculturale che stiamo vivendo è opposto all’equità, alla democrazia ed allo sviluppo sostenibile con una concentrazione di ricchezza che non si è mai verificata nella storia dell’uomo e che è profondamente stridente con le regole ed i principi alla base di una convivenza civile in una società globale in cui aumenta la povertà e la denutrizione.

Un aspetto importante per declinare la sostenibilità sociale è il suo confronto con il concetto di democrazia che trova nella moneta dollaro la scritta E pluribus unum, ma anche quanto questa affermazione sia ormai lontana dalla realtà. La democrazia (dal greco antico:  démos «popolo», kratos, potere) significa governo del popolo, esercitato direttamente o indirettamente dal popolo, generalmente identificato come l’insieme dei cittadini della polis che ricorrono in generale ad elezioni libere.

Un fattore chiave in una democrazia è la presenza, all’interno di una nazione, di una cultura democratica: una “democrazia politica” senza cultura democratica diffusa nei cittadini non sarebbe una democrazia. Fra i pensatori politici e i filosofi che hanno sollevato dibattiti su tale questione all’interno della tradizione nordamericana ritroviamo certamente Noam Chomsky. La declinazione della democrazia, come sostenibilità sociale, è stata la causa dei sanguinosi conflitti in Medio Oriente, in cui la pretesa di impiantarla militarmente è stato un suicido culturale e militare e la dimostrazione di come non si possa giocare con le parole. La democrazia è una giusta aspirazione utopica, facile da definire ma quasi impossibile da realizzare nel concreto. Chissà se un bilancio di sostenibilità possa essere uno strumento di gestione democratica di un’istituzione qualunque essa sia privata o pubblica.

Il diritto di un individuo di vivere in contesto ambientale e socio-economico entro il quale esprimersi è in relazione alla sostenibilità sociale. In questo contesto aspira a un società più giusta ed il ruolo di una sanità consapevole della sua missione come creatrice di sistemi diffusi di relazionalità positiva è fondamentale per proporre un modello si sviluppo finalmente sostenibile.

Conclusioni

La nostra vita pertanto pone una sfida: ricercare l’armonia tra due spinte opposte, quella genetica dell’aggressività, la Thanatos, e quello dell’amore, l’Eros. Una sfida il cui fine ultimo è intrinseco alla ricerca di un equilibrio dinamico posto in discussione dalle forse dell’animo umano.

Ad oggi rimane aperta la riflessione se l’intelligenza dell’homo sapiens appartenga alla categoria del bene o del male. Ma pare sostenibile che se rientrerà nel perimetro del male è perché gli individui avranno rinunciato alla dote dell’umanità. Le risposte all’eterna domanda della vita e della felicità vanno ricercate nelle radici della nostra storia e della nostra tradizione; i modelli culturali ripresi dall’economia aziendale italiana riaffermano con la forza dell’evidenza la necessità di comporre il bene individuale con quello collettivo in modo che, a vario titolo, ognuno possa contribuire alla de finizione di un possibile bene comune. (Fabrizio Pezzani, Il futuro nelle radici, dicembre 2020).

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Qui si ritrova la speranza di potere operare nel solco della tradizione e dei principi familistici per affrontare la sfida del cambiamento verso una società più giusta. Noi non siamo condannati a che la storia si ripeta, sta a noi decidere il nostro destino e non possiamo fingere che questo dipenda dall’evoluzione di fenomeni naturali o da una volontà divina, come uomini dotati di coscienza spetta a noi prendere sulle spalle le nostre responsabilità, dobbiamo decidere noi se lasciarci prendere dalla nostra aggressività e supponenza e precipitare nel baratro oppure ricordare che l’uomo: […] come dicevano gli orfici è anche figlio del cielo stellato (Bertrand Russel).



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