Per il Pnrr uno slittamento tira l’altro. A due mesi dalla nomina, il successore di Fitto fa i conti con un’eredità pesante. E il parallelo con il neo-commissario europeo è inevitabile
Come le ciliegie, uno slittamento tira l’altro. E il Pnrr diventa sempre più un «Piano nazionale dei ritardi e dei rinvii», secondo la definizione affibbiata da Piero De Luca, deputato del Pd.
Il ministro del Pnrr, Tommaso Foti, è noto dentro Fratelli d’Italia come l’uomo delle sostituzioni complicate. È stato chiamato a svolgere il ruolo di capogruppo a Montecitorio quando Francesco Lollobrigida è passato al ministero dell’Agricoltura. La missione, nonostante qualche impaccio iniziale, è riuscita. Adesso c’è stato l’upgrade del coefficiente di difficoltà: rimpiazzare Raffaele Fitto e condurre in porto il Pnrr. E montano i dubbi che possa riuscirci con successo.
A quasi due mesi dalla nomina nell’esecutivo, il fedelissimo di Giorgia Meloni fa i conti con un’eredità pesante per due motivi. Il primo è che Fitto ha rappresentato una figura ingombrante, almeno per il peso mediatico. Il parallelo è inevitabile con il neo-commissario europeo. Alla fine, l’ex presidente della regione Puglia ha costruito una narrazione positiva sul Piano. E qui c’è il secondo nodo, strettamente legato al primo: c’è da affrontare una situazione molto più complicata di quanto si sapeva per l’attuazione.
«La sensazione è che Foti abbia capito gli stiano facendo fare il parafulmine di tutto il guazzabuglio costruito da Fitto per fare un po’ di propaganda utile a scavallare le nomine europee», osserva Ubaldo Pagano, capogruppo del Pd in commissione Bilancio alla Camera.
Foti è, insomma, un ministro già in affanno. Non c’è stato lo slancio al suo insediamento. Anzi. Sul Pnrr ha inserito il pilota automatico nell’auspicio che l’apparato burocratico possa andare avanti da solo, perché deve prendere confidenza con un tema complicato. Lo spin comunicativo è quello di un ministro «impegnato a studiare la situazione». Ma il rodaggio non è contemplato di fronte a una sfida che prevede tappe forzate come l’attuazione del Piano. Alimentando perplessità sulla scelta compiuta da Meloni.
Tagli e revisioni
Durante un’audizione in parlamento Foti ha reso che sono stati spesi 61 miliardi di euro, meno di un terzo del totale che dovrà essere versato e meno della metà dei 121 miliardi di euro già erogati. Un cammino a rilento considerando che manca un anno e mezzo al suono del gong sulla realizzazione del Recovery plan. A meno di salvifiche proroghe.
Foti ha preso in mano la macchina da poco, ma ancora deve dare una direzione. «Finora è non pervenuto» dice De Luca a Domani.L’unica certezza è la revisione, l’ennesima, del Pnrr. «Entro febbraio al massimo», ha fatto sapere Foti. Un altro cambiamento che cade, mentre il tempo stringe.
Sullo sfondo prende forma la possibilità di altri stralci, che tradotto significa la cancellazione di progetti inizialmente inseriti nel piano: la scure potrebbe colpire infrastrutture, come un lotto della linea Alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria, e la spesa sociale, gli asili nido in testa. Le opposizioni sono sul piede di guerra e hanno chiesto un confronto in parlamento.
Foti, da ex capogruppo alla Camera di FdI, non ha potuto esimersi. «Ritengo che non sia privilegio di pochi poter sapere di un argomento che interessa tutti», ha detto rivendicando la volontà politica.
«So cosa ho detto quando è stato discusso la prima volta il Pnrr, ritenendo che non avesse avuto tempi consoni di discussione. Non voglio ricadere nell’errore al contrario», ha aggiunto il ministro.
Anche la delega sugli Affari europei di Foti sembra più di facciata. Un dato su tutti aiuta a capire lo svuotamento del suo ruolo: nel bilancio di palazzo Chigi il suo dipartimento ha subito il taglio di un milione e 366mila euro a causa della soppressione della struttura di missione deputata a evitare i contenziosi con l’Unione europea. La ragione sociale del dipartimento degli Affari europei.
Nei fatti Foti ha poche risorse per questa mansione e politicamente è commissariato dalla premier Giorgia Meloni. È lei a muoversi a Bruxelles senza badare al ruolo del suo ministro.
© Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link