Due vittime e un collegamento, il cold case di Angrogna e quel caso di nera 40 anni dopo in Toscana. Che legame c’è

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 


di
Federico Ferrero

Nel 1976 in Val Germanasca veniva trovato il corpo di Giorgio Canali. Nel 2013 qualcuno collegò quel fatto con l’omicida di Francesca Benetti

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Notizia di cronaca in un giorno di metà agosto del 1976: «Un cadavere in avanzato stato di decomposizione è stato trovato ieri sui monti di Angrogna, in alta Valle Germanasca. Si tratta di un villeggiante, il trentanovenne Giorgio Canali, abitante a Torino in via Ticino 5, celibe, ex operaio saldatore. Accanto al cadavere, c’era un bottiglione di vino quasi vuoto. L’esame necroscopico compiuto dal dottor Avanzi, di Angrogna, ha escluso qualsiasi forma di violenza. L’operaio era in vacanza ad Angrogna, dove aveva affittato un minialloggio»

Un corpo tra gli arbusti

Un fatto da poche righe a metà giornale che, il giorno successivo, venne archiviato con qualche dettaglio ulteriore: Canali era un ex operaio Fiat, partito per le vacanze alla fine di giugno dopo avere affittato, nella valle, una casetta. Secondo i vicini, non aveva problemi economici, anzi: viveva di rendita, perché aveva ereditato un bel gruzzolo dal padre, investimenti e beni immobiliari. Il particolare che fosse in villeggiatura da solo, peraltro, non era inusuale, essendo un tipo solitario. Ma, dall’inizio di luglio, effettivamente in paese non lo aveva più visto nessuno. Il corpo di Canali era nascosto tra gli arbusti accanto a un torrente, a un centinaio di metri dalla provinciale verso Torre Pellice. L’ipotesi del medico era che l’uomo fosse caduto picchiando la testa contro un sasso. Non venne ritenuto necessario procedere con l’autopsia, morte accidentale o suicidio che potesse essere.




















































L’omicidio in Toscana

Il quattro novembre del 2013, a Potassa, frazione di Gavorrano, in provincia di Grosseto, scomparve clamorosamente un’insegnante di educazione fisica residente a Cologno Monzese, Francesca Benetti. Vedova, di buona famiglia, la Benetti era una signora di bell’aspetto, già pensionata ma ancora molto attiva. Approfittando delle radici familiari toscane e dell’assenza di impegni di lavoro, avendo figli già adulti, aveva acquistato un appartamento a Follonica essendo già proprietaria di Villa Adua, un immobile imponente con un grande appezzamento di terreno annesso. Per curarlo aveva affittato il lotto a un uomo di origini sicule residente da tempo in Piemonte, ad Asti e precedentemente a Moncalieri: Antonino Bilella.

Le tracce di sangue

La signora Benetti quel giorno andò nella casa di campagna per sbrigare una questione legata ai terreni e alle proprietà confinanti. Doveva scattare qualche fotografia e vedersi a pranzo col fidanzato ma, dal suo arrivo in villa, non la si trovò più. La sua automobile fu ritrovata parcheggiata alla stazione dei treni e a tutti parve un depistaggio per simulare un allontanamento temporaneo. Inutile ogni ricerca. Gli inquirenti, però, rinvennero alcune tracce di sangue, attribuite con certezza alla signora grazie all’esame del Dna, sull’automobile usata per lavoro da Bilella e, insieme alle testimonianze di una pluralità di persone che raccontarono in aula dell’ossessione che quel signore di settant’anni aveva maturato nei confronti della Benetti, la corte d’assise si convinse che, a ucciderla e a occultarne il cadavere, fosse stato proprio l’imputato. Bilella, sempre proclamatosi innocente e del tutto estraneo alle accuse, venne condannato all’ergastolo in primo e secondo grado, nel 2018, la Cassazione confermò. Caso chiuso.

Il collegamento

Ma cosa mai c’entrava tutto questo con un antico incidente in un paesino piemontese, per giunta di quasi quarant’anni prima? Forse nulla, forse qualcosa. Secondo i carabinieri, infatti, in qualche modo poteva esistere un legame tra la vicenda di Potassa e quella di Angrogna, per quanto potesse apparire inverosimile. Ecco quale: nel corso del processo contro l’uomo accusato di aver ucciso l’insegnante di Cologno, arrivò al comando di Grosseto una lettera anonima inquietante. Lo scrivente — poi identificato in un vicino di casa della famiglia di Bilella a Pinerolo — sosteneva che costui fosse stato responsabile anche della morte di Canali. Circostanziando, a modo suo, i fatti: la vittima, Canali, aveva affittato a Bilella un appartamento, quindi i due sicuramente si conoscevano. Una similitudine con il caso di Potassa. 

Il movente

Canali era una persona benestante (come la vittima di Villa Adua) e c’era stato un litigio pochi giorni prima, rispetto alla scomparsa dell’ex operaio poi trovato morto in campagna. Anche la Benetti aveva litigato con il suo fattore, lamentandosi delle continue telefonate e attenzioni e minacciando di licenziarlo se non avesse smesso di agire da stalker nei suoi confronti. Secondo l’autore della missiva, il movente poteva essere stata la volontà del presunto assassino di impadronirsi dell’eredità.

L’ipotesi

Un’ipotesi suggestiva, sì, ma assolutamente inidonea a costituire un’accusa ragionevole in sede penale. Gli avvocati di Bilella reagirono con veemenza, negando ogni addebito e parlando di caccia alle streghe: a quanto risultava, infatti, il loro cliente non solo aveva un alibi per quella lontana giornata estiva del 1976, ma non era neppure vero che avesse accompagnato ad Angrogna il Canali il giorno della scomparsa e, di più, il litigio feroce la vittima lo aveva avuto, sì, ma non con Bilella bensì con un altro signore che risiedeva in paese.

Il mistero 

Per stabilire le eventuali basi di un’ulteriore accusa di omicidio, anzitutto, la procura di Torino doveva stabilire se ci fosse stato un reato. L’unica soluzione, in mancanza di referto autoptico, era la riesumazione del cadavere di Canali. Poteva essere l’inizio di un percorso ma, a conti fatti, ne sancì la fine: dall’esame della documentazione, risultava che il cadavere fosse già stato estumulato un decennio dopo le esequie, per sistemare i resti in una cassetta di legno. I resti erano stati, poi, risistemati nella tomba di famiglia del cimitero di Moncalieri; tuttavia, una volta aperta, si scoprì che le ossa erano anonimamente riposte accanto ad altre, appartenenti ai familiari. La morte quarant’anni prima, il corpo rimasto a decomporsi prima del ritrovamento, l’autopsia mai condotta, la confusione con le ossa dei parenti: tutte congiunture che rendevano pressoché impossibile stabilire se Giorgio Canali fosse morto per una caduta, perché aveva deciso di farla finita — la strada meno probabile, stando ai racconti di chi lo conosceva — o se qualcuno gli avesse voluto fare del male. Anche della morte dell’insegnante di Cologno non si è mai saputo nulla: né come è morta, né come il suo corpo sia stato occultato. Si sa solo che è stata uccisa, e chi lo ha fatto. 

Prestito personale

Delibera veloce

 

Microcredito

per le aziende

 

28 gennaio 2025

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link