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“La mafia è più forte“, tuona Don Ciotti, fondatore di Libera, scuotendo le coscienze dei presenti. Non più solo lupare e coppole, ma colletti bianchi, tecnologia e un’aura di normalità: la mafia si è evoluta, diventando più subdola e pericolosa.
Mentre Trapani si prepara ad accogliere la fiumana di cittadini che marceranno per gridare “No alla mafia”, Don Ciotti lancia un monito che va oltre la commemorazione La mafia non è un ricordo del passato, ma una realtà viva e presente, che si annida nei gangli del sistema economico e politico.
“Le mafie non sono più quelle di ieri – avverte Don Ciotti – L’intelligenza artificiale è già diventata intelligenza criminale“, afferma, dipingendo un quadro inquietante in cui le organizzazioni criminali sfruttano le nuove tecnologie per accrescere il loro potere. Non più solo traffici di droga e estorsioni, ma infiltrazioni nel mondo finanziario, nell’economia legale e nella politica.
“La mafia si è normalizzata“, denuncia Don Ciotti. Si nasconde dietro volti insospettabili, imprese apparentemente legali e rapporti con la politica “diffusi, disincantati e pragmatici“. Un nemico invisibile che si muove nell’ombra, minando le fondamenta della società. “Sono gli stessi imprenditori in difficoltà che vanno a chiedere aiuto alle mafie“, rivela Don Ciotti, svelando un meccanismo perverso che alimenta il potere criminale.
Un dato allarmante conferma la forza della mafia: “L’80% dei familiari delle vittime innocenti di mafia non conosce la verità“. L’omertà, la paura e la complicità diffusa creano un muro di silenzio che protegge i criminali e impedisce di fare giustizia.
Don Ciotti non si limita a denunciare, ma lancia un appello alla responsabilità di tutti: cittadini, istituzioni e forze dell’ordine. “Bisogna alzare la voce, darsi da fare e avere più conoscenza – esorta –Dobbiamo prendere coscienza che le mafie sono forti e che i loro affari e i loro poteri non sono scomparsi“.
Il 21 marzo, a Trapani, non sarà solo una giornata di commemorazione, ma un’occasione per riflettere sulla nuova mafia e per trovare nuove strategie di contrasto. “Mobilizziamo le nostre associazioni, mobilizziamo tutti!“, è l’invito di Don Ciotti. “Facciamo sentire la nostra voce e dimostriamo che Trapani è una terra che vuole liberarsi dalla mafia“.
Le parole di Don Ciotti su Messina Denaro e su Sodano e Linares aprono uno squarcio su una realtà complessa e spesso contraddittoria. Da un lato, la cattura del boss mafioso Matteo Messina Denaro dopo 30 anni di latitanza rappresenta un successo importante per lo Stato e un segnale di speranza nella lotta alla mafia. Dall’altro, le riflessioni di Don Ciotti sollevano dubbi e interrogativi sulla reale portata di questo successo e sulla capacità dello Stato di contrastare efficacemente il fenomeno mafioso.
Messina Denaro: oltre le amanti, la verità
Don Ciotti invita ad andare oltre la curiosità morbosa per gli aspetti privati della vita di Messina Denaro, come le sue amanti, e a concentrarsi sulle questioni fondamentali: dove sono finiti i suoi capitali? Come sono stati gestiti i suoi affari? Chi lo ha protetto durante la sua lunga latitanza? “Questi non parlano, questi si rigenerano“, accusa Don Ciotti, sottolineando la capacità della mafia di riorganizzarsi e adattarsi anche dopo i colpi inferti dallo Stato.
La cattura di Messina Denaro non deve essere un punto di arrivo, ma un punto di partenza per una nuova fase della lotta alla mafia, una fase che richiede maggiore impegno, trasparenza e volontà di fare luce su tutte le zone d’ombra che ancora avvolgono il fenomeno mafioso.
Sodano e Linares: l’ombra della complicità
Don Ciotti ricorda il caso del prefetto Sodano e della squadra mobile di Trapani guidata da Giuseppe Linares, che negli anni ’90 si distinsero per il loro impegno nella lotta alla mafia, ma che incontrarono ostacoli e resistenze all’interno dello stesso apparato statale. “Sono stati cacciati con ordine superiore“, denuncia Don Ciotti, alludendo a possibili complicità e coperture di cui avrebbe goduto Messina Denaro durante la sua latitanza.
Queste parole gettano un’ombra inquietante sulla capacità dello Stato di contrastare efficacemente la mafia, e sollevano interrogativi sulla presenza di elementi deviati all’interno delle istituzioni. La lotta alla mafia non può prescindere da una profonda opera di pulizia e di rigenerazione dello Stato, che deve liberarsi da ogni forma di connivenza e corruzione.
Un appello alla responsabilità
Le riflessioni di Don Ciotti su Messina Denaro e su Sodano e Linares rappresentano un monito a non abbassare la guardia e a non accontentarsi di successi parziali. La lotta alla mafia richiede un impegno costante e una profonda riflessione sulla capacità dello Stato di contrastare efficacemente questo fenomeno. Don Ciotti conclude il suo intervento con un appello alla responsabilità di tutti: cittadini, istituzioni e forze dell’ordine. Solo unendo le forze e agendo con trasparenza e determinazione sarà possibile sconfiggere la mafia e costruire un futuro di giustizia e legalità.
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