dal Msi ad An, la destra sdoganata e le firme pugliesi del cambio di passo/Chi erano

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Trent’anni o forse di più, perché la svolta parrebbe avere una radice più profonda, lontana. E pugliese, tanto pugliese. Ma comunque: l’anniversario tondo è di questi giorni, gennaio 1995, il congresso di Fiuggi, il lavacro che purificò la destra italiana da nostalgismi vetero-fascisti e fece calare definitivamente il sipario sulla dannazione del “polo escluso” (citando Piero Ignazi) e degli “esuli in patria” (Marco Tarchi), trent’anni dall’atto fondativo di Alleanza nazionale e perciò dalla nascita – quantomeno in laboratorio, come da Seconda Repubblica – del conservatorismo moderno, europeo e liberale, niente più destra sociale del Msi e pericolosi sentimentalismi, e invece sdoganamento di un gruppo dirigente e tentativi di sguardo al futuro. Dicono che, oggi, Giorgia Meloni premier e FdI primo partito siano il punto di caduta di quella lunga traversata. Fatto sta che in quel 1995 sembrò tutto così accelerato, dirompente: «Abbandoniamo la casa del padre», disse Gianfranco Fini, leader e architetto della rinnovata fase, e allora via dalla cupezza del ghetto post-fascista e dentro la luminosa turbo-leggerezza degli anni berlusconiani, anche se poi quella nuova fase lì a destra e negli anni è stata un continuo oscillare di alti, bassi, fusioni, scissioni, brusche accelerate e pulsioni dimenticate (in teoria) che però a volte ritornano. Resta, tra le tante cose delle tesi di Fiuggi, questa affermazione di grande rottura: «L’antifascismo fu il momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato». Appunti utili per chi oggi a destra qualche volta lo dimentica, più di prima.

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Il primo governo Berlusconi 

Trent’anni, ma forse bisogna riavvolgere il nastro almeno di un anno. C’è un’istantanea prepotente, iconica che risale al maggio 1994: è il giuramento del primo governo Berlusconi, l’esordio della “destra-destra” nella stanza dei bottoni repubblicana insieme con la nuova e spiazzante “razza padrona” del Cavaliere e con leghisti e qualche ripescato ex Dc e Psi. Nella foto di cravatte e doppiopetti spiccano due pezzi di Puglia grandi così, e cioè il sorriso sornione e levantino di Pinuccio Tatarella e lo scintillante tailleur giallo di Adriana Poli Bortone, unica e battagliera donna. Ministri entrambi, l’uno pure vicepremier, due campioni della destra pugliese che aveva ingoiato decenni di minoritarismo e opposizione, uscendone forgiata e riuscendo a rendere quei decenni palestra, lezione, spesso contaminando e anticipando la svolta innovatrice di Fiuggi. Un seme diverso. Da Cerignola e da Lecce, Tatarella e Poli Bortone restano due simboli – ciascuno a modo proprio – del salto: non più movimentismo e testimonianza, ma realismo e governo.

Tatarella, il “ministro dell’armonia”

Tatarella, innanzitutto: spiccato senso delle strategie, delle manovre e della visione, degli intrighi e delle trame, il “ministro dell’armonia” aveva radici a destra distanti dai postfascisti, e teorizzava ben altro da tempo, dagli anni ‘80, e cioè un conservatorismo europeo e illuminato, “oltre il polo”, il dialogo e l’apertura, la capacità di parlare a un nuovo e ampio blocco sociale.

Istrionico ed empatico, il Richelieu di Cerignola in quegli anni fu il più compiuto esempio della destra di governo e al governo. Berlusconi s’affidò a Tatarella per trovare l’amalgama della coalizione nel 1994, all’epoca fusa a freddo, in fretta e con un po’ di avventatezza. E Tatarella – al pari di Domenico Fisichella – fu il più energico e visionario ispiratore proprio della svolta di Fiuggi. Morì nel 1999, in tempo per veder maturare An, risparmiandosi le beghe del Pdl e la traiettoria calante di Fini e Berlusconi: forse solo lui, con la sua astuta “armonia”, avrebbe potuto fare da adesivo di tutto e tutti.

Poli Bortone, la “lady di ferro”

Ecco: anche questo, e molto questo, era all’epoca la destra pugliese. E poi c’era Poli Bortone, lì nella foto di famiglia del governo Berlusconi e in quella di Fiuggi. Una vita nel Msi, segretario nazionale femminile dal 1981 al 1994 e componente dell’esecutivo nazionale del partito dal 1981: ortodossia a destra, sempre con quel piglio da lady di ferro, e poi al fianco di Fini nella svolta. Sindaca a Lecce dal 1998 al 2007, eurodeputata, e nel 2009 l’addio al Pdl in dissenso per lo scioglimento di An. Pianse, Adriana. E fu un lungo peregrinare: Io Sud e le iniziative elettorali corsare, fino al ritorno in grande stile al Comune di Lecce. Rispolverando così l’antica attitudine all’amministrazione dei territori, come ti insegnavano nel vecchio laboratorio della destra pugliese.

La destra sul territorio 

A Fiuggi, dalla Puglia, non c’erano solo i due cavalli di razza ministeriali. Le prime file schieravano i parlamentari e un eurodeputato, eletti tutti un anno prima: tra senatori e deputati ecco allora per esempio Paolo Agostinacchio, Antonio Pepe, Francesco Amoruso, Eugenio Ozza, Achille Enoc Mariano, Fedele Pampo, Antonio Lisi, Ettore Bucciero, Francesco Casillo, Francesco Paolo Liuzzi, Carmine Santo Patarino, Lucio Marengo, Onofrio Spagnoletti Zeuli, Lucio Marengo, Giuseppe Mastrangelo, Pino Specchia, Euprepio Curto, Valentino Manzoni, Vincenzo Epifani. Insomma: dalle trincee dei territori, e anche dalla società civile, fino a Roma. L’eurodeputato era Antonello Trizza, sindaco di San Vito dei Normanni dal 1993, e fu una delle manifestazioni concrete dell’intuizione tatarelliana e antipasto di Fiuggi: niente sindrome dell’autosufficienza, ma apertura per vincere ed essere classe dirigente a partire dai territori. In Puglia cominciarono così a spuntare i primi sindaci missini. E la destra pugliese “donava sangue” anche agli alleati, come Forza Italia: l’esempio di punta è Domenico Mennitti, brindisino, mezza vita nel Msi e poi dal 1993 nel ristretto nucleo di “teste” che teorizzarono la rivoluzione liberale del partito berlusconiano, da intellettuale e politico acuto.
La spinta definitiva per la destra pugliese arrivò col voto del 1994, e sentite questa: il centrodestra si presentò al Sud come Polo del buon governo (c’era il Msi e non la Lega) e al Nord come Polo delle libertà (viceversa); in Puglia, la lista del proporzionale di Forza Italia fu fatta fuori dalla commissione elettorale per cavilli, e An volò al 27%, e addirittura oltre il 30% a Bari, Lecce e Foggia. Si narra di luciferine mosse sottobanco di Tatarella per far estromettere il partito di Silvio Berlusconi, ma ormai è tutto avvolto dalla leggenda.

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Altro che maquillage

Dicono: fu Berlusconi a sdoganare abilmente la destra, quando nell’autunno 1993 e prima della proverbiale “discesa in campo” ammise che alle Comunali di Roma, se fosse stato un elettore, avrebbe votato il candidato del Msi, cioè Fini. In quella tornata elettorale Fini a Roma e Alessandra Mussolini a Napoli sfiorarono la clamorosa vittoria, in Puglia la destra conquistò qualche fortino, tra cui proprio Cerignola (con Salvatore Tatarella, fratello di Pinuccio). S’era messo in moto l’ingranaggio che avrebbe portato al big-bang elettorale del 1994 e poi a Fiuggi, e pazienza se la svolta congressuale si consumò a governo Berlusconi già tramontato dopo sette mesi e per lo strappo della Lega. Resta il senso di tutto: Fiuggi non fu – come qualcuno pure ha sostenuto – una messinscena per sintonizzarsi sui tempi nuovi, o un frettoloso maquillage trasformistico e di facciata; fu, invece, un percorso anche sofferto e senz’altro stratificato nel tempo, e fu soprattutto un punto di non ritorno, accelerato dopo la caduta del Muro di Berlino, la fine delle ideologie e il ciclone Tangentopoli che spazzò via i partiti “tradizionali”. Non era il caso di approcciarsi alla nuova epoca con le vecchie zavorre, la modernità esigeva altro: Fini e Tatarella lo capirono. Poi, è andata come è andata: il profilo ideale di An negli anni spesso troppo indeterminato, il Pdl, le identità che si sfumano, il berlusconismo dominante nella Puglia di “quella” destra, il divorzio tra il cavaliere e Fini, il tramonto del leader di Fiuggi. Resta il dibattito su FdI, e su cosa sia oggi: erede di An oppure qualcosa di “altro”, nel gioco a rimpiattino tra le tre destre individuate dai politologi (neofascista, conservatrice e populista). In ogni caso, vale un consiglio: rileggersi le “tesi di Fiuggi”, che citavano pure don Sturzo e Gramsci e che esaltavano la funzione dell’antifascismo. Promemoria per tutti, oggi, a destra.





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