Cristina Golinucci, sviluppato il rullino di foto di Emmanuel Boke, l’appello della famiglia: «Cerchiamo una ragazza che era con lui»

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di
Enea Conti

La ragazza scomparsa a Cesena avrebbe compiuto 54 anni in questi giorni (ne aveva 21 quando sparì): la madre Marisa Degli Angeli non si ferma

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«Presenteremo una richiesta di ordine di indagine europeo nella speranza di rintracciare Emmanuel Boke in Francia». Domenica 26 gennaio Cristina Golinucci avrebbe compiuto 54 anni

Nel giorno del suo compleanno, la madre Marisa Degli Angeli e gli altri parenti della ragazza scomparsa a 21 anni a Cesena 32 anni fa hanno festeggiato con uno spettacolo al Teatro Victor della cittadina romagnola, l’avvocato Barbara Iannuccelli ha annunciato che la volontà dei familiari è ancora quella di continuare a cercare di ricostruire che cosa sia accaduto. 




















































Era il primo settembre del 1992, quando l’auto dei Cristina Golinucci venne ritrovata nel parcheggio del convento dei frati cappuccini di Ronta di Cesena, che frequentava come volontaria e dove quel giorno aveva un appuntamento con un frate nel primo pomeriggio: di lei non si ebbero più notizie ma la scomparsa fu presto archiviata come un suicidio. 

Un giovane, Emmanuel Boke, era stato ritenuto un sospettato: originario della Nigeria, era ospitato nel convento. Fu condannato nel 1994 per due violenze sessuali commesse su due giovani cesenati e nella sentenza di condanna fu fatto riferimento ad un cappellino da lui indossato e ad un rullino fotografico che fu sviluppato su richiesta della legale Iannuccelli solo nel 2022.

La notizia dell’esistenza di questo rullino – e di queste foto – che risale alla prima metà degli anni Novanta, è stata però resa nota solo negli ultimi giorni. Dal rullino sono state sviluppate foto di qualità medio bassa, ma comunque nitide, che ritraggono scene di vita quotidiana a cui Boke aveva partecipato. «Innanzitutto abbiamo un’idea della sua fisionomia, abbiamo un volto», dice l’avvocato Iannuccelli che lancia un appello «In più Boke compare con una ragazza al suo fianco. Chi è? È ancora viva? Ha subito molestie dallo stesso Boke? O magari è scomparsa?». 

Timori riferiti alla condotta che Boke avrebbe avuto in Romagna in quegli anni. «Parliamo di un soggetto assai pericoloso, che di certo ha commesso un numero imprecisato di violenze sessuali», attacca ancora l’avvocata. «Boke aveva spogliato le sue vittime con violenza, nei campi, aveva stretto loro le mani al collo per terrorizzarle e simulare uno strangolamento e incutere terrore. Ad una delle due ragazze aveva spiegato che la sua violenza era una vendetta messa in atto per la rabbia provata dopo che una ragazza italiana aveva rifiutato di sposarlo».

Boke, secondo i familiari, si troverebbe in Francia e non a caso. Dopo la condanna avuta in Italia a 4 anni di reclusione nel carcere di Forlì si trasferì a Marsiglia. Il 29 giugno del 1998 venne arrestato in città un cittadino straniero che aveva le sue stesse impronte digitali e che nella foto segnaletica era identico a lui, pur avendo presentato documenti che indicavano generalità diverse. 

Il motivo dell’arresto era riferito a un drammatico fatto di cronaca, un’altra violenza sessuale commessa su una giovane cittadina italiana che viveva nella città francese. «Dal cappellino rinvenuto in Procura abbiamo estratto il dna di Boke, che potrebbe essere comparato alla persona arrestata in Francia per avere la certezza assoluta che sia lui». Cristina, era una frequentatrice assidua del convento, dove svolgeva anche opere di volontariato. A infittire il mistero contribuì la morte di Chiara Bolognesi, 18 anni, il cui cadavere fu rinvenuto nel fiume Savio il 31 ottobre del 1992 a due mesi esatti dopo la sparizione di Cristina. Le due ragazze non si conoscevano ma frequentavano gli stessi ambienti religiosi.

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Al di là di Boke, tuttavia, il caso è fitto di punti oscuri. Marisa Degli Angeli e Barbara Iannuccelli, tuttavia, sono determinate nel chiedere alla giustizia di riaprire il caso al di là del presunto coinvolgimento diretto di Boke nella sparizione delle due giovani. Per quel che riguarda il triste destino di Cristina Golinucci non escludono che una sua audizione possa essere fondamentale anche per altri motivi. Padre Lino, il frate con cui Cristina aveva appuntamento il pomeriggio della sua scomparsa, andò in carcere due volte per incontrarlo: la prima volta il gip non concesse l’autorizzazione a registrare la loro conversazione. 

Della prima conversazione però fu redatto un verbale ed era emerso che il giovane aveva confessato al priore di essere tra i responsabili della scomparsa di Cristina. Fu così che quando padre Lino si recò per la seconda volta in carcere Boke ritrattò raccontando di aver saputo che Cristina Golinucci aveva litigato con un frate. 

Pochi giorni dopo la scomparsa, una signora cesenate rivelò alla sua parrucchiera un’informazione in via confidenziale: «Ho visto Cristina litigare con una persona adulta. I segni distintivi erano la sua chierica e il fatto che fosse di bassa statura, tarchiata. Litigavano nel parcheggio del convento, nel pomeriggio in cui è scomparsa».

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