si torna all’età del fossile aperta da Donald II col “Drill, baby, drill… everywhere” o si rilancia il Green Deal come propone Draghi?

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Tra due giorni sapremo se la Commissione Ue lascia, ridimensiona o raddoppia il Green deal, se aumenteremo le emissioni di gas serra o de-carbonizzeremo, se ci limiteremo a gestire fallimenti modello automotive Stellantis oppure lanceremo il pacchetto competitività ispirato dal corposo report di Mario Draghi che prevede robuste linee di investimenti per competere e adattarci nel mondo nuovo, riducendo le emissioni di CO2 e i disastri meteo-climatici, come da impegni globali solennemente sottoscritti. Insomma, se faremo l’Europa o diventeremo una brutta imitazione degli Usa trumpiani, tagliando risorse e allungando all’infinito le tempistiche dell’agenda verde che doveva essere (ed è) l’asset politico e finanziario più competitivo del continente.

Dalla prima Commissione von der Leyen, che nel 2019 decise di contenere l’aumento delle temperature globali rafforzando le economie e lanciando clamorosi pacchetti finanziari in ogni settore, siamo al passaggio cruciale. Inutile girarci intorno, per tanti motivi il Green deal Ue ha perso man mano appeal, popolarità e sostenitori, per furiosi attacchi ideologici senza troppi difensori, per boicottaggi in molti Paesi, per gli errori clamorosi nella gestione del piano e nella sua comunicazione.

Draghi è stato chiaro nel descrivere, nel suo report “The future of European competitiveness” il “forte svantaggio competitivo” dell’Unione Europea rispetto a Cina e Stati Uniti, per l’eccessiva dipendenza energetica da fonti fossili, che pesa in termini di costi dell’energia che si riversano su famiglie e imprese, avvertendo che l’Italia è il Paese dell’Ue che soffre di più, avendo il grado più alto di dipendenza energetica dal gas tra i Paesi Ue, mentre la transizione ecologica è nell’interesse dei cittadini e delle imprese, e le rinnovabili sono un’opportunità, come lo sono le filiere dell’automotive necessarie per esportazioni e fatturato. Quindi, o si cambia oppure ci penserà il mercato visto che in Europa il bando della produzione di auto con motore a combustione scatterà nel 2035, e tra qualche anno si produrranno solo auto full electric, plug in o al massimo ibride.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Chi pensa al passato, scrive con competenza e lucidità Draghi, sacrificherà la nostra industria, a partire da quella automobilistica, cristallizzandola su vecchi prodotti fuori mercato e ritardano ogni innovazione? Non concentrarsi su questo, come rilevano gli studi annuali della Fondazione Symbola di Ermete Realacci facendo emergere la potenza globale della nostra green economy, è miope e danneggia il nostro Paese.

Mercoledì quindi inizia la partita sul campo europeo. I commissari dovrebbero approvare a Bruxelles la nuova comunicazione sulla “Bussola per la competitività dell’Ue” aggiornata con i rapporti commissionati agli ex premier italiani Enrico Letta e Mario Draghi, al primo dal Consiglio europeo e al secondo dalla Commissione su “produttività”, “competitività”, “velocità”.

Ma i Popolari, il maggior gruppo europarlamentare che raggruppa cristiano-democratici, liberali e conservatori, per non perdere voti e terreno e favorire le destre che avanzano, ha già chiesto un Green deal in versione ridotta e ridimensionato per rispondere alle richieste “fossili” di settori industriali e di associazioni di agricoltori, ridimensionando la “transizione verde”. Sapremo quindi se il Governo della l’Ue si allineerà alle destre sovraniste e filo-trumpiane al governo di molti Stati membri che da sempre contrastano i pacchetti clima, energia e competitività e diventeremo un’appendice del trumpismo, una caricatura della svolta Usa, o se sarà un “bye bye Donald” e rafforzeremo – come peraltro ha promesso la stessa Ursula von der Leyen la scorsa settimana a Davos – le protezioni degli europei dalle catastrofi climatiche aumentando la competitività delle economie più green e competitive.

La presidente della Commissione ha chiarito che l’Europa non rinuncerà al Green deal e che “la transizione energetica pulita sta avvenendo ed è destinata a continuare. L’Europa continuerà su questa rotta”. Per velocizzare la transizione ha lanciato l’idea di un Forum globale. La posta in gioco, messa sul tavolo da Mario Draghi, sono gli investimenti pubblici e privati fino a 800 miliardi di euro all’anno per l’innovazione digitale e tecnologica per colmare il divario con Stati Uniti e Cina, recuperando ritardi e accelerando per garantire la competitività dell’industria, con riforme strutturali per adeguare la governance della Ue. Sono i pilastri del programma per il prossimo quinquennio per “un futuro economicamente più vantaggioso” cogliendo tutti gli obiettivi del Green deal. Sapremo quindi, mercoledì, quale sarà la rotta per il “Clean industrial deal”, ovvero l’evoluzione del Green deal aggiornato e annacquato per rispondere alle pressanti richieste e agli interessi dell’economia meno green, se si salderà l’alleanza tra Popolari e destra conservatrice dopo alcune prove generali su provvedimenti come la deforestazione, e se la strategia climatica europea rischierà la revisione al ribasso degli obiettivi di riduzione delle emissioni –  -55% entro il 2030 e la neutralità carbonica nel 2050 –, sulle rinnovabili e l’efficienza energetica, sui nuovi carburanti con il bando dal 2035 del motore endotermico, le case green, l’idrogeno e la cattura del carbonio, le batterie per l’accumulo, l’automotive.

Più delle parole parleranno i fatti. E l’Europa non può non lanciare un messaggio al mondo contrastando il trumpismo coi fossili nel cuore, quando con le nuove politiche del Commander in chief l’America is back ha già portato all’uscita dall’Accordo di Parigi sul clima.



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