Oriente Occidente di Rampini | La Cina (suo malgrado) può aiutare Trump a piegare Putin. La chiave è il petrolio

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Donald Trump lo ha detto: per piegare Vladimir Putin e costringerlo a cessare la guerra in Ucraina, la strada maestra passa attraverso petrolio e gas. Cioè: un forte calo del prezzo del greggio e del gas naturale sui mercati mondiali, rendendo più povera la Russia, accentuerebbe le sue difficoltà economiche. Finanziare la guerra sarebbe sempre più difficile, se le entrate scendono. Trump ha accennato anche alla possibilità di inasprire le sanzioni (che sono meno severe di quanto si creda: per esempio, l’Unione europea ha ridotto ma non eliminato gli acquisti di gas russo). Ha in mente però soprattutto un altro intervento: aumentando la produzione di energie fossili in altre parti del mondo, salirebbe l’offerta e scenderebbero i prezzi. A casa sua, il 47esimo presidente è deciso a fare tutto il possibile per facilitare questo aumento di estrazione ed esportazione di energia americana. All’estero, Trump ha preso di mira l’Arabia saudita, secondo produttore di petrolio dopo l’America, perché aumenti anch’essa la sua offerta.

Si può discutere se davvero Putin sia disposto a cedere di fronte a una pressione puramente economica: finora il leader russo ha mostrato di saper infliggere all’economia e alla popolazione russa dei danni enormi. Non è detto che si piegherebbe solo per effetto di un ulteriore impoverimento. Paesi molto più piccoli come Iran e Corea del Nord dimostrano che si può rimanere «affamati e guerrafondai» molto a lungo. Il primato della politica sull’economia spiega tante scelte fatte a Mosca, come a Pechino.




















































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Proprio Xi Jinping, però, potrebbe assecondare – involontariamente – quel tipo di pressione economica che Trump vuole esercitare su Putin. La Repubblica Popolare cinese è di gran lunga il principale consumatore e importatore di energie fossili al mondo. Lo rimarrà a lungo. Però la sua sete di energie fossili diminuisce. Da un lato, perché prosegue lo sforzo di investimento in energie rinnovabili (nucleare, idroelettrico, solare, eolico), come dimostrato anche dalla costruzione della più grande diga nazionale in Tibet, un’opera titanica che supera i record stabiliti dalla maxi-diga delle Tre Gole. D’altro lato la Cina è in una crisi economica che deprime tutti i suoi consumi, energia inclusa. La stagnazione cinese fa venir meno un sostegno ai prezzi di petrolio e gas, cosa che oggettivamente danneggia la Russia e va nella direzione auspicata da Trump.

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Qui sotto vi riassumo un’analisi sul tema di Yusei Sanada e Yusho Cho, appena uscita su Nikkei Asia, molto documentata e aggiornata. Gli esperti cominciano a pensare che la domanda di petrolio da parte della Cina possa raggiungere un tetto prima del previsto. La seconda economia mondiale attraversa un cambiamento strutturale guidato dallo Stato, che incoraggia le vendite di veicoli elettrici, e altre misure. Le tendenze dei consumi in Cina influenzano le prospettive globali per il mercato del petrolio. La possibilità di un picco anticipato nella domanda cinese è emersa dai dati dello scorso anno. Le importazioni di petrolio greggio per tutto il 2024 sono diminuite dell’1,9% rispetto all’anno precedente, segnando il primo calo annuale negli ultimi decenni, escluso il periodo della pandemia. Per effetto di questa debole domanda di petrolio, i futures del petrolio West Texas Intermediate (WTI) sono scambiati intorno ai 70 dollari al barile. 

La domanda di petrolio è determinata dal ciclo economico a breve termine e dai cambiamenti strutturali, come i progressi nell’efficienza energetica, a medio e lungo termine. Alcuni esperti affermano che l’attuale calo della domanda in Cina non può essere spiegato solo dal rallentamento economico del paese. Kieran Tompkins, economista presso Capital Economics nel Regno Unito, ritiene che la Cina sta entrando in un’era di indebolimento strutturale della domanda di petrolio. Li Xuelian, analista presso il Marubeni Institute di Tokyo, ritiene che la domanda di petrolio possa aver già raggiunto il picco in Cina. L’Agenzia Internazionale dell’Energia aveva previsto che la domanda di petrolio da parte della Cina raggiungesse il suo massimo intorno al 2030. 

Se il calo dell’1,9% delle importazioni di petrolio dell’anno scorso non è stato un episodio isolato, la dipendenza della Cina dal petrolio potrebbe essere in declino molto più rapidamente. La rapida diffusione di veicoli a energia nuova (Nev), come i veicoli elettrici, è uno dei fattori. Le vendite di Nev hanno iniziato a superare quelle di auto a benzina a metà dello scorso anno. La Cina aveva 11,43 milioni di stazioni di ricarica per veicoli elettrici a fine settembre, un aumento di circa il 50% rispetto all’anno precedente, grazie agli sforzi pubblici e privati per installarle. La crescente diffusione dei veicoli elettrici riduce drasticamente la domanda di greggio, poiché il carburante per il trasporto rappresenta quasi la metà della domanda totale di prodotti petroliferi nel paese. Inoltre, il governo cinese sta iniziando a ridurre la capacità di raffinazione del petrolio del paese, una delle più grandi al mondo. Il piano d’azione per l’efficienza energetica e la decarbonizzazione prevede di ridurre la capacità di raffinazione a meno di 1 miliardo di tonnellate all’anno entro la fine del 2025 attraverso la fusione delle raffinerie. Il governo afferma che sta perseguendo una politica di zero emissioni carboniche nette.

Ma la sua posizione è incoerente: il consumo e le importazioni di carbone stanno aumentando, e il carbone emette più gas serra per unità di energia rispetto ad altri combustibili fossili come il petrolio. «La Cina mira a rafforzare la sua capacità interna come strategia di sicurezza energetica per difendersi dalle minacce degli Stati Uniti e di altri paesi», secondo Mika Takehara, capo della ricerca presso la Japan Organization for Metals and Energy Security. La Cina dipende dalle importazioni per il 73% del suo consumo di petrolio, rispetto al 40% per il gas naturale e al 7% per il carbone. Questa forte dipendenza preoccupa Pechino, che teme che la catena di approvvigionamento di petrolio possa essere interrotta dagli Stati Uniti in caso di emergenza. 

I prezzi del petrolio sono influenzati dalla domanda strutturalmente più debole in Cina. La Repubblica Popolare ha trainato la crescita della domanda di petrolio dall’inizio del millennio. Pochi analisti si aspettano che l’India assuma questo ruolo per ora. Ora che gli sforzi dell’Opec per mantenere i prezzi hanno raggiunto il loro limite, «è possibile che i prezzi del petrolio scendano a livello di 40-50 dollari al barile», secondo Kazuhiko Fuji, consulente senior presso il Research Institute of Economy, Trade and Industry.

26 gennaio 2025, 12:21 – modifica il 26 gennaio 2025 | 15:13

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