Omero, Dario e chi si prende cura dei lebbrosi sulle orme di Follereau

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Formazione alla diagnosi della lebbra nell’ospedale di Cumura, in Guinea-Bissau – .

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Il comportamento da seguire lo conosciamo tutti. Per combattere una malattia bisogna innanzitutto riconoscerla in modo corretto, poi decidere una diagnosi efficace e seguirla fedelmente. Spesso però non basta. Ci sono infatti patologie che per cultura malevola e paura si accompagnano al rifiuto di chi ne è colpito anche se una vicinanza affettuosa avrebbe un impatto importante sulle cure, in qualche modo potenziandole. Non a caso lo slogan che accompagna la 72ª Giornata mondiale dei malati di lebbra che si celebra il 26 gennaio, recita: “Chi è malato guarisce solo se qualcuno lo abbraccia”. Una frase semplice che però contiene in sé i germi di una rivoluzione, quella che mette al centro non più il morbo da combattere ma la persona che ne è affetta. Un invito all’inclusione, al sostegno nei confronti di chi da sempre viene messo ai margini e, talvolta dimenticato come se non esistesse. In realtà la lebbra c’è ancora, eccome. Nel 2023 sono stati registrati in totale 182.815 casi con un aumento del 5% rispetto al 2022. Di qui l’opera di sensibilizzazione promossa nel nostro Paese da Aifo (Associazione italiana amici di Raoul Follereau), da oltre 60 anni impegnata per garantire il diritto alla cura e all’inclusione per tutti e che oggi è presente con centinaia di volontari nelle piazze e nelle parrocchie d’Italia.

Occuparsi di lotta alla lebbra o malattia di Hansen (il suo nome scientifico) significa parlare di Raoul Follereau, il giornalista e filantropo francese (1903-1977) dalla fede profonda che ha dedicato la vita a combattere una patologia tuttora sinonimo di esclusione e abbandono. Sebbene non siano particolarmente contagiosi e possano essere curati efficacemente i lebbrosi continuano infatti a essere vittime di un vero e proprio rifiuto sociale. Colpa della fama negativa acquisita prima dell’avvento della terapia antibiotica, siamo attorno al 1940, e delle disabilità e deformazioni che possono subire. Di questi malati, insomma, si continua spesso ad avere paura e per questo li si evita con la conseguenza di isolarli e di pregiudicarne la salute psicologica. Proprio contro questo rifiuto si è mosso Follereau evidenziando, al di là della sua gravità, l’alto valore simbolico di una malattia che diventa paradigma delle altre cause di esclusione, di “tutte le lebbre”, come le chiamava lui, che portano al rifiuto dell’altro: la povertà, la fame, l’ingiustizia sociale, l’egoismo, l’indifferenza, il denaro.

La scelta di dedicarsi a combattere la malattia di Hansen è datata 1942 quando Follereau scopre in Costa d’Avorio un villaggio in cui i lebbrosi non sono reclusi ma hanno la possibilità di muoversi liberamente. La Giornata mondiale è datata invece 1954 e vuole essere un invito a non alzare le braccia di fronte una malattia dalla quale si può uscire riprendendosi pienamente la vita. Come è capitato a Omero che vive in Guinea-Bissau, uno dei 20 Paesi più poveri del mondo. «Avevo cercato di curare i sintomi con delle medicine tradizionali – racconta – che però non mi avevano aiutato. Quindici anni fa mi sono recato in un centro sanitario ma la diagnosi è arrivata troppo tardi e i medici hanno dovuto prendere una decisione drastica: l’amputazione del mio piede. Non mi sono arreso e grazie al supporto di Aifo, l’Associazione italiana amici di Raoul Follereau, che mi ha inserito in un programma di formazione professionale, mi sono specializzato nella trasformazione della frutta in prodotti come succhi e marmellate. Adesso vorrei aprire un negozio».

Dario invece ha 18 anni e abita in un piccolo villaggio della provincia di Manica, in Mozambico, uno dei Paesi più poveri al mondo con un indice di sviluppo umano che lo posiziona al 183° posto su 193 Paesi. La lebbra contratta sette anni fa ha lasciato segni sul viso, su un occhio e sulle mani, diventando causa di isolamento e vergogna. I coetanei lo evitavano per paura e lui, per tre anni, ha dovuto interrompere la scuola. Però il ragazzo è stato diagnosticato per tempo e ha iniziato il suo percorso di cura e speranza grazie all’aiuto di Aifo, Oggi sta riscrivendo il proprio destino: dopo aver ripreso gli studi, ha frequentato un corso da barbiere e ora è in grado di guadagnare, rendendosi progressivamente indipendente. Orfano di genitori, vive con i nonni, ma sogna un futuro dove potrà prendersi cura di sé e realizzare i propri progetti. Accanto a quelle di Dario e Omero sono tante le storie di rinascita dalla malattia. Grazie alla prontezza della diagnosi, all’efficacia delle cure, ma anche della vicinanza umana, della condivisione. Terapie che non costano nulla ma che in realtà chiamano in causa ciò che abbiamo di più profondo, e per questo senza prezzo: la compassione, l’empatia, l’umanità.





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