L’aumento di 1.000 euro per i consiglieri regionali e l’antipolitica che (spiace) ma si alimenta anche così

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A parte che ho ancora il vomito per quello che riescono a dire. Non so se son peggio le balle oppure le facce che riescono a fare”. Probabile che nello scrivere “Niente paura” – lirica di ormai parecchi anni fa ma tempo resistente – Luciano Ligabue non avesse in mente il Trentino Alto Adige della politica. Ma per eccesso di privilegio il Trentino Alto Adige non sembra per nulla “autonomo” dal resto d’Italia. Quelle poche righe di rifiuto e di disagio appena rockeggiante del Liga ci evitano dunque – oggi – la ricerca sul peggio del vocabolario. Ci evitano di cercare parolacce, forse ineleganti ma utili a commentare l’aumento di stipendio di cui da questo mese beneficeranno i già troppo beneficiati che siedono in Consiglio Regionale.

 

Un consiglio che per esosità, miopia ed ipocrisia è da sconsigliare. Più di mille euro lordi a mesata andranno da questo gennaio ad ingrossare portafogli già belli colmi. Già troppo colmi. E questo accadrà senza che alcun aggravio di fatica, di impegno, di incombenze, possa fungere da giustificazione. Anzi no, per la verità sbucano anche timide (ma a volte pure arroganti) giustificazioni. Solo che sono incollate alla serietà con lo sputo. La goffaggine presuntuosa sfonda ogni limite di decenza quando lor signori consiglieri – di ogni latitudine politica per di più – precisano che l’aumento sarebbe stato anche più considerevole se anziché essere legato al contratto dei dipendenti regionali fosse dipeso – (come era prima) – agli adeguamenti anti inflazione dell’Istat.

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Come dire che i consiglieri regionali andrebbero perfino ringraziati per la parsimoniosa lungimiranza messa in atto quando nel 2023 decisero di arricchirsi sì oltremisura ma in una misura minore di quanto avrebbero potuto. Hanno fatto spallucce al buonsenso ed al buongusto ma non si pentono. Anzi, quasi chiedono l’applauso. A conti fatti, ogni consigliere regionale si mette in tasca ogni mese 11 mila e 500 euro rispetto a quella “miseria” di 10 mila 445 euro che percepiva prima dello “scatto” odierno. Tolte le tasse ma aggiunto il forfait mensile (altre centinaia di euro) per le “spesucce” di rappresentanza, il pallottoliere della politica procura così tanta acidità di stomaco che ogni genere di gastroprotettori è drammaticamente senza effetto.

 

Più di 6200 euro al mese “puliti” per ognuno dei rappresentanti nell’organo amministrativo che somma i due consigli provinciali. Consigli provinciali (di Trento e di Bolzano) dove ogni ulteriore “carica” (assessorati, ufficio di presidenza) permette di andare alla cassa (pubblica) allargando il sorriso a 64 denti perché c’è “dell’altro” (e non poco) da raggranellare. Ogni mese. Inutile girarci attorno: “sta roba” trasforma i genitali in rotori che più degli elicotteri fanno “girare le pale”. Girano, le pale, a velocità inimmaginabile per far decollare – però e purtroppo – l’impotenza. Eh sì, l’impotenza di chi s’inca…zza oggi sapendo che domani (al prossimo aumento) probabilmente gli toccherà inca…zzarsi ancora di più. Inesorabilmente ma inutilmente perché di fronte alla sordida sordità della politica non c’è Amplifon che possa rimediare.

 

Non che tutto passi sotto silenzio, ci mancherebbe. I sindacati, ad esempio, non hanno fatto passare un minuto nel protestare, denunciare, appellarsi ad una rinuncia dell’aumento che se mai ci fosse (ma non ci sarà) non trasformerebbe i consiglieri regionali in eroi. No, semplicemente, per una volta almeno, li renderebbe meno alieni rispetto a chi rischia un coccolone ad ogni lettura di bolletta, ad ogni esame clinico da pagare senza ticket perché sennò rischi di restarci, ad ogni conto di supermercato (compresi i discount).

 

Ma le più che legittime e condivisibili grida sindacali sono un concentrato di bon ton rispetto a quel che si sente in un qualsiasi capannello per strada o al bar. Lì – e non c’è da stupirsi di certo – va di bestemmie, improperi, turpiloqui, insulti. Eh sì, i due mondi (la politica e tutto il resto) con questo andazzo indegno avranno una distanza ben maggiore di quella che c’è tra Terra e Marte. Quel che rode, quel non sorprende ma però devasta, è il fatto che alle contestazioni la politica nemmeno prova ad arrampicarsi sugli specchi (troppa fatica o troppa boria?).

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Tace e se c’è da batter cassa, acconsente. Il silenzio accomuna gli opposti (nella fattispecie maggioranze e opposizioni). Un “non ti curar di loro ma guarda e incassa” trasversale da destra a sinistra, passando per il centro, i cespugli e le frasche partitiche. Continueranno a dividersi, questo è sicuro, su programmi e virgole. A destra, così è sempre stato, avranno molti meno imbarazzi che a sinistra nel considerare “equo” l’iniquo del loro portafoglio. A sinistra insisteranno a farsi paladini di chi non arriva a fine mese, di chi ha figli che il futuro lo devono rincorrere all’estero, di chi è precario eccetera. Ma per essere paladini non bisognerebbe essere, prima, credibili. Magari con l’esempio di una rinuncia. Nessuno fino ad ora – né da una parte né dall’altra – ha detto “no grazie”. Alla cassa c’è un solo partito: pieno di distinguo ma indistinguibile. Perché dunque meravigliarsi se sempre di più, in ogni settore sociale, dicono e diranno “no grazie” alla politica? Il menefreghismo non è una virtù (per la verità è un sintomo di masochismo) ma rischia di essere considerato sempre più come un’occasione – disperata e disperante – di salvezza.

 

Che poi fosse solo il silenzio dei “beneficiati” senza motivo. Che poi fosse solo l’offesa verso chi come aumento di stipendio – quando ci sono – riceve solo spiccioli che non valgono il prezzo di un caffè. Che poi non fosse che – ad esempio – mentre i consiglieri ingrassano il loro stipendio alle casalinghe è stata bloccata ogni indicizzazione di misera pensione da qui all’eternità. Nessuno – non noi – s’azzarda a dire che non sia importante (per la democrazia) passare giornate ad interrogare, proporre mozioni spesso senza emozione, votare eccetera. Nessuno – non noi – pensa che far politica sia il più semplice (anche se spesso, purtroppo, autoreferente) dei mestieri. Ma quantificare l’impegno politico con un’unità di misura enormemente sproporzionata alla realtà, può ridurre l’impegno ad un “affare” anche quando non si fanno affari. Nel commento generale questa è ormai la sensazione.

 

Non c’è nulla da fare e suonano sinceramente ridicole alcune spiegazioni tra le poche sfuggite al silenzio imperante. Un silenzio che a sinistra – val la pena di ribadirlo – fa più impressione che a destra. Certo, c’è chi ricorda che un consigliere provinciale si sbatte in tutto il Trentino organizzando riunioni, che la “politica di territorio” ha un costo. Sarà, ma undicimila euro al mese lordi più il resto, appaiono come esagerazione inaccettabile. A meno che le riunioni organizzate da un consigliere regionale non siano a base di spumante e caviale.

 

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Se ne sentiranno ancora di ogni. Da ogni parte – dalla politica arricchita e risentita – reagiranno con la solita accusa stantia: qualunquismo. Diranno, ancora, che sono stati votati e che dunque le loro carte sono comunque in regola. In regola lo sono di sicuro perché le regole – economiche – spesso le fanno e le disfano a loro piacimento. Ma la regola generale dell’equità, quella non sembrano davvero conoscerla. Si è aperto con Ligabue e tocca chiudere con Vasco di “C’è chi dice no”. E cioè: “C’è qualcuno che non ha rispetto per nessuno”. Quindi non si lamentino – loro signori e signore consiglieri regionali – se alla politica si mancherà sempre più spesso di rispetto.





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