Ancora disperazione nella Striscia di Gaza, dove un fiume di sfollati palestinesi è bloccato dall’esercito israeliano. E altri morti nel Sud del Libano, dove l’Idf ieri ha sparato sui civili che tentavano di rientrare nei villaggi dell’area della Linea Blu. Le due tregue – a Gaza con Hamas e in Libano con Hezbollah – ora vacillano.
SPINTA
Le immagini riprese dal drone sono drammatiche: migliaia di persone sono accalcate lungo la costa della Striscia di Gaza per ritornare nelle loro case (o in ciò che ne resta), a Nord. Ma l’esercito israeliano blocca il passaggio, contrariamente a quanto è previsto dall’intesa sulla tregua, perché ancora Hamas non ha liberato la ventinovenne israelo-tedesca Arbel Yehud, rapita il 7 ottobre 2023 dai terroristi e da allora tenuta in ostaggio a Gaza. La donna non è nelle mani di Hamas, ma della Jihad Islamica e un suo funzionario ieri sera ha assicurato che è stato trovato un accordo e che Arbel Yehud sarà rilasciata entro sabato prossimo, probabilmente venerdì. Il portavoce dell’ufficio del primo ministro di Israele, però, è stato prudente avvertendo che sono ancora in corso dei colloqui. Il lembo di territorio sul quale c’è la spinta dei palestinesi disperati che tentano di arrivare negli insediamenti del Nord è quello in cui si trova la strada al-Rashid nel corridoio di Netzarim: l’esercito israeliano, sulla base dell’intesa, avrebbe dovuto consentire ai profughi palestinesi di muoversi verso Nord. Hamas accusa Israele di non rispettare i patti: «C’è una fase di stallo con il pretesto della prigioniera Arbel Yehud, nonostante il movimento abbia informato i mediatori che è viva e abbia fornito tutte le garanzie necessarie per la sua liberazione. Riteniamo Israele responsabile del ritardo nell’attuazione dell’accordo».
STRAGE
Ma c’è un altro fronte sul quale si sta alzando drammaticamente di nuovo la tensione, nonostante la tregua in vigore dal 27 novembre: è il Sud del Libano (dunque a Nord di Israele), nei territori da cui, nonostante quanto previsto dall’accordo, l’esercito israeliano non si è ancora ritirato per lasciare il controllo dell’area alle forze armate libanesi. La popolazione sta tentando di raggiungere i villaggi, ma per respingerli i soldati dell’Idf hanno sparato. A fine giornata ieri il Ministero della Salute di Beirut ha diffuso un bilancio molto pesante: 22 morti e 124 feriti. Scrive il quotidiano libanese L’Orient-Le Jour: «Truppe israeliane, rinforzate da un carro armato Merkava e da un bulldozer, sono avanzate verso un gruppo di residenti nella città di Meis el-Jabal. I soldati hanno sparato sulla folla per disperderla. Secondo i residenti locali, il carro armato Merkava ha anche schiacciato un veicolo civile che era parcheggiato sul lato della strada e ha distrutto un altoparlante che era stato utilizzato dai residenti la mattina presto. Inoltre, l’esercito israeliano ha chiuso la strada principale all’ingresso del quartier generale del battaglione nepalese che opera nelle forze dell’Unifil».
Tra le vittime c’è anche un soldato libanese. Perché l’Idf non si ritira, lasciando il controllo dell’area all’esercito di Beirut come previsto dagli accordi? Il canale televisivo Ynet cita alcuni funzionari dello Stato ebraico secondo i quali «Hezbollah sta incitando gli sfollati alla rivolta, sta inviando provocatori nel Sud del Libano, mentre l’esercito libanese non è riuscito a ripulire la zona dalla minaccia terroristica: sta avvenendo ciò che temevamo». Ufficialmente Israele ha confermato che i militari hanno aperto il fuoco nel Libano meridionale contro civili e militanti di Hezbollah che tentavano di raggiungere i villaggi nella zona della Linea Blu, una sorta di area cuscinetto tra Libano e Israele. L’Idf ha precisato che sono stati esplosi «colpi di avvertimento» contro la folla che si avvicinava alle postazioni militari e sono stati arrestati «diversi sospetti che rappresentavano una minaccia imminente». Ha aggiunto: «Rimaniamo schierati nel Libano meridionale, continuiamo a operare in conformità con gli accordi del cessate il fuoco tra Israele e Libano. Stiamo monitorando i tentativi di Hezbollah di tornare nel Libano meridionale». Il nodo è questo: l’intesa prevede che l’esercito libanese garantisca la sicurezza dell’area senza la presenza di Hezbollah, secondo Israele i militari non stanno svolgendo questo compito e c’è il rischio concreto di un ritorno delle milizie sciite. Jeanine Hennis-Plasschaert, coordinatrice speciale delle Nazioni Unite per il Libano, ha spiegato: «Come si è potuto vedere tragicamente in queste ore, non ci sono ancora le condizioni per il ritorno in sicurezza nei villaggi lungo la Linea Blu». Ieri c’è stato un colloquio telefonico tra Macron e Netanyahu.
APPELLO
L’Eliseo ha fatto sapere che il presidente francese ha chiesto al primo ministro israeliano di «ritirare le sue forze ancora presenti in Libano e ha sottolineato l’importanza di non compromettere in alcun modo gli sforzi delle nuove autorità libanesi per ripristinare l’autorità dello Stato in tutto il territorio del Paese». In un quartiere di Beirut c’è stata una manifestazione, in cui sono comparse bandiere di Hezbollah, contro Israele mentre il neopresidente libanese Joseph Aoun ha attaccato: «La sovranità e l’integrità territoriale del Libano non sono negoziabili, stiamo seguendo questo dossier al massimo livello». Il primo ministro ad interim, Najib Mikati, ha chiesto ai promotori dell’accordo di novembre, in particolare Stati Uniti e Francia, di premere sugli israeliani per un loro ritiro. In realtà c’è un’altra area ad alta tensione: la Cisgiordania, dove l’esercito israeliano sta proseguendo azioni militari. Le Brigate Al-Quds, braccio armato della Jihad islamica, hanno annunciato: abbiamo fatto esplodere un ordigno esplosivo contro un veicolo militare israeliano. Le speranze che le due tregue ricostruiscano qualcosa che assomiglia alla pace sembrano sempre più flebili.
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