Quando si è costretti a procedere con un licenziamento la prima domanda che un’azienda comprensibilmente si pone è quella del rischio economico cui va incontro nel caso in cui il provvedimento venga giudicato illegittimo.
Nelle aziende di maggiori dimensioni, che superano il limite dei quindici dipendenti previsto dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, la risposta da dare è da anni difficile, soprattutto dopo che numerosi interventi della Corte Costituzionale hanno di fatto cancellato in buona parte sia gli effetti della riforma Fornero sull’art. 18 della L. 300/70 che quelli dell’introduzione del contratto a tutele crescenti ad opera del DLgs. 23/2015.
Oggi la situazione di incertezza è destinata ad estendersi anche agli imprenditori che non superano il limite numerico dei quindici dipendenti e questo rappresenta sicuramente un problema che un piccolo imprenditore affronta con più difficoltà rispetto ad una azienda di maggiori dimensioni, perché le risorse economiche sono generalmente ridotte e rendono necessaria la massima prudenza nel valutare quali possono essere le conseguenze economiche delle proprie azioni.
Nelle piccole imprese per anni la disciplina delle conseguenze dell’illegittimità del licenziamento è rimasta sostanzialmente ferma e incontestata, per cui era semplice indicare il limite massimo del rischio in sei mensilità, riconosciute al lavoratore illegittimamente licenziato come indennizzo, salvo i casi di nullità del provvedimento. Infatti, l’art. 8 della L. 604/66 prevede da quasi sessant’anni che in caso di illegittimità spetti al lavoratore un’indennità compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di sei mensilità, salvo casi particolari. Analogamente, l’art. 9 del DLgs. 23/2015, applicabile ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, prevede che l’indennizzo non possa in ogni caso superare le sei mensilità.
Questa consolidata disciplina rischia di cambiare a breve, per effetto dei due referendum abrogativi che sono stati giudicati ammissibili dalla Corte Costituzionale lo scorso 20 gennaio, l’uno relativo all’abrogazione del contratto a tutele crescenti, l’altro che riguarda l’abrogazione del limite massimo dell’indennizzo spettante al lavoratore previsto dall’art. 8 della L. 604/66.
Anche se i referendum non dovessero avere successo, tuttavia, la disciplina per le piccole imprese sembra comunque destinata ad essere superata a breve dall’intervento dei giudici costituzionali. Infatti, la Corte Costituzionale nel luglio del 2022, con la sentenza n. 183/2022, aveva considerato inadeguata la tutela indennitaria prevista per le piccole imprese, ma non era intervenuta con una pronuncia di illegittimità, affidando al legislatore il compito di provvedere, ma preannunciando che in caso di ulteriore inerzia sarebbe stata inevitabile una pronuncia di illegittimità, qualora la Corte fosse stata nuovamente investita della questione (si veda “Per la Consulta indifferibile la riforma della disciplina dei licenziamenti” del 23 luglio 2022).
Di recente, il Tribunale di Livorno, con l’ordinanza del 2 dicembre 2024, ha nuovamente sollevato la questione di legittimità costituzionale del limite previsto dall’art. 9 del DLgs. 23/2015 (si veda “Legittimità della disciplina dei licenziamenti nelle piccole imprese ancora dubbia” dell’11 gennaio 2025), per cui la materia tornerà a breve all’esame della Consulta, che dovrebbe dichiarare l’illegittimità del limite massimo all’indennizzo previsto dall’art. 9, a meno di smentire la sua precedente pronuncia.
Tenuto conto che il venir meno dei limiti all’indennizzo di cui si è detto, sia per effetto dell’esito positivo dei referendum sia per una pronuncia della Corte Costituzionale, varrebbe con effetto sostanzialmente retroattivo e riguarderebbe anche i licenziamenti comminati oggi, ma in merito alla legittimità dei quali non sia ancora intervenuta una pronuncia giudiziale passata in giudicato, è chiaro che nel rispondere alla domanda sulle conseguenze dell’eventuale illegittimità del licenziamento occorre essere particolarmente prudenti, quando si è di fronte ad un’impresa con meno di quindici dipendenti. Non si può, infatti, essere certi che il licenziamento comminato oggi venga poi valutato in un momento in cui la legislazione applicabile preveda ancora il limite massimo di indennizzo di sei mensilità. Anzi, è molto probabile che, se la controversia è destinata a sfociare sul piano giudiziario, la decisione intervenga quando la legislazione in merito sarà mutata, visto il tempo normalmente necessario per arrivare al passaggio in giudicato di una sentenza.
Allo stato, quindi, anche nelle piccole imprese occorre valutare attentamente se vi siano tutti i presupposti di legittimità per risolvere il rapporto di lavoro e, se il licenziamento è impugnato, per evitare rischi conviene cercare velocemente un accordo stragiudiziale che definisca la controversia, evitando l’instaurazione di un giudizio, incerto non solo sugli esiti, ma anche sulla disciplina applicabile.
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