In primavera si andrà a votare sì o no a cinque quesiti referendari abrogativi. Si andrà? Vedremo. A considerare la serie storica, sembra che butti male per il quorum, cioè il 50% più uno di voti espressi sul totale degli aventi diritto, condizione necessaria per la validità della consultazione. Dal primo referendum, divorzio 1974, a oggi, si sono svolti 72 referendum abrogativi, di cui 39 validi per aver superato il quorum e 33 nulli per non averlo raggiunto. Ma con una vistosa progressione nel tempo. Negli anni ’70, 3 referendum, tutti validi; negli anni ’80, 11 referendum, tutti validi; negli anni ’90, 21 referendum validi e 11 nulli perché non hanno raggiunto il quorum; negli anni 2000, 4 referendum validi e 22 nulli, con percentuale di votanti del 30-20 per cento.
Venendo all’oggi, i cinque referendum che si terranno sono vagoncini di un convoglio che ha perso la locomotiva, cioè il referendum contro l’autonomia regionale differenziata. Era quello che interessava, ma la Consulta non l’ha validato. I referendum-vagoncini sono uno per abolire il limite minimo di dieci anni per ottenere la cittadinanza italiana, proposto da +Europa, e quattro per abolire certe norme sul lavoro, proposti dalla Cgil. La propaganda di Landini e Schlein dice: referendum contro il Jobs act di Renzi. Ma non è esattamente così. Per chi non ricordasse: si usa chiamare Jobs Act (copyright Barack Obama, a essere scrupolosi) un complesso di provvedimenti di riforma del mercato del lavoro varati nel 2015 a seguito della apposita legge delega del 2014, dal Governo guidato appunto da Matteo Renzi, all’epoca capo del Pd allora orientato su scelte riformiste.
Uno dei quattro referendum riguarda la responsabilità degli infortuni sul lavoro nei casi di subappalto: il tema c’è, il metodo referendario è opinabile.
Altri due appaiono curiosamente poco convincenti perché finalizzati ad abolire norme che in buona sostanza non esistono più: quelle sulle tutele crescenti e sulle causali nei contratti a termine su cui la Corte costituzionale ha costretto a modifiche con ben dieci sentenze e un’ordinanza. L’altro referendum, per l’abolizione del tetto di indennizzo in casi di licenziamento cosiddetto illecito, provocherebbe una retrocessione dai 3-36 mesi di stipendio previsti dal Jobs Act ai precedenti 2-24 della legge Fornero (Governo Monti). Una mossa tafaziana, si direbbe.
Molti ragionamenti si potrebbero fare sulle mosse e i giochi politici in atto. Lasciamo stare. Limitiamoci a qualche considerazione sulle concezioni in gioco, sul senso del lavoro e il ruolo del sindacato (su cui prevedo non ci sarà, ahimè, pubblico dibattito).
Sul lavoro. Una vecchia concezione considera il problema del lavoro risolto nell’occupazione del posto fisso; quello che è diverso da questo è una negatività. La tutela del lavoratore si afferma necessariamente in contrasto all’imprenditore, e si attua dall’alto con l’intervento coattivo dello Stato e dal basso con la conflittualità metodica e “a prescindere”. Il sindacato (Cgil) si fa soggetto politico e capovolge il rapporto con quello che fu il Pci: il referendum sulla scala mobile (perso) del 1985 fu voluto dal partito, subìto obtorto collo da Lama e dai comunisti della Cgil, respinto dagli altri. Questi quattro referendum sono voluti dalla Cgil con la Schlein che si accoda a costo di rinnegare un pezzo di storia del suo stesso partito e di snobbare la componente riformista (tra cui i cattolici).
Un altro modo, non ideologico, di vedere considera il lavoro innanzitutto come espressione di un soggetto, di un io consapevole e messo in relazione, perciò sostenuto in un percorso di lavoro. Vedi la lezione del grande Marco Martini, e gli apporti di giuslavoristi ed economisti riformisti e non certo di destra come Tarantelli, Biagi, D’Antona, vittime non casuali del terrorismo di sinistra. Oggi le attese di un giovane sono di senso del lavoro, di conciliazione lavoro-vita, di possibilità di crescita piofessionale. Il mercato del lavoro ha un problema di qualità, di allineamento delle competenze con le esigenze delle imprese; quindi, serve accompagnamento della persona in qualsiasi tipo di contratto, orientamento, formazione specifica e formazione continua, sostegno al reddito e tutele.
Quanto al ruolo del sindacato, in questa logica, si tende a un sindacato “sussidiario”, che fa perno sulla contrattazione partecipata e sugli accordi bilaterali. Si difende il lavoro difendendo l’impresa, e viceversa.
In questa direzione la Cisl ha proposto una legge sulla partecipazione di una rappresentanza dei lavoratori ai Consigli di amministrazione delle imprese. Per la Cgil la legge sarebbe troppo favorevole ai padroni; per parte dei padroni, sarebbe troppo favorevole ai lavoratori. Il “vecchio che avanza”. Avremo modo di riparlarne.
Per intanto da questi referendum possiamo almeno trarre una piccola lezione: che su materie complesse, come il lavoro e le sue tutele, e l’ evoluzione del mercato del lavoro, non serve la “pars destruens”, cioè non va bene il referendum abrogativo che è per sua natura destruens, ma occorre avanzare proposte e confrontarle facendo i conti con la realtà.
Così – temo – finirà che non gliene frega niente a nessuno, e non è un gran guadagno.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link