Ucraina. La psicosi di essere esclusi dal tavolo delle trattative

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 


di Enrico Oliari

Al tavolo delle trattative per porre fine al conflitto ucraino vogliono sedersi tutti. Anche i leader di quei paesi che hanno spinto a tutti i costi per l’allargamento della Nato ad est provocando la reazione della Russia in Ucraina, quelli che hanno inviato armi e soldi ponendosi di fatto come parte nel conflitto, quelli che hanno intriso la comunicazione mediatica di russofobia, quelli che hanno sanzionato tutto il sanzionabile, e quelli che sono arrivati persino ad annullare le lezioni universitarie tenute da professori russi o i concerti con i direttori d’orchestra russi.
A Mosca tuttavia è ben chiaro che a comandare la baracca degli “yes man” europei è chi siede alla Casa Bianca, per cui qualcuno al Cremlino deve aver pensato che è sufficiente dialogare con Donald Trump per giungere al dunque, senza perdere tempo con cespugli e cespuglietti.
Anche perché, ha affermato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov parlando del Belpaese, le relazioni fra la Russia e l’Italia stanno attraversandola crisi più profonda dalla Seconda guerra mondiale, cosa di cui ne è responsabile il governo di Roma. Una “posizione antirussa”, quella italiana, che ne esclude la partecipazione, insieme agli altri paesi europei, dal processo di pace in Ucraina.
Ripreso dalla Tass, Lavrov ha fatto notare che “per quanto si parli sempre più di trattative di pace, i paesi europei continuano a riversare in Ucraina armi, lanciano ultimatum e neppure è stata presa in mano la questione della legittimità del governo e della presidenza ucraina”, il cui mandato è terminato nel maggio 2024.
In realtà a Mosca non sembrano maturi i tempi per la pace, anche perché non sono ancora stati raggiunti pienamente gli obiettivi dell’Operazione speciale”, cioè dell’invasione, a cominciare dalla questione dell’entrata dell’Ucraina nella Nato per arrivare alla tutela della minoranza russofona del Donbass e alla cacciata di Volodymyr Zelensky. Visti i segnali e l’aria che tira, il leader ucraino ha messo le mani avanti sostenendo che “è impossibile escludere l’Ucraina dalle trattative”, una posizione diametralmente opposta alla legge, da lui voluta, che vieta al presidente e ad ogni altra autorità del governo di trattare con Vladimir Putin.
Sull’esclusione dell’Italia è intervenuto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, per il quale “Noi non siamo in guerra con la Russia, ma difendiamo il diritto dell’Ucraina ad essere uno Stato indipendente”, “avremo tutti quanti un ruolo nella costruzione della pace, e insieme agli Usa sosterremo le politiche che porteranno a raggiungere l’obiettivo di una pace giusta, quindi non una sconfitta ucraina”.
Tajani ha giustamente ricordato che, a differenza degli statunitensi, dei francesi e dei britannici, l’Italia non ha dato il permesso all’Ucraina di utilizzare le armi inviate per colpire il territorio russo. Perché, ha sottolineato il capo della Farnesina, “noi non siamo nemici di nessuno, siamo costruttori di pace”.
Da che guerra è guerra la posizione di peso al tavolo delle trattative la ha il vincitore o chi sta vincendo, in questo caso la stessa Russia che gli occidentali hanno cercato di isolare, come me il mondo nascesse a Washington e finisse a Bruxelles.
Lo stesso Donald Trump starebbe pensando a una trattativa diretta con Putin, anche perchè “neppure Zelensky avrebbe dovuto permettere lo scoppio della guerra, non è un angelo”. L’inquilino della Casa Bianca lo ha affermato nel corso di un’intervista per la Fox News, e ha insistito che gli ucraini “devono oggi combattere un esercito molto più grande e potente: loro hanno 30mila carri armati, Zelensky praticamente nessuno”. Il presidente ucraino “non avrebbe dovuto accettare di fare la guerra, perché avremmo potuto trovare un accordo. Invece lui ha detto di voler combattere”.
In realtà Zelensky si sarebbe voluto fermare e avrebbe voluto trattare nel momento in cui si stavano ammassando truppe russe al confine ucraino, ma poi a convincerlo a entrare in guerra era stato il premier britannico Boris Johnson, certo che isolamento economico e armi occidentali avrebbero fermato Putin. Johnson, come lo statunitense Joe Biden, avevano in realtà altri interessi, non di certo il benessere o la salvezza del popolo ucraino: vendere armi e portare gli alleati a liberarsi delle armi obsolete nei magazzini per comprarne di nuove. Ovviamente da loro.

Prestito personale

Delibera veloce

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link