“Roma coacervo di mafie”. L’allarme lanciato dalla corte di appello

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Gli affari criminali stanno trovando spazio fertile a Roma. Con la Capitale diventata il “coacervo di tutte le mafie”. Parole che sono risuonate con tutta la loro forza nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. A riferirle è stato Giuseppe Meliadò, presidente della corte d’appello nella città eterna. 

Roma “coacervo di tutte le mafie”

Un quadro su cui riflettere, soprattutto nel passaggio dove è stato indicato che “percezione di questa emergenza stenta ad andare di pari passo con la velocità con cui si radicano e diffondono le organizzazioni”. A preoccupare è un aspetto. Ossia quello della presenza dei clan nella città eterna. Ad allarmare, in tal senso, è un voce: “La massiccia presenza di associazioni a delinquere anche di stampo mafioso” a Roma. Ma anche a Velletri, Frosinone, Cassino, Latina. Tutto ciò, ha insistito Meliadò, non ha fatto altro che rendere “gli uffici romani comparabili a quelli delle ‘capitali storiche’ delle associazioni criminali del Paese”. Andando nel dettaglio, nel 2024 – è stato ricordato – sono stati 254 i procedimenti della Dda (Direzione distrettuale antimafia) finiti sul tavolo dell’ufficio Gip. Facendo un rapido calcolo, i numeri sono eloquenti: quasi uno al giorno. Rimanendo alle cifre, c’è stato un aumento del 25 per cento di quelli con oltre trenta imputati.

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“A Roma la mafia c’è, mancano i magistrati”

Concetti, questi, che la scorsa estate già erano stati tracciati da Francesco Lo Voi, procuratore capo di Roma: “A Roma e dintorni la mafia c’è. La criminalità organizzata si espande in tutti i settori che consentono opportunità di reinvestimento attraverso riciclaggio e autoriciclaggio nelle forme più diverse: edilizia, ristorazione, ricezione alberghiera, attività di servizi, logistica. Nella pubblica amministrazione, molto spesso l’infiltrazione presenta poi aspetti di vera e propria occupazione”. Con l’aggiunta: “Eravamo contenti quando il Csm ci ha fatto omaggio di nove posti di sostituti che non sono ancora arrivati ma altri se ne stanno andando. La Dda dovrebbe avere 24 sostituti ma non riusciamo ad averne più di 13, per un distretto che – come confermano le cronache – è impegnato a fronteggiare situazione complessa”.

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Violenza sulle donne

Tornando alla relazione annuale, il lavoro dei magistrati si è concentrato anche su altri aspetti. Uno di questi, è legato ai reati di violenza familiare sulle donne. Ovvero quasi il 32 per cento dei procedimenti “di rito collegiale pervenuti a giudizio presso il Tribunale di Roma”. Il che ha comportato “l’afflusso presso la Corte di oltre mille processi”, evidenziato il presidente della Corte. Allo stesso tempo, però, è stata indicato indicato che l’organico a disposizione è basso. Perciò, il risultato finale è stato così sintetitazzo da Meliadò: “Un numero irrisorio di giudici fronteggiano a Roma una valanga di reati”. E il rischio penale “in questa condizione non costituisce un adeguato deterrente rispetto alle opportunità di guadagno che offre l’attività criminale”.

Il rischio del cybercrime

Infine, nella relazione è stato toccato anche il tema dei rischi dell’imminente futuro, come quelli connessi al cybercrime e, più precisamente, all’accesso alle reti da parte dei pirati informatici. Il procuratore generale Giuseppe Amato, in proposito, ha osservato: “È un fenomeno preoccupante, non soltanto per la violazione delle regole della privacy, ma anche perché l’utilizzo abusivo di questi dati prefigura un pericoloso utilizzo antidemocratico, con strumentale finalità di destabilizzazione politica e istituzionale”. Da qui la conclusione che “va contrastato, sì, in via repressiva, ma soprattutto attraverso un rafforzamento qualitativo dello strumentario preventivo, promuovendo una difesa attiva e un più selettivo accesso ai sistemi”    



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