Innalzate le misure di sicurezza: entrambi sono già sotto scorta. L’inchiesta Hydra punta sull’alleanza in Lombardia tra camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra. L’allerta sale anche dopo l’arresto, casuale, di uno degli indagati trovato con un revolver in piazza San Babila
L’inchiesta è sul tavolo del procuratore di Brescia Francesco Prete, competente sulle indagini che vedono vittima i magistrati milanesi. Un fascicolo «delicato» perché gli inquirenti ritengono «molto serie» e «circostanziate» le minacce di morte nei confronti del procuratore Marcello Viola e del pm della Dda Alessandra Cerreti. Minacce che hanno fatto scattare un innalzamento delle misure di sicurezza per i due magistrati, già sotto scorta da tempo. Viola ha lavorato anni tra Palermo e Trapani, in prima linea nella battaglia a Cosa nostra. Adesso però i livelli di attenzione sono massimi perché gli inquirenti temono un collegamento con l’inchiesta «Hydra» del Nucleo investigativo dei carabinieri e della Dda che proprio in questi giorni sta incassando la conferma degli arresti dalla Cassazione, dopo che il Riesame aveva accolto il ricorso della procura per 41 indagati in seguito alla bocciatura a ottobre ‘23 da parte del gip di 142 istanze di misura cautelare su 153.
L’inchiesta sulla «mafia a tre teste» con l’alleanza tra Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta è stata coordinata proprio dalla pm della Dda Alessandra Cerreti. E le minacce di morte risalirebbero a ottobre, periodo in cui il magistrato era in aula con il procuratore Viola per discutere i ricorsi al Riesame. Un segnale «inquietante» che confermerebbe la pericolosità del «sistema mafioso lombardo». Le indagini si muovono nel riserbo, ma mercoledì l’arresto del tutto casuale in piazza San Babila di uno degli indagati, Giovanni Abilone, con la scoperta di un arsenale nascosto di armi da guerra (mitra, fucili e pistole automatiche che ha detto di aver «trovato in montagna») ha allarmato ulteriormente questura e prefettura che già avevano «innalzato» le misure di sicurezza intorno ai due magistrati.
L’inchiesta «Hydra», che aveva segnato uno scontro aspro tra ufficio inquirente e giudicante proprio per la sostanziale «bocciatura» da parte del gip Tommaso Perna, sta entrando nel vivo in queste settimane con la conferma della suprema corte dell’impianto dell’accusa di mafia e l’esecutività degli arresti. Tra i primi catturati anche il presunto vertice del gruppo mafioso, Gioacchino Amico, subito liberato su istanza della stessa procura poiché ha già scontato un anno di custodia cautelare (era stato tra gli 11 arresti eseguiti a ottobre ‘23), termine massimo previsto. È invece un caso la mancata cattura del boss Paolo Aurelio Errante Parrino. Anche per lui la Cassazione ha disposto il rigetto del ricorso e quindi la conferma dell’arresto. Ma «Zio Paolo» non si trova. Icarabinieri l’hanno cercato ovunque. Il boss, 78 anni, originario di Castelvetrano (Trapani) e parente acquisito dell’ex primula rossa di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, vive ad Abbiategrasso dove ha gestito per anni il bar «Las Vegas» poi chiuso su ordine della prefettura.
Lì però non si trova e c’è il timore che Errante Parrino, considerato l’uomo dei castelvetranesi in Lombardia e referente diretto di Matteo Messina Denaro, abbia preparato la fuga in anticipo grazie ai tempi lunghi della giustizia. Dopo la condanna per droga negli anni Novanta, ha dribblato le inchieste negando i rapporti con Cosa nostra. Continuando a frequentare, non senza imbarazzi, la politica locale. A cominciare dal sindaco di Abbiategrasso Cesare Nai.
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