di Federico Giusti
In arrivo i dati che assegnano ad ogni Ente la sua quota di tagli ribattezzati con i soliti termini anglofoni ossia spending review, dopo il nulla osta nella Conferenza Stato Città ci sarà il rapido passaggio in Gazzetta Ufficiale a firma del ministro dell’Economia Giorgetti e del Ministro all’Interno Piantedosi.
Comuni, Città metropolitane e Province in 5 anni dovranno tagliare la spesa di 1,5 miliardi salvo ulteriori richieste, assai probabili, nelle prossime Manovre di Bilancio
A detta del Governo non ci sarà un taglio ma solo, si fa per dire, una sorta di obbligo di accantonamento delle risorse destinate ad investimenti nelle amministrazioni in equilibrio, oltre all’obbligo, per le amministrazioni in rosso, di ridurre il disavanzo.
Al di là del linguaggio formale e burocratico ci saranno riduzioni di spesa per Enti già al collasso tra riduzioni della facoltà assunzionale e contenimento delle spese. E i tagli, chiamiamoli una volta tanto con il loro nome, saranno in crescendo nel prossimo quinquennio.
Sempre il Governo parla poi di perequazione assegnando 56 milioni dal fondo extra con tanto di DPCM concertato nella riunione della Conferenza Stato città ma la sproporzione tra i tagli e i finanziamenti resta evidente a chiunque voglia munirsi di calcolatrice e fare due conti.
Gli Enti locali saranno soggetti a riduzione di spesa a fronte di fondi già risicati e non è sufficiente il criterio adottato della proporzionalità tra i tagli e la spesa corrente al netto di interessi.
Alcune città metropolitane come Torino, Napoli, Reggio Calabria e Palermo, saranno escluse dopo avere sottoscritto appositi patti di risanamento, complessivamente saranno circa 4mila i Comuni interessati all’operazione.
La domanda ancora senza risposta è quali capitoli di bilancio saranno interessati o, meglio ancora, se la riduzione di spesa riguarda i variegati ambiti del sociale perchè dai documenti del Mef, assai particolareggiati, si evince solo l’entità dei tagli per ogni Comune o Provincia ma non riusciamo a comprendere, sarà un nostro limite, i capitoli interessati.
Un calcolo che tiene conto della spesa corrente ma non delle conseguenze sociali di questi tagli, questa resta la vera natura di ogni spending.
E sullo sfondo di questa operazione finanziaria restano insoluti i problemi che attanagliano la Pubblica amministrazione italiana che, al netto dei salari e degli investimenti, resta la Cenerentola della UE.
Come intende affrontare allora il Governo Meloni questi problemi? Non è dato saperlo tanto che la stessa domanda viene rivolta anche da Il Sole 24 Ore che tenero con la Pa non è mai stato.
Basterebbe riflettere sugli stessi dati forniti dal Ministero che parlano di 1,3 milioni di candidati ai concorsi nel 2024 con 340mila assunzioni negli ultimi due anni, numeri se confrontati con i pensionamenti e le carenze croniche degli organici restano del tutto insufficienti, per non parlare poi delle rinunce dei vincitori di concorso per le buste paga troppo leggere negli enti locali (e il comparto ogni anno perde circa 10 mila unità stando alle statistiche diffuse),
Il Governo quantifica la spesa per i contratti pari a circa l’8,9 del Pil, numeri in apparenza elevati ma inferiori alla spesa media dei paesi UE che è attorno al 10 per cento.
Sempre i dati della FPA, forniti da il Sole 24 Ore, ci restituiscono un quadro desolante, l’Italia ha 5,7 dipendenti pubblici ogni 100 abitanti, la media di altri paesi Ue oscilla tra il 7 e l’8,4 per cento. Nell’arco di un decennio il nostro paese presenta per la PA una spesa inferiore di un decimo della media europea.
Dal 2011 al 2024 i «redditi da lavoro dipendente» pubblico sono cresciuti nell’Eurozona del 42,6%, , in Italia invece del 13,9%, abbiamo perso potere di acquisto anche in relazione al costo della vita (circa l’11 per cento).
La risposta del Governo è stata quindi inadeguata sia sul versante salariale che sul piano delle assunzioni e prova ne sia il turn over al 75% previsto per diversi comparti della Pa nei prossimi anni
La demagogia del Governo ha gioco facile riportando la cifra di 3,322 milioni di dipendenti come la quota massima dal 2010, non si fa parola di quante siano state invece le assunzioni nei paesi Ue e l’ammontare dei rinnovi contrattuali perché, con questi calcoli, sarebbe del tutto palese lo stato di abbandono della Pa confermato anche dall’ennesima spending review.
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