Nel Paese cresce la preoccupazione mentre oggi scade la sospensione delle ostilità con Israele che annuncia di voler prorogare la presenza delle sue truppe nel sud. Francesca Lazzari di Avsi: nessuno può dire cosa accadrà e oltre centomila persone non hanno più neanche una abitazione
Roberto Paglialonga – Città del Vaticano
La tregua firmata da Israele ed Hezbollah il 27 novembre scorso scade oggi, 26 gennaio. E in Libano cresce la preoccupazione per una ripresa delle ostilità, soprattutto a causa dell’annunciata volontà da parte di Tel Aviv di prorogare di altri 30 giorni la permanenza delle truppe nelle aree meridionali del Paese. Hezbollah, con una nota ufficiale, ha già fatto sapere che non intende «accettare alcun rinvio», considerandolo una «flagrante violazione dell’accordo e della sovranità libanese». Dal Ministero della Salute libanese sono giunte nelle scorse ore notizie di tensioni nel sud del Paese, dove l’esercito israeliano (Idf) sta aprendo il fuoco sugli sfollati che tentano di rientrare nei propri villaggi. Tre morti e oltre 30 feriti è il bilancio al momento. Nel fine settimana l’Idf avevano avvertito i civili libanesi di non avvicinarsi alle zone in cui sono ancora schierate le truppe.
L’incognita del domani
«Purtroppo le tensioni ci sono, la presenza dell’esercito israeliano nel sud è ancora consistente, così come lo è il livello degli attacchi soprattutto nelle zone di confine. Nessuno è in grado di dire ciò che potrà accadere», conferma in una conversazione telefonica con i media vaticani la responsabile di Avsi in Libano, Francesca Lazzari. E questo avviene «in un momento nel quale la situazione umanitaria rimane molto critica», aggiunge. La maggior parte degli sfollati ha già fatto ritorno alle proprie case, «ma ne rimangono comunque oltre 100.000: si tratta di persone che non hanno più un’abitazione dove andare, perché rasa al suolo o gravemente danneggiata; oppure che si trovano nei villaggi più meridionali e sono impediti nell’accesso alle case dalle truppe dell’Idf».
Il supporto psico-sociale
A essere state danneggiate sono in particolare le infrastrutture: i tanti che «pure riescono a rientrare poi non hanno accesso all’acqua o all’elettricità». Ma le emergenze non si fermano alle esigenze della ricostruzione degli edifici o delle forniture di viveri. «C’è un grande bisogno di supporto psico-sociale tanto per gli adulti quanto, soprattutto, per i bambini. La popolazione è traumatizzata dai mesi di bombardamenti e combattimenti» tra esercito israeliano e miliziani islamisti. E poi l’educazione: «È un punto fondamentale per il ritorno a una vita normale per i più piccoli e non solo: gli anni scolastici negli ultimi tempi sono stati varie volte interrotti, o non sono proprio partiti. Molti edifici sono ancora chiusi o per ragioni di sicurezza o perché distrutti nei raid; e nel sud, soprattutto, sono oltre 20.000 i bambini che da più di un anno non vanno a scuola. In alcuni casi si è tentato di sopperire con lezioni da remoto, ma ciò è avvenuto in mezzo a mille difficoltà dato il contesto di gravissima crisi economica e sociale, con famiglie magari non in grado di fornire ai figli strumenti tecnologici adeguati o con connessioni internet decisamente instabili». Attività, quelle educative — come i corsi di recupero o di aiuto allo studio — e di supporto psico-sociale, che hanno visto e vedono Avsi tra le organizzazioni maggiormente impegnate sul territorio, fin dal 1996. «Dal 2006 poi, quando si svolse il secondo conflitto (dopo quello del 1982), siamo presenti in particolare a sud del Monte Hermon, nel distretto di Marjayoun, che è una delle zone più interessate dagli attacchi degli ultimi mesi».
La speranza di stabilizzazione
Dopo oltre due anni di stallo, ora l’elezione del comandante delle Forze armate, Joseph Aoun, a nuovo presidente della Repubblica, costituisce un fattore di speranza verso una stabilizzazione del contesto di crisi economico-finanziaria e sociale che ha colpito il Libano da almeno cinque anni. «Non c’è dubbio che la svolta sia stata salutata con grande favore, e il primo ministro incaricato, Nawaf Salam (che era a capo della Corte internazionale di giustizia, n.d.r.), è chiamato adesso a formare un nuovo governo per mettere mano a tutte le riforme necessarie alla ripresa». La stabilità dell’area dipenderà anche dall’evolversi della situazione in Siria, verso la quale «prevale un sentimento di prudenza». Anche tra i profughi siriani, che il Libano è stato tra i principali Paesi del Medio Oriente ad ospitare (fino a 1,5 milioni di persone), «al momento non si sono visti ritorni di massa. Anzi, il numero delle uscite verso la Siria pareggia quello di chi è rientrato in Libano. Tutti in sostanza aspettano di capire cosa faranno concretamente i nuovi leader di Damasco guidati dal Muhammad al-Jolani, dopo le promesse delle settimane successive alla caduta di Bashar al-Assad», conclude Lazzari.
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