di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «È sicuro che adesso il comitato referendario si scioglierà». Cosi il costituzionalista Massimo Villone, membro del comitato promotore del referendum per l’abolizione della legge Calderoli sull’autonomia differenziata. E continua sottolineando «la totale inerzia dimostrata da esso in questi mesi».
Il suo giudizio è netto anche sulla inammissibilità dichiarata dalla Corte Costituzionale. Scelta che definisce «non condivisibile e un po’ cerchiobottista», e continua: «sarà ora essenziale mantenere una pressione sulle forze politiche nelle sedi istituzionali, e far emergere la contrarietà a una frammentazione del Paese».
Certamente, come peraltro sottolineato dai quotidiani vicini alla Lega e, in modo meno convinto, da quelli vicini al resto del Centro Destra, quello della non ammissibilità è una sconfitta per le forze che si sono opposte all’Autonomia Differenziata.
In particolare per i Movimenti Meridionalisti che si erano compattati, insieme ad alcuni sindacati e ai Partiti Progressisti, su un no deciso ad una legge che costituzionalizzava l’esistenza di cittadini di serie A e di serie B.
Qualcuno sostiene che la decisione sia stata un’ancora di salvezza, perché una eventuale ammissibilità avrebbe portato ad una sonora sconfitta. Lo sosteneva il Doge di Venezia, Luca Zaia, che aveva detto «Il referendum è un istituto democratico. Se dovesse essere approvato anche dalla Corte costituzionale, decideremo che cosa fare. Ma credo che siano i promotori del referendum che dovrebbero preoccuparsi di più. Saranno loro a dover trovare i voti per abrogare la legge Calderoli».
In realtà è evidente che sarebbe stato estremamente complicato portare a votare il 51% degli aventi diritto. Peraltro, su un tema di difficile comprensione, che rischiava di essere strumentalizzato da una propaganda da parte delle forze favorevoli all’autonomia molto decisa. Che avrebbero insistito sui temi a favore della legge, come la maggiore efficienza di un sistema che porta a decidere e operare coloro che sono più vicini ai territori e quindi conoscono meglio l’ esigenza delle realtà gestite.
Altro tema sul quale avrebbero insistito è quello relativo all’evidenza che senza autonomia la realtà è pessima, e i diritti di cittadinanza sono assolutamente diversi tra una parte e l’altra del Paese. E che contro l’autonomia sono in realtà coloro che sono contro l’efficienza e la sana gestione delle risorse disponibili.
Non sarebbe stato facile convincere i tifosi del centrodestra, anche meridionali, delle ingiustizie che con la legge sull’autonomia si sarebbero potute perpetrare, peggiorando addirittura la distribuzione che avviene oggi con la spesa storica che, come evidenziato nei Conti Pubblici Territoriali del Dipartimento per le Politiche di Coesione, registra una differenza, rispetto a una spesa pro capite uguale per tutti i cittadini italiani, di circa 60 miliardi a favore del Nord.
E se anche il voto favorevole alla abolizione fosse stato bulgaro, come qualcuno si attendeva, raggiungere la partecipazione al voto necessaria sarebbe stato se non impossibile, certamente complicato.
Eppure, malgrado le motivazioni condivisibili, anche in presenza di un rischio elevato che il referendum non sarebbe passato, esso avrebbe rappresentato un momento importante per la battaglia che il Mezzogiorno sta conducendo per diventare parte attiva di un Paese con grandi disuguaglianze.
Infatti la mobilitazione, indispensabile per diffondere l’informazione sull’oggetto della votazione, avrebbe rappresentato un momento importante per accrescere la consapevolezza di essere per molti aspetti una colonia interna.
Si sarebbe replicato quello che è avvenuto con la raccolta delle firme per chiedere di poter celebrare la chiamata al voto dei cittadini. Che poi è quello di cui ha più bisogno un Sud disattento, che non si occupa adeguatamente dei problemi che lo riguardano.
In particolare, quella borghesia che si è fatta convincere da una vulgata nazionale che le responsabilità del mancato sviluppo risiedono nell’incapacità di portare avanti le politiche che il Governo nazionale e l’Europa vorrebbero attuare.
Dimenticando l’esistenza di una classe dominante estrattiva locale, spesso collusa e funzionale al disegno di un Paese che si pone in modo estrattivo, sia per quanto riguarda le risorse umane che ogni anno vengono costrette a trasferirsi e che, pari a 100.000 individui, depauperano le regioni meridionali di oltre 20 miliardi; che rispetto al diritto alla sanità che viene realizzato attraverso i viaggi della speranza, che foraggiano il sistema sanitario del Nord. Oltreché sulla necessità per molti di studiare presso le università settentrionali, convinti che in tal modo la ricerca di un posto di lavoro sarà più facile.
L’occasione mancata di una campagna referendaria, costringe tutti coloro che sono impegnati a diffondere consapevolezza ad immaginare nuove strategie. Perché il racconto, interessato, di un Sud sprecone, criminale, non in condizione di gestire le risorse comunitarie venga svelato nella sua realtà.
Adesso bisognerà fare i conti con la mancata accelerazione conseguente al giudizio di inammissibilità. Peraltro il ritorno in Parlamento della legge, non potrà che perseguire gli obiettivi che la Lega si è dati, prevalentemente quello della cristallizzazione della spesa storica, cercando di renderla compatibile con le indicazioni provenienti dalla Consulta.
Ma oggi si dovrà capire, in assenza dell’ammissione del quesito referendario, come accelerare il processo di consapevolezza in assenza della mobilitazione. E come far capire alla borghesia colta meridionale, che si abbevera degli opinionisti nazionali, spesso interessati ad un mantra ripetitivo sulle problematiche del Sud, di evitare l’autoflagellazione che porta inevitabilmente all’inazione conseguente al convincimento di colpevolezza. (pmb)
[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]
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