il Mercato di Palermo dove trovi tesori

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Palermo è come gli altri, con la particolarità che nelle sue baracche sono passati oggetti, mobili della grande aristocrazia siciliana, come le ceramiche Florio

“Marché aux puces”, il mercato delle pulci, così veniva chiamato a Parigi “Saint-Ouen”, dove tra indumenti, cappelli, arazzi, tappeti, proliferavano le pulci, da qui il nome.

Quello delle “pulci” è un mercato del riutilizzo e del riciclo; un posto dove è possibile per gli appassionati di antichità o collezionismo di esaltare queste passioni, andando a caccia di tesori.

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Palermo è come gli altri, con la particolarità che nelle sue baracche sono passati oggetti, mobili della grande aristocrazia siciliana, spesso tramandati in famiglia.

Qui arrivarono arazzi, tappeti, quadri, specchiere, scrittoi del XVIII sec, vasi da farmacia del ‘600, pavimenti smantellati e persino un quadro di Van Dyck.

Se gli antiquari da sempre hanno mostrato la loro preparazione scovando pezzi unici, a Palermo alcuni di questi, hanno iniziato la loro attività proprio come Rigattieri.

Spesso in Sicilia leggenda e storia convivono, sul Mercato si racconta che alla fine del 1500, nel luogo tra il Fiume Kemonia e il Papireto, c’era una palude.

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Questa circostanza diede il via ad un mercato alquanto singolare, veniva infatti “affittato” per far ammalare e quindi morire, mogli, amanti, e persone scomode che ignare della pericolosità della puntura della zanzara, toglievano il “disturbo” nel giro di pochi giorni.

La “Mala Aria” fu un business molto proficuo per chi mercanteggiava sulla morte, che finì quando il Pretore Salzar fece bonificare la zona. In realtà il mercato a Palermo nacque dopo il terribile bombardamento delle Fortezze Volanti che distrussero parte della città nel 1940.

Da questo evento che non salvò le grandi residenze nobiliari, nacque il recupero di oggetti e cose.

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Per sopravvivere alcuni giravano con un carretto recuperando quello che poteva essere venduto o barattato. Si prendeva carta, vetro, stracci, scarpe anche spaiate chiamate in dialetto “squasature”, abbigliamento, ricambi, rottami metallici, pezzi di biciclette, valvole della radio, stoviglie in rame, persino qualche cicca trovata in terra, non ancora terminata da riutilizzare durante il “lavoro”.

Da questo primo mercato fatto di disperazione e stenti, nel 1949 si ebbe la svolta che darà il via a “u Papireto”, il Mercato delle Pulci di Palermo.

Tutto è legato al Giuseppe Virruso che facendo il solito giro per raccogliere ferri vecchi, fu chiamato dal factotum del Principe Lanza di Trabia per far portar via 8 sacchi di utensili in rame, dandogli in cambio, per il disturbo, una regalia.

Il Robivecchi con il suo carretto portò tutto a Piazza Marmi, dove con sua grande sorpresa riuscì a vendere tutto in poco tempo, guadagnando ben 15.000 lire. Da qui prima in tre, poi altri, fecero diventare la Piazza punto di raccolta e vendita di questa economia postbellica fatta di tutto ciò che si poteva recuperare bussando di porta in porta.

La ricerca divenne frenetica, fu interessato persino il fuoco di San Giuseppe “la Vampa” dove, se si trovava un pezzo interessante, venivano pagati i ragazzini deputati al controllo del materiale da ardere. Rimasero lì per due anni, fin quando non ripresero i lavori di costruzione del Palazzo di Giustizia interrotti durante la guerra.

Si spostarono quindi nella zona di Piazza Peranni. i Rigattieri si riorganizzarono e costruirono botteghe con materiale di recupero, la maggior parte era di lamiera, utilizzando anche gli Ippocastani presenti.

L’albero divenne parte della struttura dando frescura con la sua fronda durante l’estate, considerando che il mercato rimaneva aperto fino al tramonto. D’inverno per scaldarsi usavano un braciere dove veniva arso qualche pezzo considerato di poco interesse. Venivano persino utilizzati, per la bisogna, i “Cantari” di Caltagirone.

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Dal 1962 il Comune cambiò la strada in asse di scorrimento. Fu così che iniziò a fiorire il mercato. Nacque l’interesse di possedere oggetti, anche non preziosi ma che avevano comunque un’aura di nobiltà essendo appartenuti a grandi Signori.

La nuova e ricca borghesia, intellettuali e politici, furono assidui clienti, si racconta dell’acquisto di quadretti popolari dipinti su vetro dai quali venivano tolte dagli “anticari le cornici considerate a torto di poco valore”. Si compravano giocattoli del ‘700, mattonelle in ceramica, i pavimenti di stanze e saloni.

Ebbero grande fortuna anche cassapanche, sedie e tavoli reperiti soprattutto a Sciacca. Quando, agli inizi degli anni ’70, le case incominciarono ad essere arredate con lo stile Svedese, il mercato divenne appannaggio di intenditori e appassionati.

Diventati esperti, da loro partì un fiorente indotto fatto di restauratori, ebanisti, bronzisti, doratori. Vi furono grandi passioni, la ricerca della Ceramica Florio, con un pezzo particolarmente richiesto, il cache-pot con i gigli liberty disegnati da Giovanni Basile, i preziosi lumi e lampadari liberty, statuine e porcellane inglesi.

Quando si esaurì il recupero sull’Isola, l’attenzione degli “anticari” fu spostata in Francia ed Inghilterra.

Il Papireto, dalla sua nascita fatta di povertà e miseria, oggi ha attraversato più di 70 anni, chiaramente è sempre più difficile trovare pezzi di valore, il classico tarocco alberga anche qui.

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Per capire cosa fosse il Papireto un documentario in bianco e nero di Ugo Gregoretti del 1960 mostra l’interno di una baracca. Si vede il Rigattiere che dietro richiesta del regista fa aprire una delle casse comprate dai nipoti di una zia zitella. Da una panoramica si nota la quantità di oggetti, si vede persino l’albero cresciuto dentro con il suo tronco contorto.

L’apertura dei lucchetti, mostra il contenuto: biancheria bordata di pizzi e tulle, scialli, pantofoline, cuffiette, tovaglie di fiandra ricamate, impalpabili lenzuola; un ricchissimo corredo di una ragazza che non ebbe mai modo di utilizzare e che morendo pensò di fare cosa gradita lasciandoli a chi non vide altro utilizzo che vendere tutto al Mercato delle Pulci.





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