Il fortino di Santanchè regge, Meloni sceglie la non-sfiducia

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«Il rinvio a giudizio non è motivo per dimissioni, ma è una valutazione personale», dice la premier. Ora l’imprenditrice spera in un alleggerimento dell’ipotesi di reato nel procedimento sulla presunta truffa all’Inps sulla cassa Covid

La difesa a oltranza ha funzionato. Daniela Santanchè resta al suo posto grazie anche all’argine del presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ha sempre garantito per la sua sodale. Senza mai un attimo di tentennamento, a dispetto degli spin che hanno cercato di distillare veleni e incomprensioni tra i due.

Così Giorgia Meloni ha rotto il muro di silenzio sulla ministra del Turismo che andrà a processo con l’accusa di concorso in falso in bilancio nell’ambito del procedimento su Visibilia. Non una difesa a spada tratta, ma nemmeno un siluramento. Una non-sfiducia a tempo.

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La presidente del Consiglio ha sostenuto che la decisione, nel caso, spetta a Santanchè: «La valutazione che semmai va fatta è quanto tutto questo possa impattare sul suo lavoro di ministro». Insomma, ha rimandato tutto a una questione personale e ha abbracciato in pieno il credo garantista: «Non credo che un semplice rinvio a giudizio sia motivo di dimissione».

E ancora: «Va fatta una valutazione in un clima sereno», anche se ha ammesso di «non avere le idee chiare». Nessun imbarazzo, almeno a parole. Nemmeno durante l’ultimo Consiglio dei ministri a cui ha presenziato Santanchè.

Un approccio che ha sollevato le ironie da parte degli avversari. «La stessa leader che dall’opposizione chiedeva dimissioni a raffica di ministri, sottosegretari, direttori, responsabili di unità speciali, una volta entrata nelle stanze di palazzo Chigi ha subito una metamorfosi strabiliante in chiave iper garantista», ha commentato Osvaldo Napoli di Azione.

A conti fatti, comunque, la mediazione di La Russa, che non ha mai scaricato Santanchè, è stata cruciale: il sodalizio tra i due è molto più solido di quanto si possa immaginare.

Di mezzo c’è il mix, come raccontato da Domani, tra affari imprenditoriali, intesa politica e un’amicizia di vecchia data. Meloni ha preferito evitare il duello con il cofondatore di Fratelli d’Italia, uno dei pochi che tiene davvero testa alla premier.

La storia, comunque, non è del tutto archiviata, l’Odissea va avanti. Nei prossimi giorni «sicuramente le parlerò», ha confermato la premier. Fino a ora non è stata «una priorità».

La nuova linea è quella di alleggerire la pressione. La vicenda va derubricata a un fatto secondario. Nell’attesa che Meloni si schiarisca le idee, vista l’ammissione di una certa confusione.

Tra Roma e Milano

La partita si sposta ora su un altro territorio, quello delle intenzioni personali. La ministra del Turismo ha ribadito in più circostanze di non volersi dimettere. E c’è anche una ragione ben precisa: dopo aver ceduto le quote societarie, l’unico suo incarico è quello al governo.

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L’addio alla casella ministeriale la renderebbe senza ruolo e più debole addirittura in Lombardia, il suo feudo politico, gestito proprio d’intesa con La Russa. Santanchè, nonostante il gran caos intorno al rinvio a giudizio, ha ribadito la propria posizione in privato come in pubblico: darà le dimissioni solo in caso di rinvio a giudizio nel procedimento sulla presunta truffa all’Inps attraverso l’uso della cassa Covid.

Ma anche su questo punto la diretta interessata manifesta una certa fiducia. Crede in un passaggio positivo nei prossimi giorni, quando il 29 gennaio la Corte di cassazione si pronuncerà sulla competenza territoriale. I suoi legali hanno chiesto lo spostamento da Milano a Roma.

E soprattutto nell’inner circle della ministra l’auspicio è quello di una ripartenza da zero del procedimento, nella procura della Capitale, e della formulazione di una nuova ipotesi di reato meno grave rispetto alla truffa. Visti così, sono tecnicismi giuridici, certo. Ma le ricadute politiche sono evidenti. Prenderebbe almeno un anno di tempo, intravedendo la fine della legislatura.

Controffensiva mediatica

Qualcosa, insomma, sta cambiando nei suoi confronti. Come ventilato nei giorni scorsi a palazzo Chigi, è partito il contrattacco rispetto alle critiche verso Santanchè piovute dalle opposizioni, pronte a votare una nuova mozione di sfiducia sulla ministra del Turismo.

«Ho Giuseppe Conte che mi dice che devo far dimettere un ministro che non è mai stato condannato quando ha un vicepresidente del partito (Chiara Appendino, ndr) condannato in via definitiva, e ho Elly Schlein che invoca le dimissioni del ministro Santanchè per un rinvio a giudizio, ma non chiede le dimissioni al presidente della provincia di Salerno (Franco Alfieri, ndr) agli arresti domiciliari per corruzione», ha incalzato Meloni. Nelle prossime ore sarà lo spin di Fratelli d’Italia nelle trasmissioni televisive: Pd e 5 Stelle devono guardare in casa propria.

Il cambio di passo sulla vicenda Santanchè era dunque necessario per superare un certo imbarazzo degli alleati: Lega e Forza Italia si sono esposti fin dall’inizio al fianco della ministra del Turismo, spiegando che poteva andare avanti senza problemi, mentre da Fratelli d’Italia è arrivato un silenzio pilatesco. La “strategia del gelo”. Nessun sostegno esplicito, ma nemmeno una richiesta di passo indietro.

Una situazione che sostanzialmente viene protratta con la non-sfiducia della premier nei confronti della ministra. Ma con un cauto passo in avanti, perché da palazzo Chigi vogliono prima capire come va a finire il procedimento sulla presunta truffa all’Inps. Prima di allora meglio non esporsi troppo.

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