La settimana scorsa tre presidenti hanno suonato la sveglia all’Europa. Con toni aggressivi ed arroganti il presidente USA, con toni dialoganti e argomentati gli altri due in provenienza dall’Italia e dalla Polonia. Al primo è superfluo e anche inopportuno dare ulteriore voce, più utile concentrarci sulle due voci europee.
Una singolare coincidenza di tempi invita infatti a leggere congiuntamente gli appelli di due Presidenti di Paesi UE, quello polacco attualmente presidente semestrale del Consiglio dei ministri UE, Donald Tusk, e quello del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: il primo davanti al Parlamento europeo e il secondo a Messina, città da cui ripartì il progetto di Comunità europea.
Superfluo annotare che entrambi, intervenuti mercoledì scorso, parlavano con chiaro riferimento alle aggressioni, per ora verbali, di Donald Trump, senza impedirsi di lanciare messaggi ai politici nazionali in Europa e nel loro Paese.
A Messina, il presidente Mattarella ha ricordato una stagione difficile per il progetto di integrazione europea, avviato dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) nel 1951 e messo in crisi dal fallimento, nel 1954, della Comunità europea della difesa (CED), ma coraggiosamente rilanciato dalla Conferenza di Messina nel 1955 dalla quale avrebbe preso le mosse un nuovo progetto europeo, sfociato nella Comunità economica europea (CEE), con il Trattato di Roma del 1957.
Non è difficile leggere in questo ricordo, sapientemente argomentato da Mattarella, un riferimento all’Unione Europea di oggi e al ruolo che vi dovrebbe svolgere l’Italia: la prima tramortita dall’uragano Trump, la seconda tentata di far prevalere quello che resta dell’alleanza atlantica rispetto al progetto di integrazione europea, illudendosi di trarre vantaggio da questa scelta, dimenticando le dimensioni e il reale peso di questa nostra tanto decantata “Nazione”.
Sul tema Mattarella non ha risparmiato, con garbata ironia, a chi fosse vittima di questa illusione che “i Paesi dell’Unione si dividono in due categorie: i Paesi piccoli e quelli che non hanno ancora capito di essere piccoli anch’essi”. Chi deve comprendere, comprenda.
A Strasburgo, nelle stesse ore del discorso di Mattarella a Messina, interveniva il Premier polacco, Donald Tusk, nella sua veste di presidente di turno del Consiglio dei ministri UE, dopo essere stato un bravo presidente del Consiglio europeo dal 2014 al 2019. Un profilo politico importante per la sue passate esperienze europee e per il Paese che governa, oggi con una frontiera calda con la Russia che non può non preoccuparlo. Naturale quindi che abbia confermato per l’UE la priorità della sicurezza (sul tema ci sarà un Consiglio europeo informale il prossimo 3 febbraio), ma anche più interessante che abbia alzato la voce per svegliare le Istituzioni comunitarie chiamandole a rispondere a Trump, senza perdere tempo, con una radicale svolta politica dell’Unione.
E’ interessante leggere questo intervento avendo a mente la storia recente della Polonia, entrata nella NATO nel 1999, cinque anni prima dell’ingresso nell’Unione Europea, a testimonianza della priorità data a Washington per la sua sicurezza, ma anche con una progressiva integrazione nel processo comunitario dove oggi si colloca nel quadro di una cooperazione più ravvicinata con Germania e Francia (insieme fanno parte del “Triangolo di Weimar), ma anche con Italia e Spagna, cui si aggiunge sul tema sicurezza una ritorno del Regno Unito.
Da una parte, Mattarella fa valere la lunga tradizione europeista dell’Italia da proteggere da tentazioni “sovraniste”, e squilibratamente filo-atlantiche, con una lezione magistrale su passato, presente e futuro dell’Unione Europea; dall’altra Tusk converge progressivamente verso un migliore equilibrio della nuova Polonia nei suoi rapporti con Bruxelles e Washington, contribuendo a disegnare un possibile futuro “nucleo duro” UE, del quale c’è da sperare che l’Italia possa fare parte, senza cedere alle arroganti sirene d’oltre-Atlantico.
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