«Mi diano la macchina, il computer, il gestionale. Mi paghino le ferie, riconoscano la maternità alle colleghe, trovino un sostituto dopo che avrò terminato le ore di lavoro giornaliere. A quel punto, potrò fare il dipendente». Ferdinando Agrusti, segretario regionale della Fimmg, riassume gli effetti della rivoluzione (impossibile? ) per i medici di medicina generale. Quella cui starebbe pensando il Governo, così da poter far lavorare chi oggi è libero professionista anche all’interno della Case della Comunità, che entro il 2026, come detta il Pnrr, che su questa partita investe 2 miliardi, dovranno essere 1.350 in tutta Italia.
L’ipotesi romana
I diretti interessati sono contrari, a dir poco. Tanto più in una fase in cui i carichi di lavoro, anche burocratici, sono aumentati e si perdono i pezzi: di medici di medicina generali, informano gli uffici della Regione, in Fvg ne sono rimasti 720 (dato del 2024 che somma i 326 di AsuFc, i 224 di Asugi, i 170 di AsFo). Ma a Roma il tema è ritornato d’attualità. Qualcosa è filtrato attraverso Corriere della Sera e Sole 24 Ore: già a metà febbraio un decreto potrebbe prevedere che le prossime assunzioni vengano fatte con lo status di dipendente e non più di libero professionista in convenzione con il servizio sanitario. Quanto ai circa 40 mila medici di medicina generale al lavoro nei loro studi, si pensa a un impegno fino alle 16 ore settimanali nella sanità territoriale.
Case della comunità
La posizione delle Regioni? In Conferenza, presieduta da Massimiliano Fedriga, se ne era parlato mesi fa, e, di fronte alle perplessità su quelli che sono considerati privilegi da dipendenti pubblici, ma con la “libertà” del privato, c’erano state subito le barricate della categoria. Il presidente del Fvg in questa fase non si espone, anche perché, al momento, non si va oltre le indiscrezioni. Nell’attesa di certezze, sul territorio non c’è però una sola voce favorevole alla dipendenza. Infastidisce pure il fatto che la novità sia conseguenza del nodo Case della comunità, «involucri architettonici vuoti», così le definisce Luca Maschietto, segretario regionale della Simg. Su questo fronte, la situazione l’ha descritta giorni fa l’assessore alla Salute Riccardo Riccardi: «L’obiettivo è di aprire sei Case della comunità in Fvg entro il 2025». Nel dettaglio delle sedi, Trieste (all’interno del compendio dell’Ospedale Maggiore), Udine (in via San Valentino), Gemona, Cividale, Sacile e Maniago.
Rapporto medico-paziente
«C’è un attacco concentrico contro la medicina di famiglia – afferma Agrusti – ed è iniziato con il Covid. Ci hanno accusato di essere stati assenti quando invece eravamo gli unici con le porte aperte. Adesso arriva questa possibile imposizione di riempire le Case della comunità, per le quali siamo pronti a collaborare, quando però sarà chiaro chi fa che cosa. La dipendenza? Impensabile stravolgere lo storico rapporto medico-paziente che si fonda sulla prossimità e sulla fiducia. Le persone non vogliono un medico, vogliono il loro medico».
Così la pensano anche gli altri sindacati. «Quello che scopriamo dai media, con annunci che fanno danni e in assenza di un qualsiasi documento ufficiale, ci pare una fuga in avanti – dichiara il presidente regionale della Snami Stefano Vignando –. Fermo restando che siamo aperti a soluzioni che possano migliorare l’assistenza primaria ai cittadini e le condizioni di lavoro di professionisti sempre più oberati da una burocrazia asfissiante, esprimiamo forti perplessità sulla fattibilità di questa fantasiosa pseudo riforma, finalizzata a riempire le Case della comunità per non far fallire un progetto che parte dal tetto invece che dalle fondamenta».
Il nodo previdenziale
Lorenzo Cociani, segretario regionale dello Smi, la pensa come Agrusti: «La gran parte dei medici di famiglia sarebbe favorevole al passaggio alla dipendenza. A fronte di una paga sostanzialmente uguale avremmo finalmente diritto a malattia, ferie, maternità, copertura Inail, un orario certo, senza i costi dell’ambulatorio, computer, programmi, beni di consumo vari, commercialista. La triste verità è che le Aziende non sarebbero in grado di gestire problematiche e spesa. E ci sarebbe pure il caos previdenziale, con la nostra cassa privata non in grado di pagare le pensioni ai medici in quiescenza. Quanto all’idea di far coesistere vecchi medici liberi professionisti convenzionati con nuovi medici dipendenti, è una incommentabile follia dal punto di vista organizzativo».
Per Maschietto, «prima di decidere se convertire il contratto del mmg, bisognerebbe strutturare il ruolo che lo stesso deve avere all’interno del sistema sanitario. Credere che la dipendenza risolva i problemi del territorio e della medicina generale significa non conoscere il lavoro dei medici di famiglia. Siamo agli slogan figli del pregiudizio di una medicina generale fatta di lavativi». I vantaggi? «Ce ne sarebbero. Ma come garantire il rapporto di fiducia e la prossimità di cura? Come sostenere fiscalmente non solo i professionisti, ma tutti gli strumenti: trasporti per domiciliari, personale di studio, ambulatori, oggi a completo carico del mmg? Come prevedere il passaggio a livello previdenziale?».
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