Crisi tedesca e crescita italiana (‘spinta’ dal Pnrr): quali gli effetti della recessione in Germania? “Trentino esposto tra automotive, turismo e agroalimentare”

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TRENTO. Con la conferma del -0,2% registrato dal Pil tedesco nel corso del 2024 (Qui Articolo), la ‘locomotivad’Europa segna una recessione ormai biennale con la previsione, almeno per la prima metà del 2025, di un ulteriore rallentamento (che si teme sarà esacerbato, dopo il 20 gennaio, dall’annunciata ‘guerra commerciale‘ del neoeletto presidente Usa Donald Trump, Qui Articolo). Una stagnazione prolungata che non si vedeva, dicono gli esperti, dal secondo Dopoguerra, con l’economia tedesca che ha segnato una performance significativamente peggiore anche dei partner a livello internazionale (Italia compresa, come si vedrà di seguito) e il settore dell’automotive, da sempre punta di diamante dell’industria in Germania, in gravissima difficoltà (le previsioni di Volkswagen sono di una perdita di circa 35mila posti lavoro nel giro di 5 anni). Al netto però della situazione tedesca, gli impatti che le difficoltà di Berlino avranno sul Vecchio continente rischiano di essere importanti per tutti, segnalando un futuro non certo roseo per un’Unione europea sempre più fragile, sul fronte economico, rispetto a Stati Uniti e Cina (secondo Pechino la crescita nel quarto trimestre è stata del 5,4% in Cina, superiore alle stime degli analisti).

 

I problemi della Germania non sono insomma “solamentetedeschi, ma devono mettere in allerta anche il sistema economico italiano (una significativa porzione dei beni finali che la Germania produce, ed esporta, sono prodotti con macchinari italiani e hanno al loro interno componentistica italiana) e trentino, in particolare se si considera che la ‘fragilecrescita prevista per il nostro Paese (si parla di un +0,7-0,8% del Pil) è sostenuta in maniera considerevole dalla spesa pubblica, a sua volta sostenuta dai fondi del Pnrr. È questo infatti il monito di Paolo Collini, professore ordinario al dipartimento di Economia e Management all’Università di Trento ed ex rettore dell’ateneo trentino, contattato da il Dolomiti per fare il punto sull’attuale congiuntura economica.

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Professore, l’economia tedesca e quella italiana sono strettamente interconnesse: quali sono i possibili impatti della crisi in Germania sul nostro sistema produttivo?

 

A livello generale l’Italia fornisce componentistica di qualità per i prodotti tedeschi: se il fine filiera rallenta, naturalmente ne soffrono anche i fornitori. D’altronde però, se da una parte le stime vedono ancora il Pil italiano in crescita, dall’altra anche la nostra produzione industriale è calata rispetto allo scorso anno, con settori che faticano a essere competitivi. Oltre ai componenti di base, dall’Italia arrivano in Germania anche macchinari per i processi industriali, tecnologia di alta qualità cruciale in un settore come quello dell’automotive, dove le difficoltà tedesche in questa fase sono evidentissime: Volkswagen parla di una riduzione di pezzi prodotti nell’ordine dei milioni.

 

A livello locale il Trentino si trova in prima linea? Quali sono i settori che subiranno le conseguenze maggiori?

 

Rispetto al Trentino, l’Alto Adige è storicamente più esposto al mercato e al mondo tedesco, anche per una vicinanza linguistica. Il tessuto economico trentino, sul fronte industriale, è legato alla Germania in particolare per il settore dell’automotive: le esportazioni oltralpe, specie quelle legate alla meccanica, probabilmente risentiranno della crisi tedesca. Ma le potenziali conseguenze vanno al di là della sola filiera industriale.

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In che senso?

 

La Germania è un mercato importantissimo anche per il nostro settore agroalimentare, in particolare per quello vitivinicolo. La recessione tedesca, che proseguirà secondo le previsioni almeno per i prossimi 6-8 mesi, avrà in altre parole effetti non solo per i fornitori. A livello assoluto, quello tedesco è il primo mercato estero per l’agroalimentare italiano. Un calo, anche drastico, non avrebbe effetti dirompenti nel complesso ma, viste le previsioni di crescita italiane al di sotto dell’unità, ogni perdita da questo punto di vista pesa. Un altro settore che potenzialmente subirà gli effetti della crisi tedesca è quello turistico: i flussi dalla Germania sono storicamente molto importanti, per esempio, nell’area del Garda e una riduzione della spesa in questo senso avrebbe un impatto non trascurabile.

 

Un altro mercato importante per il Trentino è quello americano, ma anche in questo contesto la situazione sembra complicata…

 

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Sarebbe più facile, in questa fase, essere ottimisti puntando sulle esportazioni negli Stati Uniti: il dollaro è molto forte rispetto all’euro e l’economia americana sta crescendo a buoni ritmi. Il condizionale è però d’obbligo se si considerano le potenziali conseguenze dei dazi annunciati dal neo-eletto presidente Donald Trump e gli effetti della guerra commerciale che ne seguirebbe. La sensazione comunque è che il governo italiano su questo fronte si stia muovendo bene: possiamo esserne contenti o meno, ma tra i grandi Paesi Ue l’Italia è quello che, attualmente, può vantare il miglior rapporto politico con Washington (ne avevamo parlato Qui ndr).

 

E sul fronte europeo?

 

Nel Vecchio continente la situazione è più difficile: se guardiamo alle tre grandi economie europee, quella tedesca, quella francese e quella italiana, i problemi sono evidenti. La Germania, come abbiamo visto, sta vivendo il suo secondo anno di recessione e le previsioni non sono positive. La Francia ha problemi di bilancio più o meno simili ai nostri, con un deficit che sembra progressivamente “italianizzarsi”. Il governo francese deve attuare una politica di bilancio più attenta e seria, contenendo quindi la spesa pubblica e riducendo la spinta che quest’ultima può avere sul Pil. L’Italia da questo punto di vista ha il vantaggio del Pnrr, con un’ingente fetta di spesa pubblica non legata al vincolo di bilancio.

 

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La nostra crescita è quindi ‘spinta’ dai fondi europei?

 

Il Pnrr, nel concreto, si traduce in investimenti sul territorio, lavori e liquidità per intere filiere. È naturale che i nostri dati, essendo l’Italia il Paese che ha ricevuto la fetta maggiore dei fondi in Europa, ne risentano. E se guardiamo al nostro Pil nel complesso, i nostri tassi di crescita non sono poi così lontani dall’impatto dei fondi del Pnrr, tant’è che, come anticipato, il nostro impianto industriale non sta crescendo. Un dato positivo è rappresentato da una leggera ripresa del potere d’acquisto: pur in ritardo di qualche anno sull’ondata inflazionistica, negli ultimi mesi sono arrivati una serie di rinnovi contrattuali (negli ultimi giorni è saltata invece la firma per il rinnovo del Contratto nazionale del comparto sanità 2022-2024 che coinvolge oltre 580mila lavoratori tra infermieri, tecnici, amministrativi e personale sanitario non medico ndr). E la ripresa della domanda interna è probabilmente il dato di cui l’economia italiana ha più bisogno dopo le gravi difficoltà causate dal caro prezzi.

 

Il Governo parla anche di un tasso di occupazione ai massimi storici

 

Il dato è effettivamente aumentato nel 2024, con una crescita seguita al calo degli anni precedenti. Una bassa disoccupazione è certamente un dato positivo, ma sul fronte occupazionale dobbiamo comunque fare i conti con un calo demografico della popolazione attiva dovuto alla bassa natalità: se la popolazione cala, in altre parole, ovviamente possono calare anche i disoccupati. Rimane però il fatto che il tasso di occupazione (la percentuale, quindi, di occupati sulla popolazione) rimane basso rispetto agli altri Paesi. Uno dei temi centrali, da anni ormai, è poi quello della difficoltà nel trovare forza lavoro (che non stupisce, purtroppo, se si considera appunto che la popolazione sta invecchiando). Non si può però pensare di rispondere a questo problema, come ha fatto il governo, incentivando le nascite: ammesso che gli incentivi diano i loro frutti (e ho i miei dubbi), i potenziali effetti si vedranno tra 18-20 anni. Le nascite in Italia sono meno di 400mila all’anno: questi, oggi, sono i numeri. E sono drammatici: affrontiamo una situazione demografica che, sul fronte della forza lavoro, sarà difficile da gestire.

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