Così l’Europa ha perso la battaglia per il dominio dei cieli: costi alti, troppe regole, limiti ambientali e paletti Ue

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Nel 2010 il Vecchio Continente ha toccato il suo picco nel trasporto aereo. Ma da allora è iniziato il declino. Il sorpasso delle compagnie asiatiche, la forza dei vettori Usa, il ruolo dei vettori del Golfo e del Bosforo. Tutti i numeri

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L’amministratore delegato di un (grosso) vettore mediorientale mette da parte ogni parvenza di diplomazia. «L’Europa ha fatto il suo tempo, ora tocca a noi e agli asiatici comandare la prossima fase del trasporto aereo», racconta al Corriere a margine di un evento internazionale a Dubai nei mesi scorsi. «Certo — ammette — Bruxelles ci sta facilitando di molto il lavoro, ha preso decisioni che da noi sarebbero inconcepibili». Persa (o quasi) la Cina, ridotta la presenza nel resto dell’Asia, assalite dai vettori statunitensi, turchi e del Golfo, zavorrate dall’iper-burocrazia, menomate dalle nuove norme ambientali e dalle iniziative di riduzione dei movimenti negli aeroporti, le aviolinee del Vecchio Continente vivono forse il loro momento più delicato. E in un periodo in cui il boom del traffico post pandemia continua.

Un’infrastruttura vitale

Oltre dieci persone tra amministratori delegati (attuali ed ex), direttori finanziari, capi delle strategie ed esperti delle aviolinee e aeroporti europei non nascondono la loro frustrazione, mista in alcuni momenti a rabbia, per come il settore sia finito in un vicolo cieco. Il Corriere ha parlato con tutti loro, la maggior parte dietro garanzia di anonimato «per non guastare rapporti commerciali» anche con i vettori extra Ue che stanno beneficiando del declino. «La Commissione europea ha sicuramente notato quanto è vitale avere un’infrastruttura aerea sana e sempre operativa durante le grandi emergenze, come la pandemia», sottolinea ironico un ceo. Che denuncia la «bolla» creata a Bruxelles «che offusca la vista e le menti». «Possibile che nessuno si accorga di quello che sta succedendo?», si chiede un altro amministratore delegato.




















































Il «centro di gravità»

Per capire l’andazzo basta vedere quello che viene definito «centro di gravità» dell’aviazione. È questo a sancire la riduzione progressiva del peso specifico dell’Occidente, Europa soprattutto. La mappa parte dal 1914 da Tampa, Florida, prima tappa dell’aviazione commerciale. Novant’anni dopo è in mezzo all’Oceano Atlantico, segno dell’importanza che ha assunto nel frattempo il settore nel Vecchio Continente. Ma nel 2019 è già sull’Egitto, conseguenza dell’espansione dei vettori mediorientali (Emirates e Qatar Airways su tutti). Nel 2039 è atteso tra Iran e Pakistan. «Per quell’anno, Cina, India, Indonesia, Giappone e Thailandia faranno parte dei dieci maggiori mercati aeronautici globali», sentenzia la Iata, la principale associazione internazionale delle aviolinee, in un’analisi di qualche tempo fa. Mentre «i mercati maturi in Europa e Nord America rallenteranno e diventeranno meno centrali».

Così l’Europa ha perso la battaglia per il dominio dei cieli: costi alti, troppe regole, limiti ambientali e paletti Ue

Le rivalità

I problemi — o meglio: gli ostacoli — in Europa sono diversi, secondo i diretti interessati: il costo del lavoro, la bolletta per il cherosene, l’utilizzo dei biocarburanti che hanno un prezzo anche di sei volte superiore a quello del jet fuel tradizionale, i paletti Ue sulle aggregazioni industriali, la debolezza dell’euro, le tariffe aeroportuali più elevate, l’opposizione ai piani di espansione degli scali, i sussidi pubblici erogati ai vettori extracomunitari rivali. «Mentre noi siamo qui a fare attenzione a ogni mossa per non violare anche la minima regola europea, subito al di fuori del nostro recinto ognuno fa quello che è nel suo interesse industriale e nazionale», commenta un direttore finanziario.

Quote in calo

L’Europa, a vedere i numeri, resta ancora uno dei grandi «poli» del traffico aereo. Nel 2024 1,2 miliardi di persone hanno preso un volo da e per il continente su un totale di 4,8 miliardi. Quest’anno, secondo le stime della Iata (la principale associazione internazionale delle aviolinee), dovrebbero salire a 1,3 miliardi (su 5,2 miliardi). La quota di mercato è passata dal 22,7% del 1970 al 30% nel 2010. Ma da allora è in lento declino, tanto che quest’anno dovrebbe toccare il 24,6% sui volumi complessivi. Una quota che dovrebbe ridursi ulteriormente al 19,5% nel 2043, mentre l’Asia-Pacifico dovrebbe balzare dal 34% al 46%.

In cinque anni

Il declino non è soltanto nei volumi. È anche nella «presidio» del territorio. Perché se è vero che, al netto della pandemia, aumentano voli e passeggeri e connettività, è altrettanto vero che sui collegamenti il peso delle aviolinee europee è in discesa, più o meno lenta. Questo vuol dire che con il passare degli anni l’offerta di voli intercontinentali vede una presenza maggiore di aviolinee extra Ue. L’analisi del Corriere sui dati forniti dalla piattaforma specializzata Cirium mostrano che se nel 2019 il 37% dell’offerta di voli tra Europa e Asia era in mano ai vettori del nostro continente, cinque anni dopo la quota è scesa al 27%.

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Il caso Cina

Con la Cina va ancora peggio: si è passati dal 57% di quota europea del 2010 al 36% nel 2019 fino al 18% nel 2024, la metà in cinque anni. Qui ci sono anche altri due fattori che non aiutano, ricordano gli addetti ai lavori. Il primo: la chiusura dello spazio aereo russo alle compagnie europee costringe a viaggi più lunghi, rispetto alle rivali cinesi che invece sorvolano la Siberia senza problemi. Il secondo fattore: i vettori di Pechino ogni anno ricevono miliardi di euro di incentivi pubblici, come raccontato dal Corriere. Si riduce la quota europea anche sulla direttrice con il Medio Oriente (oggi è al 13%) e con la Turchia (10%).

I prossimi protagonisti

«E a questa fotografia mancano l’impatto dell’Arabia Saudita e soprattutto dell’India, Paesi che stanno investendo massicciamente sul trasporto aereo», confermano i vertici delle aviolinee del Vecchio Continente. Un divario che continuerà ad aumentare. «Le ambizioni sul Golfo Persico e sul Bosforo sono enormi», proseguono gli europei. I sauditi vogliono più che triplicare il volume di passeggeri, raggiungendo i 330 milioni entro il 2030, hanno anche fondato una nuova compagnia di bandiera, Riyadh Air, che decollerà quest’anno. In Qatar è previsto il più grande terminal aeroportuale del mondo. Dubai investirà 33 miliardi di euro. Mentre a Istanbul il mega-aeroporto dovrebbe aumentare la sua capacità fino a 200 milioni di viaggiatori all’anno entro il 2028.

Le limitazioni ai movimenti

In Europa l’approccio è a tratti all’opposto. Ad Amsterdam si è deciso di limitare i voli, addirittura di ridurli. A Roma Fiumicino il progetto di espansione deve essere ancora approvato. Gli altri hub — come Francoforte e Monaco o Parigi — non hanno margini di crescita perché non è prevista l’espansione. A Lisbona devono ancora iniziare i lavori per il nuovo, e più grande, aeroporto. Il Regno Unito, fuori dall’Ue da qualche anno, ha di recente cambiato idea: il governo laburista si è convinto che è venuto il tempo di investire sull’infrastruttura aerea e presto approverà alcuni piani di espansione, come quelli che riguardano Londra Gatwick e Luton.

Gli hub alle porte dell’Europa

Se il blocco dell’espansione fa contenti gli ambientalisti e i Verdi, non piace molto a livello strategico a chi deve pensare agli aeroporti e alle compagnie aeree nei prossimi decenni. «A Bruxelles non è ancora chiaro che hub come Istanbul, Dubai e Doha sono un grosso problema», raccontano due ceo di scali europei. «Non solo perché sono presidiati dai vettori di riferimento — rispettivamente Turkish Airlines, Emirates, Qatar Airways —, ma anche perché sono più convenienti come costi operativi, con tariffe molto più basse di quelle nostre». Un vantaggio competitivo che drena il vero traffico «premium» per le compagnie, quello che porta utili significativi ed è rappresentato dai passeggeri sui voli intercontinentali «in particolare verso Asia, Oceania e Africa».

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La lettera da Francoforte

Tra i gruppi che hanno alzato la voce e lanciato l’allarme c’è Lufthansa, da poco entrata anche in Ita Airways. Con una mossa con pochi precedenti il 5 dicembre scorso i vertici del consiglio di sorveglianza — il presidente del Supervisory board di Lufthansa, Karl Ludwig Kley, e la vicepresidente Christine Behle (sindacato tedesco Ver.di) — hanno scritto alla nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen di sospendere l’accordo con il Qatar sulla libertà dei movimenti per le «condizioni di mercato radicalmente diseguali» e per le «disparità sociali». «L’Ue perde da anni la sua competitività internazionale e gli sviluppi geopolitici stanno ulteriormente aggravando questa situazione», si legge.

Il ruolo del «Green deal»

Il messaggio critica anche le politiche ambientali. Dal 1° gennaio 2025 le compagnie europee sono obbligate a usare progressivamente sempre più carburante sostenibile per l’aviazione (Saf) che oggi costa anche sei volte di più del cherosene tradizionale e non ne viene prodotto abbastanza. «Le leggi e le proposte legislative del Green Deal europeo sono mal concepite dal punto di vista climatico perché portano alla rilocalizzazione delle emissioni di carbonio», si legge. «Mettono a rischio i posti di lavoro dell’Ue e indeboliscono la connettività dell’Europa, e quindi l’autonomia strategica del continente».

«Non abbiamo più autonomia»

«Quando parlo con i politici europei diventa sempre più chiara l’importanza di avere un settore del trasporto aereo nel Continente che funzioni per competere con i grandi vettori asiatici, del Golfo Persico, americani, del Bosforo», ha spiegato tempo fa Carsten Spohr, ceo del gruppo Lufthansa. «L’Europa non può difendersi più da sola ormai, non ha l’autonomia energetica, dovremmo almeno essere indipendenti sulla connettività con il resto del mondo e questo è possibile soltanto se le grandi compagnie aeree europee possono competere con le altre».

Il consolidamento

E per competere — non solo con i vettori a Oriente, ma anche con quelli a Occidente (Delta Air Lines, United Airlines, American Airlines) — le aerolinee europee devono anche creare maxi-poli come sono tornati a fare sempre più Lufthansa (che include Swiss, Austrian Airlines, Brussels Airlines, Air Dolomiti, Eurowings, Discover, Edelweiss), Iag (British Airways, Iberia, Vueling, Aer Lingus) e Air France-Klm (che comprende Transavia). Ma andando a sbattere contro il «muro» dell’Antitrust Ue che teme che le grandi realtà finiscano per ridurre l’offerta al consumatore, per aumentare le tariffe e peggiorare il servizio. Lufthansa ha battagliato circa due anni con Bruxelles per avere l’ok per l’ingresso in Ita, Iag si è ritirata — per due volte — dall’iniziativa per rilevare tutta Air Europa.

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I vettori a rischio «distruzione»

«Il consolidamento dei cieli europei è necessario perché serve a fare economie di scala e a competere meglio con le rivali americane e del Golfo», ripete spesso Ben Smith, ceo di Air France-Klm. «Ma ritengo sbagliata l’attenzione dell’Ue, che complica tali operazioni». In un contesto che resta ancora frammentato nel continente. «La Commissione europea dovrebbe darsi una mossa e approvare le fusioni perché è la strada da seguire in Europa», ha detto a un evento a Bruxelles lo scorso autunno Michael O’Leary, amministratore delegato del gruppo Ryanair. «Se non si consente il consolidamento si finirà per distruggere le compagnie aeree europee», ha aggiunto nello stesso evento Luis Gallego, ceo di Iag.

Il territorio a un bivio

«L’Europa si trova a un bivio», aggiunge Rafael Schvartzman, regional vice president della Iata. «Ancora più preoccupante è il fatto che le tendenze regolatorie attuali sembrano destinate ad accelerare il declino, anziché invertirlo». «Fare business in Europa sta diventando sempre più costoso», aggiunge. Aumenta un po’ tutto, anche i servizi di navigazione aerea, «che rispetto al 2022 sono più cari di 1,5 miliardi di euro», così come salgono le tasse locali, «in Germania, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Ungheria». C’è poi il tema della «capacità». «Il continente non può continuare a espandere la sua connettività con il resto del mondo se non ha lo spazio necessario negli aeroporti per farlo», prosegue Schvartzman. «Ancora peggio, in alcuni aeroporti ci sono proposte per ridurre i movimenti che sono già scarsi. Questo sarebbe un disastro per l’economia europea».

«Seguire il rapporto Draghi»

«L’Europa deve capire che la sua eccessiva regolamentazione sta riducendo la competitività dei vettori europei nel mondo», dice al Corriere Willie Walsh, direttore generale della Iata ed ex amministratore delegato di Iag. «Le raccomandazioni di Mario Draghi non dovrebbero essere solo un rapporto, devono essere attuate». «Se a Bruxelles hanno un po’ di buon senso e se prestano attenzione a ciò che ha detto l’ex governatore della Bce — prosegue Walsh — e se sono seri riguardo all’affrontare la competitività a lungo termine dell’Europa su scala globale, dovranno adottare una visione diversa». Il dg della Iata critica quella che chiama una «fissazione» della Commissione europea a proposito della «competitività all’interno del mercato unico» perché «sta sicuramente rendendo l’Europa meno competitiva su scala globale».

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25 gennaio 2025

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