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Nella piazzetta del centro polifunzionale, illuminata da un pallido sole, alcuni ragazzi chiacchierano mentre fumano una sigaretta. Un’auto si ferma per ripartire poco dopo. Sono le 9.45 del mattino e a quell’ora, quei giovani, dovrebbero essere a scuola. Nessuno, però, si cura di loro. Nel «quartiere perduto», come lo definisce Giovanni Votano, quello sembra essere l’ultimo dei problemi. La collina di Arghillà è dominata da un gran numero di casermoni dell’Aterp, che qui vengono chiamati “comparti”. Immobili fatiscenti che si affacciano su enormi cumuli di immondizia e carcasse di auto bruciate. Il degrado in cui versa Arghillà colpisce il visitatore come un uppercut al mento. Si rimane tramortiti, spiazzati da una normalità fatta di povertà e sporcizia, illegalità e devastazione. Le cronache locali si interessano del quartiere collinare perlopiù per l’immondizia, ma paradossalmente i rifiuti sono solo corollario di un malessere più profondo e pericoloso. Chi continua a vivere qui, lo fa solo perché non ha alternative e la presenza nel quartiere di una nutrita comunità rom non facilita le cose.
«Arghillà purtroppo è considerata una zona franca – spiega Votano, pensionato battagliero che da anni anima il locale comitato di quartiere – dove tutti possono portare la spazzatura e abbandonarla, tanto qui nessuno si occupa di vigilare e nessuno viene sanzionato. La raccolta giornaliera viene effettuata regolarmente dove ci sono i cassonetti, ma è pieno di micro discariche che vengono alimentate anche da cittadini di altri quartieri». A differenza del resto della città, ad Arghillà non si fa la raccolta differenziata. «Alcuni anni fa – racconta Votano – abbiamo tentato di farla partire. Avevamo consegnato cinque mastelli per ogni scala, ma il tentativo è naufragato dopo poco perché la maggior parte della spazzatura veniva gettata in strada».
Arghillà è una zona franca che si autogoverna. Un luogo dove la legge ha le fattezze di poliziotti e carabinieri che un paio di volte all’anno fanno la loro comparsa per arrestare uno spacciatore o sanzionare qualcuno per un allaccio abusivo. In questo pezzo di Reggio Calabria anche avere acqua dai rubinetti per metà della giornata è un lusso.
«Il problema – aggiunge Giovanni Votano – è stato risolto in parte anche se non si ha un’autoclave l’acqua ai piani alti non arriva. Purtroppo Arghillà è servita da un solo serbatoio che era stato fatto anni fa per servire le frazioni di Arghillà, Rosalì e San Giuseppe. All’epoca questa zona non era abitata, quindi, il serbatoio era sufficiente, ma adesso il quartiere si è trasformato un piccolo paese con una popolazione di circa 7-8mila abitanti. Siamo riusciti a fare costruire un nuovo pozzo che garantisce la fornitura per 10-12 ore al giorno. I guasti però sono sempre dietro l’angolo e l’altro giorno, per esempio, c’è stato un problema con una pompa di sollevamento e per qualche settimana siamo rimasti di nuovo senza acqua».
Acqua e corrente elettrica che pochi, pare, paghino nel quartiere.
«Qui – sottolinea Votano – c’è un alto grado di abusivismo. Ci sono palazzine occupate e completamente abbandonate dall’ente che le amministra. Sarebbero da abbattere perché ci sono perdite di acqua, problemi alle fogne. Tanti bambini che vivono lì soffrono di malattie respiratorie a causa dell’umidità nelle abitazioni. Sono circa 600 e forse di più le abitazioni abusive e tutte hanno allacci illegali alla rete idrica ed elettrica. I contatori sono pochissimi: su mille abitazioni saranno meno di cento. Servirebbe un intervento deciso dello Stato o della Regione, perché il Comune non ce la fa a cambiare il volto di Arghillà. Il quartiere è perduto, non riusciamo più a vivere nella legalità e a rispettare le regole. Qui sta diventando tutto illegale: corrente elettrica, acqua, spazzatura, occupazioni abusive delle case. Senza parlare di spaccio e furti».
Una sorta di girone dantesco a pochi chilometri dal centro, secondo Votano, dove la speranza non esiste più.
«Sembra una specie di Far West – afferma il volontario – perché il quartiere è allo sbando. I problemi non si possono risolvere con i “focus ‘ndrangheta” della polizia che una volta all’anno porta qui 200 agenti per prendere i soliti noti che hanno l’allaccio abusivo alla rete elettrica. Qui servirebbe un controllo continuo. Ad Arghillà è tutto in mano alla comunità rom, occupano le case e le vendono. Come si fa a uscire da una situazione del genere se non c’è un intervento deciso dello Stato? Abbiamo una grande comunità rom nel quartiere che si sta espandendo sempre di più. Gli attriti tra le due comunità ci sono ed è inutile negarlo. E chi ha la possibilità di fuggire lo fa perché qui non si può più vivere».
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