Alle radici del nostro plurilinguismo

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La diversità culturale e il plurilinguismo sono elementi centrali e distintivi della tradizione elvetica e della sua stessa identità, tanto che la politica linguistica della Confederazione mira proprio a favorire la comprensione tra i diversi gruppi linguistici anche secondo un programma nazionale di ricerca (PNR 56), che ne fornisce le basi scientifiche.

Le lingue, in effetti, non sono solamente strumenti di comunicazione, perché anzitutto raccontano la matrice di cui è fatto un popolo, il suo modo di pensare. Un pensiero che sposa anche Lorenzo Tomasin, professore di Filologia romanza e di Storia della lingua Italiana all’Università di Losanna, attraverso il suo volume edito da Einaudi “Europa Romanza. Alle radici del nostro plurilinguismo, che si traduce in una sorta di viaggio alla ricerca delle radici linguistiche europee, uno studio allestito primariamente su fonti non letterarie che egli stesso definisce “fonti umili” poiché di natura pratica e spesso prodotte senza l’intenzione di essere conservate.

Al contrario dello stretto legame con la letteratura adottato generalmente in filologia e in filologia romanza, volutamente questo testo non è destinato ad esperti filologi in senso stretto, essendo l’aspetto narrativo preponderante. Il racconto verte infatti sugli accadimenti di personalità fuori dai riflettori della storia, dunque di uomini e di donne poco noti che costituisco quella che si può definire “la piccola storia” (dalla quale viene poi diramata la “grande storia”), fatta di vita quotidiana e che dunque aiuta a comprendere in modo particolareggiato la storia delle lingue. Ne è un esempio il racconto veneziano di Guglielma Venier con cui si apre il libro, in cui spiccano i tratti della lingua usati dalla donna per scrivere le annotazioni che lei riportava di suo pugno in un archivio familiare. Annotazioni importanti che testimoniano non solo il fatto inusuale di una donna che scrive nel Medioevo, ma anche della convivenza di almeno due lingue in modo fluente: il veneziano (in cui era immersa visto che viveva a Venezia intorno al 1300) e il provenzale (lingua d’origine probabilmente usata in famiglia, dialetto dell’occitano parlato in Provenza, nelle Alpi, in Costa Azzurra e in Piemonte). Sebbene le annotazioni non siano appunto d’interesse letterario, permettono tuttavia di individuare in modo pratico quali competenze linguistiche ci potessero esserci all’epoca.

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Una ricerca che in totale prende in esame sette storie di persone realmente vissute, i cui documenti per varie ragioni fortunate si sono comunque conservati; ciascun capitolo prevede dei brevi testi d’archivio iniziali (scovati per lo più in archivi o biblioteche), redatti appunto da persone comuni che diventano i ciceroni del lettore, accompagnandolo di volta in volta in situazioni linguistiche peculiari tramite la narrazione delle loro microstorie, legate al commercio, alla gestione di patrimoni familiari, a testamenti, lettere, verbali e via di seguito. L’epoca analizzata spazia tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, ossia quando convissero più lingue simultaneamente e dove il latino fungeva quasi da lingua franca (non era nativa, ma veniva appresa scolasticamente da coloro che parlavano lingue romanze e non, per comprendersi in modo universale).

Questa condizione di compresenza e mescolanza linguistica che ben si conosce ancora oggi in Svizzera, per molti secoli è infatti esistita anche in Europa, nel bacino del Mediterraneo in particolare, dove numerose persone anche non in vista hanno utilizzato due o più lingue durante la loro vita quotidiana, al contrario di un sentire che per molti secoli ci ha abituato a identificare delle regioni e delle nazioni precise in cui veniva parlata una sola lingua. Una situazione che secondo l’autore si verificò successivamente a causa di più fattori, in particolare attraverso l’avvento della stampa a caratteri mobili attorno al 1450, che fornì un contributo fondamentale alla standardizzazione delle lingue (e forse anche al loro irrigidimento), incasellato ulteriormente con l’insorgenza dei nazionalismi.

Anche le Alpi sono un elemento importante da un punto di vista geolinguistico. Secondo il professor Lorenzo Tomasin sono infatti una delle grandi direttrici di quel confine o cerniera che unisce la Romania (mondo linguistico neolatino) e la Germania (mondo linguistico germanico). Una frontiera di primaria importanza grazie alla quale si può spiegare il motivo per cui la romanistica (filologia romanza) è emersa come categoria proprio in Germania. L’autore sottolinea che l’idea di considerare l’Europa come un’entità romanza (come un insieme coeso e una totalità culturale) in effetti è stata formulata dai tedeschi, i quali osservando da una prospettiva esterna, hanno fornito un contributo significativo alla consapevolezza di questo mondo. La cultura germanica ha dunque fornito fin dal principio un contributo decisivo per comprendere l’identità delle lingue romanze e la loro produzione scritta, e quando poi iniziarono ad essere codificate per iscritto distaccandosi dal latino da cui provengono, questa presa di coscienza divenne ancora più significativa proprio nei luoghi in cui si parlavano lingue diverse, come il tedesco e le lingue germaniche. Si instaurarono così fenomeni di naturale convivenza, come accade ad esempio in Svizzera con il francese o ladino (romancio) e il tedesco che iniziarono a coesistere; un esempio è il caso del Canton Grigioni dove si parla tedesco, italiano e cinque idiomi romanci, oppure il caso di Friburgo e Biel/Bienne dove si parla una mescolanza di francese e tedesco.

D’altronde per Tomasin il plurilinguismo è proprio questo: una componente fondamentale nell’esperienza umana, culturale e storica di ciascuno di noi. Nella storia europea la convivenza, il contatto e il mescolamento sono gli elementi che influiscono sul lessico e sulle strutture delle varie lingue proprio perché hanno convissuto l’una accanto all’altra; è dunque di fondamentale importanza partire anche dalla lingua usata correntemente nella storia per esaminarne l’estrema varietà e commistione, elementi contraddistintivi del plurilinguismo.



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