Ritorno a Gaza City: «Ma qui non c’è più spazio per l’arte» –

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Per la prima volta in 15 mesi di guerra, i cieli di Gaza sono liberi dai caccia israeliani da quando, domenica 19 gennaio, è entrato in vigore il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. I festeggiamenti sono scoppiati da entrambe le parti dopo che Hamas ha liberato tre ostaggi, seguiti da Israele che ha liberato 90 donne e bambini palestinesi dalle sue prigioni. Anche i camion con gli aiuti umanitari hanno potuto entrare a Gaza, offrendo un po’ di sollievo in mezzo alla devastazione. Durante le prime sei settimane del cessate il fuoco, che si svolgerà in tre fasi, Israele si ritirerà gradualmente dal centro di Gaza, permettendo ai palestinesi sfollati di tornare a casa. Tuttavia, per i palestinesi di Gaza, compresi gli artisti e gli operatori culturali, il cessate il fuoco è un momento che suscita sentimenti ambivalenti. Superato il pericolo immediato, devono fare i conti con la perdita di famiglie, amici e case. Il fragile accordo fragile è accompagnato da un cauto ottimismo e dall’incertezza per l’immediato futuro. 

«Certamente, la notizia della fine degli scontri è stata una buona notizia che ha portato gioia a tutti i palestinesi, permettendoci di respirare. È una felicità mista a una ferita profonda e dolorosa per tutti i palestinesi che hanno assistito alle sofferenze degli ultimi 15 mesi, racconta Mohammad Alhaj, artista visivo di 42 anni. I prossimi giorni porteranno con sé un grande dolore. Solo ora le nostre lacrime inizieranno a scorrere».

Al padre di quattro figli sfollati non è ancora permesso di tornare a casa sua a Gaza City, poiché l’area rimane isolata dalle forze israeliane. Secondo le attuali istruzioni, i palestinesi possono iniziare a tornare a nord a piedi dopo il settimo giorno di cessate il fuoco. Anche l’accesso alle aree all’interno dei confini di Gaza è ancora limitato e le persone sono state severamente avvertite di non avvicinarsi a queste zone e al nord.

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Alhaj, attivo da vent’anni nel mondo dell’arte, ha perso il suo studio e tutte le sue opere durante la guerra. Dice di essere ansioso di tornare a casa, ma aspetterà di verificare la tenuta del cessate il fuoco prima di partire. Sebbene abbia continuato a creare arte durante la guerra, completando due serie di opere, «AbuAl-Kuffiyeh» e «Diario di uno sfollato palestinese», Alhaj rimane incerto sul futuro dell’arte a Gaza. Immagina che non sarà una priorità in un territorio devastato dalla guerra. «Ci attendono grandi sfide, afferma. Nessuno sa che cosa accadrà nei prossimi giorni. Non abbiamo altra scelta che aspettare e guardare».

Il muralista e artista performativo Ayman Alhossary, come Alhaj, non è ancora tornato a casa sua a Gaza City. Sia la sua casa che il suo studio sono stati distrutti durante la guerra, ma ha intenzione di tornare quando l’accesso sarà consentito per recuperare ciò che può dalle macerie. Una volta raccolte le sue cose e una volta che Israele avrà riaperto il confine con la Striscia, intende però lasciare Gaza in cerca di opportunità di lavoro all’estero. «Gaza avrà bisogno di tempo per risollevarsi. Il lavoro qui si concentrerà sulla ricostruzione e sul ripristino e, come artista visivo, non vedo alcun lavoro disponibile per me nel prossimo futuro», afferma.

Lo scultore Khaled Hussein, originario di Rafah, è sfollato a Deir al-Balah, nel centro di Gaza, dal maggio 2024, quando Israele ha evacuato gli abitanti di Rafah. Dopo sette mesi, domenica è finalmente tornato nella sua città, da solo. L’entità della distruzione lo ha lasciato completamente incredulo. «Ero così scioccato che non riuscivo a trovare la mia casa», racconta. Quando finalmente l’ho trovata, tutto ciò che rimaneva era un cumulo di macerie. L’estensione della distruzione a Rafah è vasta e ci vorrà molto tempo per ripristinare almeno le linee idriche e di comunicazione». Ha trascorso la notte di domenica a Rafah, ma se ne è pentito. Con l’esercito israeliano ancora presente lungo il confine egiziano, vicino alla città, ha trascorso la notte ascoltando gli spari e il movimento dei carri armati, mentre era tagliato fuori dalle comunicazioni. È riuscito a recuperare alcuni abiti invernali e due dei suoi dipinti dalle rovine prima di tornare a Deir al-Balah lunedì. Anche se lasciare Gaza è estremamente difficile e costoso, Hussein dice di sperare di ottenere una residenza artistica all’estero per il futuro dei suoi figli. «Stiamo vivendo in uno stato di confusione tra presente e futuro. È molto difficile fare progetti», confessa.

Anche Suhaila Shaheen, 62enne fondatrice del Museo di Rafah e attivista culturale, ha affrontato il difficile viaggio di ritorno a Rafah da Khan Yunis, solo per scoprire che la sua casa era sparita. «Non c’era acqua né vita nell’area», racconta. Shaheen non ha potuto valutare le condizioni del suo museo perché si trova vicino al confine egiziano e l’accesso all’area è attualmente vietato. Il museo, aperto nel 2022 con una collezione che comprendeva antichi manufatti bizantini e beduini, è stato colpito da un missile israeliano all’inizio della guerra, quando Rafah era stata dichiarata zona sicura.

«Non so se ci sono ancora oggetti sotto le macerie o se sono stati spazzati via», dice. Nonostante abbia perso tutti i suoi averi, Shaheen è più devastata dalla distruzione del suo museo che della sua casa. «La casa può essere ricostruita, ma i beni vecchi di centinaia di anni sono insostituibili. Lo ricostruirò, se Dio vorrà, se e quando la guerra finirà definitivamente». Stremata dalle difficoltà della guerra, però, intende recarsi in Egitto per riprendersi psicologicamente prima di fare progetti per il futuro.

I negoziati per la fase due del cessate il fuoco, che comprenderà la fine permanente della guerra, il ritiro completo di Israele e il rilascio di tutti gli ostaggi rimasti, dovrebbero iniziare entro il 16mo giorno della fase uno. La terza fase si concentrerà sulla restituzione di tutti i corpi e sull’avvio della ricostruzione di Gaza. «La guerra si è fermata, ma non è finita. Questa tregua potrebbe crollare facilmente, perché non ha un chiaro orizzonte politico, sottolinea Sohail Salem, artista visivo e cofondatore dell’Eltiqa Group for Contemporary Art, uno dei principali istituti d’arte di Gaza. Originario del Nord di Gaza, Salem è dovuto partire per Deir al-Balah nel gennaio 2024 dopo essere stato brevemente detenuto dall’esercito israeliano. Sebbene l’assenza di esplosioni abbia portato un po’ di calma, dice, la vita rimane in gran parte invariata. «Gli aerei di sorveglianza sorvolano ancora i cieli di Gaza. Dormo ancora in un garage con mia moglie e i miei figli, con poche coperte e materassi. L’elettricità è ancora assente così come l’acqua», spiega. Salem sta contando i giorni che lo separano dal ritorno al Nord e dal ricongiungimento con i suoi genitori e fratelli, che non vede da oltre un anno: «Non vedo l’ora di poter iniziare cercare alcuni dei miei dipinti e altre cose speciali che hanno un grande significato nel mio cuore, confessa. Ma non so da dove cominciare… La nostra vita sarà piena di battaglie e i ricordi ci perseguiteranno. Avremo bisogno di tempo per riprenderci e tornare alla normalità». Salem dice di aver perso la fiducia nella comunità internazionale dopo le sofferenze a cui ha assistito e sta considerando di lasciare Gaza per «riprendersi da questa amara esperienza». Aggiunge: «Noi palestinesi non abbiamo scelte nella nostra vita, specialmente a Gaza. Qui le nostre condizioni sono sempre instabili, siamo sempre in conflitto… Vorrei poter vivereuna vita normale, sicura e libera». Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), il 92% di tutte le abitazioni di Gaza è stato distrutto o danneggiato. Dei 2,1 milioni di abitanti di Gaza, il 90% è stato sfollato e 1,875 milioni hanno urgente bisogno di un riparo d’emergenza e di articoli per la casa.



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