A Jeddah, cinque padiglioni e numerosi spazi esterni, lungo centodiecimila metri quadri, consentono di ammirare 500 pezzi tra istallazioni moderne e opere antiche, tra cui oggetti usciti per la prima volta dai luoghi più sacri dell’Islam, come la sacra Kiswah e i prestiti della Biblioteca Vaticana
Fabio Colagrande – Jeddah (Arabia Saudita)
Un manoscritto del Corano realizzato in Sicilia nel 1300 con caratteri ebraici applicati alla fonetica araba e una sciabola forgiata nel XIII secolo nell’antica Akka, oggi Israele, in stile musulmano, ma dai Crociati. Sono solo due dei sorprendenti incroci culturali che è possibile scoprire negli immensi padiglioni della Biennale delle Arti Islamiche che si è aperta il 25 gennaio a Jeddah, seconda città per dimensioni dell’Arabia Saudita, affacciata sul Mar Rosso, porta d’ingresso per i musulmani di tutto il mondo diretti alla vicina Mecca e a Medina.
L’evento, inaugurato venerdì 24 gennaio, alla presenza di una delegazione della Biblioteca Vaticana, tra i trenta contributori internazionali della mostra, si svolgerà fino al 25 maggio sotto le grandiose strutture tensili del Western Hajj Terminal dell’aeroporto internazionale King Abdulaziz, capolavoro architettonico costruito su misura per accogliere l’afflusso di pellegrini e premiato con l’Aga Khan Award nel 1983.
La presenza della delegazione vaticana
“Questo è un momento incredibile per la cultura in Arabia Saudita”, ha affermato Aya Albakree, direttore generale della Fondazione Biennale di Diriyah, che organizza la Biennale dal 2023, durante il discorso di apertura per l’anteprima stampa. “Stiamo assistendo all’ascesa di molti giovani artisti sauditi, alla crescente attenzione internazionale per gli eventi artistici e a un notevole investimento in infrastrutture a sostegno dei creativi”. Dal canto suo, l’assistente del Ministero della Cultura, Rakan Altouk, ha ricordato l’intenzione del Regno saudita di creare un dialogo fra le comunità musulmane di tutto il mondo, consapevole della propria responsabilità come terra culla dell’Islam. Il rappresentante governativo ha poi salutato dal palco l’arcivescovo Angelo Vincenzo Zani, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, presente in prima fila con una delegazione della Biblioteca del Papa che presta alla Biennale undici pezzi storici. “Con questa manifestazione – ha spiegato il ministro saudita – non mettiamo solo in dialogo gli oggetti, riunendo opere di luoghi e tempi diversi, ma anche le persone”. Mons. Zani, che indossava la talare bianca e la croce vescovile, parlando a Vatican News ha spiegato come la presenza della Biblioteca Vaticana sia stata fortemente voluta dagli organizzatori, interessati a trovare un “interlocutore” sul piano spirituale in un “occidente secolarizzato”.
Cinquecento oggetti in dialogo tra passato e presente
Visitare l’intera Biennale, come hanno potuto fare i cento giornalisti di tutto il mondo invitati per un press tour il giorno dell’inaugurazione, significa attraversare cinque padiglioni e numerosi spazi esterni. Ci si muove tra giardini, istallazioni contemporanee, opere immersive, oggetti usciti per la prima volta dai luoghi più sacri dell’Islam, artefatti storici giunti dall’Asia e dall’Africa e da musei e collezioni internazionali, in una camminata di almeno quattro ore lungo centomila metri quadrati che consente di ammirare 500 pezzi.
Il cuore, la mente, le mani
Il tema della manifestazione “All that is in between”, versetto ricorrente nel Corano che si riferisce alla Creazione, ha consentito allo staff internazionale dei direttori artistici di spaziare fra le varie esperienze umane legate al rapporto con la religione. I primi tre padiglioni esplorano in sequenza come la fede viene vissuta attraverso il cuore, la mente e le mani, alternando dunque opere moderne che riflettono sul trascendente, a manoscritti antichi dedicati ai numeri e alla scienza, per finire con i manufatti preziosi del passato, gioielli e armi, che raccontano la raffinatezza dell’arte islamica antica.
La relazione con il sacro
La prima sezione, “AlBidaya” (Inizio) racconta la relazione con il sacro attraverso la materialità degli oggetti, in un invito a cercare la verità oltre il mondo tangibile. Qui il pezzo più sorprendente esposto è la Kiswah, il drappo di seta nero, intessuto di oro e argento, usato per coprire la Kaaba, la costruzione al centro della Mecca. Per la prima volta una Kiswah – in questo caso quella del 2024 – viene esposta nella sua interezza al di fuori della Città Santa, con una scelta di apertura interreligiosa se si pensa che l’ingresso alla Mecca è proibito ai non musulmani, mentre qui chiunque potrà ammirarla.
La Biennale presenta anche il primo documentario sull’Hajj, il pellegrinaggio islamico: un film in bianco e nero realizzato nel 1928 dedicato a un gruppo di pellegrini indonesiani che intraprendono il viaggio. In questa sezione troviamo anche l’opera dell’unico artista italiano invitato alla Biennale, il vicentino Arcangelo Sassolino, che nelle sue sculture create con materiali industriali gioca con la pressione, la gravità e la velocità. Qui nell’istallazione “Memory of becoming” racconta l’impermanenza della creazione. Felice di questo invito e del confronto con i colleghi musulmani di diversi Paesi, spiega a Vatican News che “gli artisti non danno risposte ma cercano di affrontare delle domande che forse ci consentono di affrontare meglio il futuro”.
La lingua dei numeri
Segue il padiglione “AlMadar” (Orbita), che mostra come il linguaggio dei numeri nell’Islam sia stato spesso un modo per cercare di comprendere il Creato e dargli un ordine, contribuendo allo sviluppo dell’astronomia, della navigazione, della cartografia, dell’arte e della musica. In questo contesto ritroviamo i pezzi prestati dalla Biblioteca Vaticana, tra le quali l’opera più famosa di Copernico, il De revolutionibus orbium coelestium e la favolosa mappa del Nilo lunga quasi sei metri dell’anno mille che qui ritrova dopo 400 anni la sua mappa gemella del Tigri e dell’Eufrate, conservata in Qatar. In questa sezione anche le 11 opere prestate dall’unica realtà italiana presente alla Biennale: la Fondazione Bruschettini per l’Arte Islamica e Asiatica, nata a Genova negli anni ottanta del secolo scorso.
Gioielli e spade
Con “AlMuqtani” (Omaggio) si dà spazio a due delle più importanti attuali collezioni di arte islamica e ai loro patroni: quella di Sheikh Hamad bin Abdullah Al Thani, principe del Qatar, e quella di Rifaat Sheikh El Ard, collezionista unico di opere mediorientali. La prima mette in mostra materiali preziosi e le eccellenze dell’arte orafa, mentre con la seconda, tra sciabole, pugnali ed elmi, entriamo nel favoloso mondo della cultura cavalleresca del mondo islamico.
Le due città sante
Due padiglioni speciali, infine, “Makkah al-Mukkaramah” (L’onorato) e Al-Madinah al-Munawwarah (L’illuminato) sono dedicati alle due città sacre che l’Arabia Saudita ha la responsabilità di ospitare, la Mecca e Medina. Spazi in cui ritroviamo, per una concessione eccezionale, oggetti sacri, di questi due luoghi santi: come le preziose tende di seta verde decorate in oro, provenienti da Instanbul e normalmente nella moschea di Medina. Spazi riservati e silenziosi che invitano a una conoscenza profonda della storia e del significato della spiritualità islamica.
A unire i due luoghi, all’aperto, un’installazione interattiva ottagonale dell’artista pakistano Imran Qureshi realizzata in nylon intrecciato a mano, che si estende per 450 metri quadrati, traendo ispirazione dall’acqua santa della Mecca e il verde e la tranquillità di Madina. Un luogo di pausa o di sosta tra due città sacre.
Il giardino “oasi”
A queste gallerie interne si accompagnano gli spazi esterni che invitano alla meditazione e alla contemplazione della natura. “AlMidhallah” (Il Baldacchino) presenta quattro opere che reinterpretano il concetto di giardino, uno spazio centrale nella cultura islamica, per la sua funzionalità come oasi, a queste latitudini, e per il suo valore simbolico di Paradiso terrestre. Luoghi anche per riflettere sulla salvaguardia del creato.
In questo ambito la Biennale svela il vincitore del primo AlMusalla Prize, un concorso di architettura lanciato dalla Diriyah Biennale Foundation per reimmaginare i luoghi di culto. Lo studio libanese East Architecture Studio ha vinto il concorso con il progetto “On Weaving”, esposto sotto le tettoie esterne del terminal, che riunisce l’eredità dei cortili delle moschee, la tradizione dell’uso delle palme da dattero nella costruzione e l’eredità della tessitura.
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