Il silenzio del governo su Elmasry alimenta dubbi e complottismi

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È atteso per mercoledì alla Camera il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, l’uomo che a nome del governo dovrà fornire un’informativa urgente ai deputati sul caso di Osama Njeem Elmasry, il capo della polizia giudiziaria libica arrestato domenica scorsa a Torino su mandato della Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità e poi scarcerato martedì e riportato a Tripoli a bordo di un volo di Stato. Nello stesso giorno, alle 13, il ministro della Giustizia Carlo Nordio sarà al Copasir.

SIN QUI l’unica spiegazione ufficiale l’ha data sempre Piantedosi giovedì pomeriggio durante il question time al Senato, ma l’unico nodo toccato è stato quello dell’espulsione (avvenuta perché si era in presenza di un «soggetto pericoloso per la sicurezza nazionale»), senza dire una parola sulle mancate interlocuzioni tra il ministero della Giustizia e la Corte d’appello di Roma che trattava il caso e pure aveva sollecitato via Arenula a intervenire. E senza spiegare nemmeno chi, come e perché ha deciso di utilizzare un aereo di stato, cominciando peraltro a muoverlo nella mattinata di martedì, quando cioè in teoria la decisione su Elmasry era ancora sospesa nelle aule giudiziarie. In attesa di ascoltare la viva voce del governo – che dovrà fornire spiegazioni anche all’Aja -, la versione che circola tra i funzionari del Viminale e di via Arenula si basa su due parole: «scelte obbligate». Insomma, il governo ha fatto quel che ha fatto perché non aveva altra scelta: la decisione di scarcerare Elmasry è stata presa dai giudici della Corte d’appello e il mancato intervento di Nordio (che avrebbe potuto in qualsiasi momento sanare il cavillo della presunta «irritualità dell’arresto» dovuta alla mancata interlocuzione proprio con lui) sarebbe da leggere come un atto di dovuto rispetto verso l’autorità giudiziaria, in virtù del principio della separazione dei poteri. Ieri sera, alla trasmissione Cinque minuti di Raiuno, il conduttore Bruno Vespa ha aperto la sua intervista a Nordio dicendo di non poter fare alcuna domanda su Elmasry prima dei chiarimenti che ci saranno in parlamento. «Èuna questione di rispetto istituzionale», ha chiosato Nordio prima di cominciare a parlare d’altro.
Quanto al volo di Stato, dicono dal Viminale, ci sarebbero diversi precedenti di espulsi riaccompagnati a casa per motivi di sicurezza pubblica. Tutto qui.

QUESTA VERSIONE della storia, soprattutto la parte che riguarda il ministero della Giustizia, però non convince più di tanto: martedì pomeriggio, infatti, da via Arenula era uscita una nota ufficiale in cui si diceva che il ministero stava valutando la trasmissione formale degli atti alla Corte d’appello di Roma, competente per materia. Si tratta di un’ammissione che Nordio era stato interessato dall’affaire Elmasry e che qualche valutazione di carattere politico in ogni caso è stata fatta: tra le altre cose, infatti, sono stati valutati i dettagli della legge numero 237 del 2012, che riguarda le modalità di esecuzione della cooperazione giudiziaria e che, all’articolo 5, attribuisce al Guardasigilli la possibilità di negare ogni autorizzazione se in gioco c’è la sicurezza nazionale. Non sfugge a nessuno, in questo quadro, che Italia e Libia hanno rapporti stretti da decenni soprattutto in tema di immigrazione, con il paese nordafricano che, sin dai tempi di Gheddafi, si è posto come argine alla partenza dei migranti verso le coste tricolori. Adesso, come testimoniato da decine di report, da centinaia di testimonianze di sopravvissuti, dal Consiglio di sicurezza dell’Onu e dalla stessa Cpi, il tutto viene gestito con dei centri di detenzione in cui i trattamenti disumani e degradanti sono all’ordine del giorno.

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LO SCORSO 22 novembre, peraltro, Nordio era andato a L’Aja e nella serie di incontri che ha avuto ha parlato anche di criminalità organizzata e traffico di migranti. Un mese e mezzo prima, il 2 ottobre, il procuratore generale della Cpi aveva chiesto l’arresto di Elmasry, poi concesso ufficialmente sabato 18 gennaio, quando lui era a Torino per assistere alla partita di campionato tra Juventus e Milan. La Corte aveva appreso della sua presenza in Europa solo il giorno prima grazie a una segnalazione arrivata dalla Germania, ma il viaggio del poliziotto libico in Europa era cominciato 12 giorni prima. Quando ancora non era un ricercato. L’operazione per arrestarlo ha coinvolto le polizie di sei paesi e, anche questo è provato, Roma era a conoscenza dei dettagli da subito, perché un funzionario della Cpi si era recato all’ambasciata italiana in Olanda per condividere i dettagli del dossier. Difficile dunque credere che tutto sia venuto all’insaputa del governo e per esclusiva iniziativa dell’autorità giudiziaria.

LA DIFESA di Meloni, sul punto, è quella che già corre veloce sui media a lei amici: perché Elmasry non è stato preso prima? Forse qualcuno ha voluto mettere in difficoltà l’Italia? Una teoria del complotto che sbatte con le procedure istituzionali previste per i casi del genere. La frattura tra Roma e L’Aja però ormai è conclamata. Aspettando la versione ufficiale.



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