‘Acqua Santa’. Il conflitto israelo-palestinese in una prospettiva idrica – 3

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Ordine idropolitico nel periodo 1948-67: acque superficiali. Fonte: UNEP/ GRID

 

 

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L’articolo di Désirée A.L. Quagliarotti è apparso sul Numero 5, Gennaio – Aprile 2025, di LAB Politiche e Culture

 

L’idropolitica nel bacino del Giordano

Come ha efficacemente sottolineato Thomas L. Friedman nel New York Times (2018):

“…Se volete comprendere davvero la politica del Medio Oriente oggi, studiate arabo e persiano, ebraico e turco — ma soprattutto, studiate le scienze ambientali”.

Questa affermazione, apparentemente semplice, cela una profonda intuizione. La comprensione del Medio Oriente contemporaneo non può limitarsi alle complessità politiche e culturali. E’ necessario scavare più a fondo, esplorando anche i fattori naturali che plasmano la regione. Clima, ambiente e, soprattutto, acqua diventano variabili esplicative cruciali, spesso invisibili ma essenziali, per comprendere le dinamiche politiche e sociali della regione. E’, quindi, tra i meandri dei fiumi, nelle terre desertiche e nei bacini condivisi che si rivelano le vere logiche di un territorio conteso, all’interno del quale, parafrasando metaforicamente Adam Smith (1776), il celebre paradosso del diamante e dell’acqua sul valore delle risorse fallisce:

“Nulla è più utile dell’acqua, ma difficilmente con essa si comprerà qualcosa, difficilmente se ne può avere qualcosa in cambio. Un diamante, al contrario, ha difficilmente qualche valore d’uso, ma in cambio di esso si può ottenere una grandissima quantità di altri beni.”

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Tuttavia, nel contesto arido mediorientale, l’acqua non è solo una risorsa economica essenziale, ma assume valenza strategica, trasformandosi in linfa vitale per l’analisi, e la geopolitica cede il passo alla “idropolitica”.

Il termine “idropolitica” affonda le sue radici sulle sponde del Nilo negli anni ’70 del secolo scorso, quando il politologo americano John Waterbury (1979) analizzò le questioni internazionali legate ai progetti idraulici lungo il corso del fiume. Successivamente, il termine è stato adottato da altri studiosi delle risorse idriche per descrivere le complesse situazioni conflittuali scaturite da pressioni crescenti sulle limitate riserve d’acqua nelle regioni aride. In un certo senso, l’idropolitica ha ottenuto la sua consacrazione ufficiale proprio nel bacino del Giordano, nel corso della Conferenza di Pace svoltasi a Madrid nel 1991, dove la questione dell’acqua emerse come uno dei nodi cruciali delle trattative. Successivamente, nel 1993, il tema continuò a occupare un ruolo centrale nei difficili negoziati che si svolsero a tavoli separati.

L’idropolitica è diventata oggi un ambito di studio cruciale nel complesso scacchiere mediorientale, dove il controllo delle risorse idriche assume il ruolo di variabile fondamentale per interpretare tensioni e alleanze, crisi e opportunità. In tale contesto, l’acqua si configura come un’arma non convenzionale per perseguire obiettivi strategici e militari, mentre la gestione e il controllo della risorsa diventano strumenti di potere, capaci di influenzare gli equilibri geopolitici e determinare il destino di interi popoli e nazioni.

La dimensione strategica dell’acqua emerse già nel 1917. Quando fu resa pubblica la Dichiarazione di Balfour, il Presidente dell’Organizzazione sionista mondiale, Chaim Weizmann, inviò una lettera al Primo ministro britannico, David Lloyd George, nella quale affermava:

“…tutto l’avvenire economico della Palestina dipende dall’approvvigionamento idrico per l’irrigazione e la produzione di elettricità, il flusso idrico deve provenire essenzialmente dalle pendici del Monte Hermon, dalle sorgenti del Giordano e dal fiume Litani. Noi riteniamo essenziale che il confine Nord del futuro stato di Israele comprenda la valle del Litani su una distanza di circa 40 km e il fianco occidentale e meridionale del Monte Hermon”.

Weizmann chiedeva, dunque, che i confini del futuro Stato di Israele venissero determinati partendo da considerazioni di ordine idrico, spingendoli il più possibile verso i territori settentrionali del bacino del Giordano.

Tuttavia, la prima fase degli eventi storici disegnò una mappa idrografica profondamente diversa. Al momento della sua nascita, infatti, lo Stato ebraico non beneficiava di una posizione geografica particolarmente favorevole dal punto di vista idrico, poiché era il paese rivierasco più a valle di tutto il bacino. Per quanto riguardava le fonti idriche superficiali, Israele controllava solo uno dei tre rami iniziali dell’Alto Giordano, il Dan, mentre il Banias e l’Hasbani avevano origine nei paesi arabi prima di entrare nel suo territorio. Anche lo Yarmouk, il principale affluente del Giordano, si immetteva nel fiume solo dopo aver attraversato la Siria e segnato il confine tra Siria e Giordania.

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Per quanto riguarda le risorse sotterranee, Israele aveva il controllo di una sezione dell’acquifero costiero, ma non della falda di montagna alimentata dalle precipitazioni che cadono in Cisgiordania per defluire solo successivamente, per effetto della pendenza, nel sottosuolo israeliano.

 

Ordine idropolitico nel periodo 1948-67: acque sotterranee. Fonte: Map no. 3652 United Nations, September 1991

 

Per queste ragioni, il controllo delle risorse idriche ha sempre rappresentato un obiettivo strategico per lo Stato ebraico, al punto tale che una parte significativa della letteratura scientifica attribuisce all’imperativo idrico la base, o la motivazione reale, della sua politica espansionistica.

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A partire dagli anni ’50, il precario equilibrio tra domanda e offerta di acqua spinse i paesi dell’area a sviluppare le prime infrastrutture idrauliche su vasta scala basate sullo sfruttamento unilaterale delle risorse idriche regionali.

In Israele, le caratteristiche geo-climatiche, unite all’espansione demografica determinata dai flussi migratori e, soprattutto, al sogno sionista di ‘far fiorire il deserto’ portarono, nel 1951, al lancio di un ambizioso piano di diversione delle acque del Giordano. L’iniziativa prevedeva la costruzione del National Water Carrier (NWC), un lungo canale progettato per trasferire le acque del corso superiore del Giordano, lungo la costa mediterranea, fino al deserto del Negev. Questo progetto mirava a garantire l’approvvigionamento idrico indispensabile per sostenere lo sviluppo agricolo ed energetico per sostenere i flussi migratori di ebrei provenienti da tutto il mondo.

Anche in Giordania, l’improvviso incremento della popolazione legato all’arrivo massiccio dei rifugiati palestinesi, costretti a lasciare le proprie case durante la guerra arabo-israeliana del 1948, mise sotto forte pressione le già scarse risorse idriche del paese. Per affrontare questa crisi, nello stesso anno, il governo giordano avviò un ambizioso progetto idrico che prevedeva la costruzione di due dighe sul fiume Yarmouk per deviare le sue acque verso un canale artificiale, il Canale dell’East Ghor (oggi noto come Canale Abdullah), al fine di irrigare la sponda orientale della Valle del Giordano e creare le condizioni economiche necessarie per accogliere le ondate di profughi palestinesi espulsi dal territorio israeliano.

Quando i due piani furono resi pubblici, suscitarono le proteste da parte delle rispettive controparti, portando le tensioni fino al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e spingendo gli Stati Uniti a intervenire. Il 16 ottobre 1953, il Presidente Eisenhower nominò l’idrologo americano Eric Johnston come ambasciatore speciale, incaricandolo di mitigare la controversia. L’obiettivo era elaborare un piano, una sorta di ‘Piano Marshall’ per i paesi del bacino, volto a ridurre le potenziali cause di conflitto e favorire la cooperazione e la stabilità economica all’interno della regione. Le principali questioni che il piano avrebbe dovuto affrontare riguardavano: l’elaborazione di un sistema di quote tra i paesi rivieraschi; l’opportunità di utilizzare o meno il lago di Tiberiade come bacino di stoccaggio transnazionale; la possibilità di trasferire parte del flusso idrico del Giordano al di fuori del bacino; l’inclusione delle acque del Litani, un fiume libanese, all’interno del sistema idrico del Giordano.

Dopo circa due anni di trattative, si arrivò alla versione definitiva del piano, noto come Piano Unificato o Johnston Plan. Sebbene le negoziazioni avessero portato all’accettazione del piano da parte dei comitati tecnici di Israele e della Lega Araba, entrambe le parti, al momento della firma, si rifiutarono di ratificarlo. Pur essendo considerato equo nel sistema di ripartizione delle risorse idriche, il piano venne rifiutato per ragioni tecniche, ma soprattutto politiche. Israele respinse la proposta poiché limitava le sue possibilità di sfruttare le acque del fiume Litani, che non era incluso nel piano di spartizione idrico, e non garantiva risorse sufficienti per sostenere i suoi ambiziosi progetti di sviluppo agricolo e industriale. Dall’altro lato, per la Lega Araba, l’adozione del piano avrebbe comportato un riconoscimento indiretto dello Stato di Israele, una posizione inaccettabile per i Paesi arabi.





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