di Rosamaria Fumarola
I palinsesti delle reti Rai, Mediaset e non solo ogni giorno offrono ai telespettatori decine di trasmissioni che approfondiscono le vicende relative ai più recenti casi di cronaca nera, cosicché tutti gli italiani possano sentirsi adeguatamente aggiornati sugli omicidi più efferati e che di più hanno colpito l’immaginario collettivo.
Che la nera appassioni da sempre il pubblico è cosa nota a tutti, così come è nota la strumentalizzazione che la politica tramite i suoi media ne fa per distrarre i sudditi da problemi ben più cogenti. E in effetti il fascino che le vicende più drammatiche e sanguinose esercitano sull’animo umano è indiscutibile e difficilmente ed esaustivamente spiegabile se non ricorrendo ad ipotesi, la cui analisi qui non potrebbero trovare posto.
L’attuale narrazione dei fatti di cronaca nera tuttavia, benché arricchita col maggior numero possibili di interventi e punti di vista più o meno autorevoli, risulta sempre superficiale e questo è in effetti in linea con l’interpretazione dell’odierna idea del fare informazione, che è sempre velocissima e che non lascia perciò a ciascuno il tempo di sviluppare riflessioni più profonde. La verità è che l’analisi minuziosa di un singolo caso rivela tutta la sua perfetta inutilità se incapace di penetrare il contesto storico e sociale, questo sì forse più unico del fatto delittuoso in sé. Solo procedendo in questa direzione si rispetta la storia di tutti, che è sempre complessa. Le narrazioni attuali, anche quelle più in buonafede, perdono infatti da subito interesse e attenzione per le vittime e si concentrano sui colpevoli o presunti tali, anche perché costoro essendo in vita hanno di più da raccontare e sono capaci perciò di mantenere l’audience senza la quale i programmi dedicati alla cronaca nera non potrebbero essere realizzati.
È senz’altro possibile che sia questa una versione imbarbarita di format del secolo scorso quali “Telefono giallo” di Corrado Augias o “Blu notte” di Carlo Lucarelli, che raccontavano fatti delittuosi allo scopo di ricostruire gli avvenimenti e non di solleticare gli istinti meno nobili dei telespettatori. Era questa una declinazione ideologica e dunque anch’essa non scevra da condizionamenti diretti o indiretti della politica? È possibile. Resta il fatto che al di là delle inevitabili infiltrazioni ideologiche quei racconti potevano semplicemente definirsi “intelligenti narrazioni” che dunque rivelavano le qualità intrinseche del giornalista, che si poneva problematiche più complesse di quelle moralizzatrici o da caccia alle streghe tra i desiderata di taluni orientamenti politici. Ed è qui che non si può non tener conto di una dimensione che dalla notte dei tempi accompagna gli esseri umani e cioè il racconto, in tutte le sue forme sia esso declinato, dagli aedi della Grecia antica fino a quello dei pupi siciliani. Valutarne le varianti nel tempo permette infatti di comprendere molto delle società che le hanno prodotte, oltreché apprezzarne talune come autentiche opere d’arte.
Questo sguardo ci consentirà di giudicare l’enorme mole di approfondimenti giornalistici di cronaca nera come spazzatura della quale quasi nulla rimarrà, giacché a tutt’oggi è culturalmente inutile e non si vede perché i posteri possano elaborare un giudizio differente.
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