Cesare Forti, la vera storia del fascista che sfidò Mussolini: lo squadrista aggredito dagli stessi che uccisero Giacomo Matteotti

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M – il figlio del secolo, la serie tv capolavoro tratta dall’omonimo libro di Antonio Scurati, arriva stasera al suo quinto e sesto appuntamento. L’ascesa al potere di Benito Mussolini si trova a un punto cruciale, dove deve superare gli ultimi ostacoli che lo separano dalla fascistizzazione dell’intero paese: la chiesa, l’opposizione e la nascita di dissidenti all’interno del partito.

È proprio uno dei dissidenti all’interno del partito di Mussolini, Cesare Forni, il protagonista del sesto episodio. Fascista della prima ora, si ribella in nome della purezza del movimento.

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Nato a Vespolate, in provincia di Novara, il 17 ottobre 1890, da una famiglia di ricchi agricoltori della Lomellina, partecipa al primo conflitto mondiale col grado di tenente di artiglieria, promosso in seguito capitano per meriti di guerra. 

Aderisce ai fasci di combattimento nel 1919, muovendo i suoi primi passi inizialmente nel fascismo torinese, per poi operare nella Lomellina a partire dal 1921. La sua ascesa fu rapida, e nel giugno 2021 viene eletto rappresentante della Lombardia al congresso costitutivo del Partito nazionale fascista, al termine del quale entra a far parte del comitato centrale. 

Nell’agosto del 1922, è uno tra i protagonisti dell’assalto a palazzo Marino, sede del comune di Milano e, nell’ottobre dello stesso anno, partecipa alla marcia su Roma in veste di responsabile delle squadre fasciste del triangolo industriale.

Il dissidente

Il suo nome è però legato alla stagione del dissidentismo fascista, che si è sviluppata durante i primi due anni del governo di Mussolini. Per assicurarsi la vittoria elettorale, Mussolini apre ai politici di qualsiasi formazione le liste del partito fascista. Pur di essere rieletti in molti abbandonano i propri ideali per salire sul carro del sicuro vincitoreForni, si ribella in nome della purezza del movimento. 

Il dissidentismo di Forni è intransigente, come del resto lo sono sin dall’inizio i suoi criteri direttivi del fascismo provinciale pavese, anche se temperati dalle regole imposte da Roma. Egli esprime questa sua linea già nella formazione delle liste dei candidati per le elezioni comunali e provinciali di gennaio-febbraio 1923, quando si batte per limitare l’afflusso nelle liste fasciste di elementi privi di un passato di convinta militanza o di sicuro fiancheggiamento del movimento fascista

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Nel febbraio 1923, è eletto presidente della provincia di Vigevano. Sindacalista fascista, trova nel mancato rispetto dei patti agrari da parte dei latifondisti pavesi un ulteriore motivo di scontro con i quadri del Partito. Sfida l’allora segretario politico Francesco Giunta, beniamino di Mussolini, in un duello alla sciabola che ha luogo nell’aprile del 1923 a Roma e che viene sospeso dai padrini quando entrambi i duellanti rimangono feriti. Nel dicembre 1923, la giunta disciplinare del PNF lo sospende da tutte le cariche ricoperte, la federazione pavese è commissariata e nel febbraio 1924 viene espulso dal PNF.

A seguito di questa espulsione, Forni decide di partecipare alle elezioni del 6 aprile 1924. Il 12 marzo 1924, viene aggredito e selvaggiamente picchiato da una squadra di fascisti, ordine che parte personalmente da Mussolini. Tra gli squadristi spuntano i nomi di Dumini, Volpi e Malacria, gli stessi che di lì a poco avrebbero ucciso Giacomo Matteotti.

Al di là dei motivi immediati, le ragioni più profonde dell’aggressione si ricercano nella preoccupazione di Mussolini per la presenza di liste di dissidenti, che, per il prestigio che alcuni loro leader godono nell’elettorato fascista, possono attrarre il voto di protesta dei settori del fascismo delusi dagli esiti ministeriali della marcia su Roma. Perciò, il capo del fascismo riserva in genere a questi dissidenti un trattamento più duro di quello riservato ai partiti di opposizione.

Il mussoliniano

Il consenso di ampi settori del fascismo per l’iniziativa politica di Forni trova conferma nei risultati elettorali. Egli risulta eletto, unico fra i candidati dissidenti fascisti, e nel collegio elettorale della provincia pavese i suoi Fasci nazionali raccolgono complessivamente il 9,2% dei voti. Tuttavia, l’ambiguità del personaggio e l’incertezza politica che ispirano la sua iniziativa fanno sì che egli continui a proclamarsi fascista e mussoliniano. Forni tenta anche di rientrare nel PNF, ma a impedire il successo della sua manovra di riaccostamento al partito sono gli sviluppi della crisi Matteotti, che danno un nuovo impulso ai dissidenti usciti per lo più malconci dalla lotta elettorale.

Incoraggiati dal disorientamento di Mussolini, tentarono di nuovo un’aggregazione grazie alla Lega italica di Sem Benelli, alla quale inizialmente Forti aderisce. Ma, anche questa volta, la sua fede nei confronti della figura di Mussolini prende il sopravvento, che lo porta, nel novembre 1924, a votare la fiducia al governo fascista.

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Forti continua comunque, ambiguamente, a operare per giungere all’unificazione dei vari dissidentismi, e nel contempo a dichiararsi favorevole alla svolta autoritaria del 3 gennaio 1925. Agli inizi del 1926 cerca di riavvicinarsi al regime fascista e, nel 1927, pur continuando a sottoporlo a un regime di sorveglianza, il governo gli rilascia il passaporto per l’estero che gli permettere di vivere per lunghi periodi in Somalia. 

Nel maggio del 1929 gli viene tolta la sorveglianza e, anche se dai documenti non risulta il suo rientro ufficiale nel PNF, tuttavia per tutti gli anni Trenta i suoi rapporti con i vertici del partito appaiono buoni. Tuttavia, nel marzo 1941, viene arrestato dopo una serie di accuse che lo vedevano protagonista di un tentativo di ricostruzione, nella provincia di Pavia, di nuclei di fascisti dissidenti

Muore a Milano, il 2 luglio 1943.



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