Apple martedì al World economic forum di Davos è stata incoronata da Brand Finance prima azienda al mondo per valore economico, nella classifica dei Global 500. Ma in questi giorni c’è qualcos’altro che sta facendo parlare della Mela ed è qualcosa che trascende le pagine di economia ma si diffonde tra le colonne della politica, nei commenti sui social media, nelle chiacchiere: l’intenzione di non retrocedere sui programmi Dei – Diversity, equity, inclusion.
Diversità, equità, inclusione: tre belle parole che tuttavia, ultimamente, negli Stati Uniti sono al centro di un dibattito guidato dalla politica e che coinvolge la società, il mercato del lavoro e l’economia. Ma se la pancia degli Stati uniti si scaglia contro tali piani volti a ridurre le disuguaglianze sul lavoro, gli studi indicano chiaramente come l’adozione di politiche attente all’inclusione e alle pari opportunità abbiano come conseguenza un vantaggio concreto per le aziende in termini monetari, reputazionali e anche operativi: “Le aziende con elevati livelli di diversità superano di netto in performance finanziaria quelle meno inclusive“, spiega Marco Martorana, professore di Diritto della privacy all’Università Mercatorum e avvocato che si occupa di temi legati all’inclusività.
Cosa sono i programmi Dei negli Usa
I programmi Dei sono piani volti a creare ambienti di lavoro dove le persone possono essere valorizzate e fare carriera senza preclusioni legate a discriminazioni come, per esempio, quelle relative all’aspetto e al colore della pelle, alla nazionalità, al genere, agli orientamenti religiosi, politici e sessuali o all’avere disabilità.
Come scrive la Cnn sul proprio sito in un articolo, al quale hanno contribuito Michelle Krupa, Donald Judd, Katelyn Polantz, Dakin Andone e Nathaniel Meyersohn, questi programmi hanno assunto grande rilevanza dopo l’omicidio dello statunitense afrodiscendente George Floyd da parte di un poliziotto bianco il 25 maggio 2020, ma sin dagli anni Sessanta negli Stati Uniti ci sono stati sforzi e movimenti per garantire l’inclusione di tutte le persone nel mondo corporate e dare le stesse possibilità a tutti di raggiungere alti livelli nelle aziende.
Perché i Dei sono sotto attacco in Usa
Ma ora si sta facendo un passo indietro. I detrattori dei programmi Dei li ritengono discriminatori, forieri di cause di lavoro, addirittura divisivi e anti-americani. I favorevoli sottolineano invece che piani così puntano allo sviluppo personale di ogni individuo al di là di ogni fattore potenzialmente discriminatorio, che portano a valorizzare e rappresentare gli stakeholder e la clientela e che la diversità è una ricchezza che si riflette sui risultati di business.
Diverse grandi imprese hanno deciso di ridimensionare i propri programmi, tra cui Meta, scelte che sono state accolte da parte del pubblico come un allineamento alla nuova corrente conservatrice dominante nel Paese. Scrivono i giornalisti Cnn nell’articolo citato che “il presidente Donald Trump, poche ore dopo aver prestato giuramento questa settimana, ha iniziato a mantenere le promesse di condurre una guerra contro tali politiche, inchiostrando un ordine esecutivo che vieta sforzi come programmi di giustizia ambientale, iniziative di equità e DEI nelle assunzioni federali”. Già Elon Musk su X aveva definito Dei “un’altra parola per razzismo. Vergogna per chiunque la utilizzi”.
Dalle parole si sta passando ai fatti. Scrive Nell Gallogly sul New York Times in un articolo cui ha collaborato anche Jordyn Holman, che il presidente Usa Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per identificare i programmi Dei ritenuti discriminatori e “proporre potenziali azioni legali o normative”.
Il caso Apple
I giornali d’oltreoceano riportano di vere e proprie pressioni per spingere le aziende a un dietrofront sui Dei, presentate sotto forma di avvertimenti di possibili cause per discriminazione da parte di lavoratori bianchi, eterosessuali, maschi o anche per cattiva pubblicità, data l’attività di ostracismo svolta da alcuni influencer contrari ai Dei e alle aziende che li adottano. Alcune cause legali ci sono effettivamente state, tuttavia, racconta Martorana, “le aziende che implementano programmi di inclusione ben strutturati, nel rispetto delle normative vigenti, non hanno motivo di temere conseguenze legali significative“. E i datori di lavoro, come racconta un articolo del forum sulla Corporate governance della Harvard Law School, hanno diversi strumenti per evitare ripercussioni senza retrocedere sul loro impegno sui Dei, in primis fare un assessment per valutare che i programmi introdotti siano compliant alle norme.
La spinta al ritiro dei programmi Dei è giunta anche in guisa di proposte da parte degli azionisti e consulenze da parte di think tank di orientamento conservatore. Questo quanto successo ad Apple: il think tank conservatore National center for public policy research aveva suggerito di eliminare i programmi Dei perché avrebbero esposto l’azienda di Cupertino al rischio di possibili cause legali. Il CdA guidato da Tim Cook ha respinto il suggerimento e chiesto agli azionisti di votare contro la proposta di ridimensionamento dei programmi di inclusività.
I vantaggi dei programmi di inclusività per le aziende
Certamente adottare piani volti all’inclusività è la concretizzazione di valori legati all’uguaglianza sul lavoro, come la parità di genere in azienda, alla non discriminazione del lavoratore che deve essere valutato per le proprie competenze e capacità, non per il background, l’etnia, la religione o altri aspetti personali, non professionali.
Ma ci sono anche aspetti più pratici, relativi a performance e reputazione e, di conseguenza, benefici per il business. Spiega il professor Martorana che “i programmi di inclusività portano benefici tangibili alle aziende: maggiore innovazione grazie alla diversità di prospettive, migliore capacità di attrarre talenti, aumentata produttività e engagement dei dipendenti, e i dati lo dimostrano”.
Secondo McKinsey per le imprese ammonterebbe a due miliardi il potenziale fatturato derivante dall’ampliamento dei servizi agli afroamericani in seguito agli sforzi di inclusione finanziaria, mentre la riduzione del gender gap entro il 2025 comporterebbe un impatto di crescita di 12 miliardi di dollari sul Pil. In base a uno studio pubblicato sul Journal of Risk and financial management nel 2024, “in un ambiente aziendale dinamico che richiede soluzioni creative alle sfide emergenti, l’importanza di una forza lavoro diversificata e inclusiva, in possesso di una serie di competenze, conoscenze esperienziali e prospettive culturali, è innegabile negli sforzi per migliorare le prestazioni aziendali”.
Cosa dice il DEI Lighthouse programme 2025 del World Economic Forum
Il report Diversity, equity, inclusion lighthouse programme 2025 del World economic forum fotografa la realtà del rapporto tra le politiche di valorizzazione della diversità in azienda e risultati di business. Come scrive nella sua prefazione Silja Baller, Head dei Dei al Wef, a inizio 2025 persistono gap economici per le donne, la comunità LGBTQ+, i neri e le persone con disabilità, una conseguenza della situazione di svantaggio vissuta nel mondo del lavoro e nel mercato, che spinge dunque a dover intervenire con programmi mirati per ridurre la disuguaglianza.
Il report specifica che non tutti i programmi Dei introdotti negli ultimi anni sono stati fatti per bene e hanno funzionato, ma dove l’implementazione è stata corretta i risultati si sono visti, sotto forma di attrazione dei talenti, miglioramento del benessere dei lavoratori, migliore efficienza, produttività e innovazione.
La situazione in Italia
In Italia, le aziende e i lavoratori dispongono di diversi strumenti normativi per tutelare l’inclusività. Spiega Martorana che, oltre allo Statuto dei lavoratori, ci sono “il Decreto legislativo 216/2003 contro le discriminazioni, la Legge 68/99 sul collocamento mirato delle persone con disabilità, e il Codice delle pari opportunità (D.Lgs. 198/2006). Di particolare rilevanza anche il recente decreto legislativo 105/2022 sulla parità di genere, che incentiva le aziende attraverso la certificazione della parità di genere”.
Il rischio di cause per “discriminazione al contrario”, “è molto più basso in Italia rispetto agli Usa, principalmente perché il nostro sistema legale è strutturato diversamente e non favorisce questo tipo di contenziosi”. Nessuna scusa, quindi.
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