«Autonomia, legge da riscrivere. E il compito spetta al Parlamento»

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Il professor Giovanni Maria Flick – IMAGOECONOMICA

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Il ddl Calderoli ha cambiato volto dopo la sentenza 192 del 14 novembre scorso, intervenuta sui ricorsi presentati dalle Regioni Puglia, Toscana, Campania e Sardegna contro la legge sull’autonomia differenziata. Quella sentenza ha indicato 7 settori con profili d’incostituzionalità, ma anche una serie di criteri da seguire per correggere la legge evitando di dar vita a un “regionalismo duale” e mantenendo invece uno spirito “cooperativo”, che salvaguardi «l’unità e indissolubilità della Repubblica». Il trasferimento non può riguardare «intere materie», ma solo «ben determinate funzioni», garantendo «efficacia, efficienza ed equità» nell’allocazione delle risorse, e sempre «in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea», e l’«eguaglianza dei cittadini nel godimento dei diritti», e una «effettiva garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni». Esiste una sola nazione, ha richiamato la Consulta e «non sono in alcun modo configurabili popoli regionali». L’autonomia non può «portare all’evaporazione della nozione unitaria di popolo».

«Chi canta vittoria, interpretando a modo suo il comunicato della Corte Costituzionale sull’autonomia differenziata, ritenendo che basti sostituire qualche parola o correggere qualche singolo punto, è completamente fuori strada» per il professor Giovanni Maria Flick. Il presidente emerito della Consulta ed ex Guardasigilli, parla da presidente del Comitato promotore del referendum, e lo fa per la prima volta dopo la sentenza della Consulta che ha dichiarato inammissibile il quesito. Una decisione che, in attesa delle motivazioni, non riesce a comprendere. «Ma se la Corte ha ritenuto la materia del contendere già risolta dalla sentenza 192 del novembre scorso, allora è ad essa che bisogna guardare. Leggendola bene, però. Occorrerà un approccio del tutto nuovo, direi opposto a quello della “legge Calderoli”, e il Parlamento non potrà essere confinato a un mero ruolo di ratifica».
Per dirla con Bartali, “tutto sbagliato, tutto da rifare”?
Direi proprio di sì. Sbaglia il proponente a parlare di avvoltoi sconfitti, dicendo che ora bisogna «fare presto». La Corte si è pronunciata sull’illegittimità di ben 7 punti, non sulla legittimità dei restanti. Quel che resta è solo un guscio vuoto che il Parlamento deve riempire.
Il ruolo del Parlamento è uno dei punti su cui più ha battuto la Consulta, a novembre.
I punti sono essenzialmente tre e tutti “strutturali”. Innanzitutto si è stabilito che è possibile trasferire soltanto specifiche funzioni, non intere materie, la cui titolarità resta in capo allo Stato centrale. Poi si fa riferimento al quadro finanziario, l’allocazione delle risorse fra livello centrale, livello europeo e livello regionale va resa compatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento. E poi c’è, appunto, la centralità del Parlamento. Il suo apporto non può essere emarginato e ridotto a un “prendere o lasciare” la singola intesa. Ad esempio sui Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, la Corte ha detto con chiarezza che deve decidere il Parlamento, la loro definizione non può essere affidata a un livello amministrativo.
Ma se della legge sull’autonomia resta solo un guscio vuoto, come lei dice, il quesito del referendum non era a sua volta svuotato?
La Corte Costituzionale ha detto in sostanza: “Abbiamo già provveduto noi”, ritenendo ormai inutile e inammissibile il referendum. Per ora, in attesa delle motivazioni, possiamo ragionare solo sul comunicato stampa, che definisce il quesito non chiaro. Ma il controllo sulla chiarezza del quesito è demandato all’Ufficio centrale della Corte di Cassazione, che – anche dopo il primo pronunciamento della Consulta che ha giudicato incostituzionali sette punti – lo aveva validato. Mentre alla Corte Costituzionale deve essere riconosciuto il controllo sul merito del quesito, per stabilire se viola o meno i principi fondamentali della Costituzione, per verificare cioè se esso interviene su leggi che integrano il tessuto costituzionale.
Si è detto che l’autonomia differenziata è stata “promossa” dalla sentenza di novembre.
E ci mancherebbe. Si tratta di un principio costituzionale… Vorrei che fosse chiara una cosa, su cui si continua a fare invece confusione: la sentenza 192 non ha demolito l’autonomia differenziata, ma ha letteralmente sepolto il modo di applicarla della legge Calderoli.
Come procedere, allora?
La sentenza, al paragrafo 4 fornisce un chiaro e dettagliato “manuale” su come intervenire. L’articolo 116 terzo comma, che introduce forme e condizioni particolari di autonomia, va valutato insieme ad altri principi costituzionali, evitando di far «evaporare», come dice la sentenza, l’unità e indivisibilità della Repubblica, garantendo un equilibrio fra autonomia e principio solidaristico che tenga conto, ad esempio, anche dell’articolo 9 in materia di tutela dell’ambiente e delle biodiversità. Al di là dei 7 “paletti” indicati dalla Consulta, c‘è una serie di indicazioni di principio, generali. A partire dall’articolo 5, sull’unità e indivisibilità della Repubblica, la Corte ha detto con estrema chiarezza che non si può pensare di dar vita a «popoli regionali», l’Italia è una comunità politica come Nazione, e questo è tanto più vero in un quadro di integrazione europea. La Costituzione introduce un principio di sussidiarietà verticale, flessibile, che deve però rispondere a criteri di efficacia ed efficienza nell’allocazione delle risorse (in base all’articolo 97) che prevede un intervento solidaristico centrale a tutela delle peculiarità locali e delle specifiche esigenze di tutti i cittadini. Interventi che debbono rispondere a criteri di equità e responsabilità. Con particolare riferimento ai famosi sette punti: commercio estero, ambiente, energia, porti e aeroporti, reti di trasporto e navigazioni, ordinamenti delle comunicazioni e norme generali sull’istruzione.
Che cosa si sente di dire alle migliaia di persone che si erano mobilitate per il referendum?
Da questi temi dipende il futuro del nostro Paese. Di fronte a questioni che si affacciano a livello mondiale, penso alla pace, alla tutela dell’ambiente, alla rivoluzione tecnologica, non ci si può rifugiare in 20 “piccole patrie” chiuse in sé stesse, ma ne occorre una e che sia aperta a livello globale. L’impegno continua, quindi. E riguarda tutti, non solo l’opposizione, il dibattito va aperto anche nelle coalizioni, fra chi ha un approccio aperto, solidale, responsabile e lungimirante e chi preferisce una chiusura strumentale per difendere, tutto sommato, qualche posizione di potere.





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