Moldova, la fame e la memoria (3) / Moldavia / aree / Home

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Documenti d’archivio al museo di Avdarma, Moldova (foto F. Brusa)

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La Gagauzia è la regione moldava in cui la memoria della carestia del 1946-47 è più viva. Anche qui, però, l’atteggiamento verso i fatti del passato è segnato dalle divisioni del presente: una distanza che rischia di crescere sempre di più. Ultima puntata del nostro reportage

Uscendo dalla capitale moldava, le stratificazioni storiche e architettoniche lasciano spazio a una campagna dominata da coltivazioni e modesti rilievi collinari.

Avdarma, nella regione autonoma della Gagauzia, è un villaggio come se ne possono osservare tanti nel paese: case in legno avviluppate da generosi tralci di vite si sviluppano attorno a un unico incrocio di strade che formano la via principale, con la scuola, la chiesa e i servizi pubblici. In questo piccolo centro a pochi chilometri dal capoluogo della zona Comrat, però, sono presenti anche due strutture difficili da incontrare altrove.

“Possiamo dire che il ricordo della carestia del ‘46 -‘47 ha iniziato a svilupparsi nel nostro villaggio”, afferma la guida del museo di storia cittadino, Ivanka Tanasovich, nata e cresciuta ad Avdarma, mostrando una quantità di documenti, registri e fotografie che in effetti potrebbe rivaleggiare con le collezioni pubbliche di Chișinău.

Non riguardano soltanto i decessi per fame nel dopoguerra, tutto il susseguirsi di conflitti, deportazioni ed episodi tragici che hanno segnato il villaggio gagauzo nei suoi duecento anni di storia. Anche il luogo in cui sorge l’edificio, eretto nel 2011, è custode di un evento peculiare: pare che lì sia stato fucilato dai propri superiori Aleksandr Berger, soldato austriaco della Wermacht spedito in Moldova il quale, però, proprio ad Avdarma si rifiutò di combattere e sodalizzò con gli abitanti perorando la causa della pace.

Prosegue la guida: “Già dagli anni ‘80 il tema della carestia era diventato un argomento di discussione presso la comunità, anche grazie al fatto che pure a Mosca si era iniziato a commemorare gli episodi analoghi avvenuti presso il Volga. Poi, con l’indipendenza, l’attenzione è cresciuta ulteriormente e abbiamo anche istituito un giorno del ricordo prima che questo avvenisse a livello nazionale”.

Non si tratta di un caso: fra il ‘46 -‘47, la Gagauzia è stata infatti la regione relativamente più colpita dalle morti per scarsità di cibo (ad Avdarma 600 decessi su 2200 abitanti). Uno dei motivi di tale sproporzione sarebbe da rinvenire anche nella composizione sociale del posto, che nel dopoguerra vedeva un più alto numero di grandi proprietari terrieri, oggetto di maggiori requisizioni e repressioni da parte del regime sovietico.

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19 ottobre

Ecco dunque che ad Avdarma e nella regione gagauza la memoria della tragedia del ‘46 -‘47 sembra essere più sentita che altrove. Dal lato della strada opposto rispetto al museo, si apre un ampio quadrilatero composto da tombe commemorative.

Al centro dello spazio, una croce rialzata che onora gli abitanti falcidiati dalle diverse ondate di guerre (dal conflitto ottocentesco per la Crimea all’ultima invasione sovietica in Afghanistan), fame e repressioni. Qui, ogni 19 ottobre, si svolge appunto la celebrazione ufficiale in ricordo della carestia, con persone e autorità che arrivano da tutta la regione.

“A livello privato e familiare, qui ad Avdarma, più o meno tutti si rammentano di parenti o conoscenti morti in quegli anni”, racconta la guida del museo di storia cittadino. “Ma per molto tempo non ci si è posti alcuna domanda sulle cause e sulle dinamiche dei decessi. Solo con il passare delle generazioni e soprattutto con l’apertura degli archivi di stato si è potuto infine parlare del fenomeno e inquadrarlo meglio all’interno delle politiche di allora”.

Il 19 ottobre è la data in cui, nel 1946, l’amministrazione di Comrat aveva inviato un dispaccio alle autorità centrali della Moldova sovietica per informare delle morie di massa in atto fra la popolazione ed è per questo che è stata istituita a “giornata simbolo” dell’intero evento dalla comunità di Avdarma.

L’impegno per preservare la memoria della carestia ha fatto nascere inoltre progetti che coinvolgono studenti e giovani del luogo. Ma la guida del museo non può fare a meno di notare una sorta di contraddizione: “Guarda cos’è successo appena dopo la commemorazione”, dice con riferimento al fatto che quest’anno il giorno successivo alle celebrazioni ufficiali per la tragedia del ‘46 -‘47 si è andati alle urne e in Gagauzia ha prevalso con una nettissima maggioranza (oltre il 90%) il rifiuto verso l’ingresso nell’Unione Europea. “Nonostante la crescita di interesse verso il passato e una maggiore consapevolezza di quello che è successo, la mentalità delle persone non cambia da un momento all’altro”.

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Il dovere della neutralità

Ovviamente, non sarebbe corretto mettere in diretta correlazione l’orientamento politico degli abitanti con il loro atteggiamento verso il passato. È vero però che la strumentalizzazione della memoria, a opera anche se non soprattutto di “potenze esterne” come la Russia di Putin, è un fattore che influenza alcuni aspetti della vita politica del paese.

Inoltre, in Gagauzia i legami con Mosca sono da tempo profondi (l’attuale governatrice della regione, Evghenia Guțul, è stata di recente sanzionata per i suoi rapporti col Cremlino).

“In un mondo ideale mi aspetterei che tutti i governi, compreso quello russo, affrontassero apertamente il proprio passato, anche se è stato oppressivo verso altri popoli”, argomenta lo storico Artur Leșcu.

“È chiaro che ciò non sta avvenendo e, purtroppo, questo apre la porta al rischio dalla parte opposta di generalizzare dal punto di vista etnico, cioè di considerare tutti i russi come colpevoli per tragedie che abbiamo subito durante il regime sovietico. Ma spetta a noi essere estremamente chiari in proposito: per quanto riguarda la carestia, parliamo di responsabilità specifiche in un periodo storico altrettanto specifico”.

Anche il direttore del Centro Nazionale degli Archivi Igor Cașu insiste sul dovere della precisione terminologica nel preservare la memoria degli eventi del ‘46 -‘47: “Penso si debbano impiegare parole il più possibile neutre per descrivere quanto è avvenuto. In questo senso, la categoria di ‘genocidio’ è fuorviante perché presuppone un’intenzionalità che non è dimostrabile. Negligenza, negligenza criminale… Insomma, esistono inquadramenti giuridici più puntuali per descrivere ciò che è successo. Dal mio punto di vista, le celebrazioni pubbliche della memoria dovrebbero attenersi a un livello di oggettività”.

Come spesso succede, sarà forse il futuro a decidere più radicalmente della direzione che prenderà il passato di una comunità come quella moldava. Pur nelle sue ambiguità e contraddizioni, il processo di avvicinamento del paese verso l’Unione Europea sta cambiando gradualmente la percezione identitaria della popolazione, mentre la ricerca storica continua a far affiorare ulteriori dettagli dimenticati del percorso di costruzione nazionale.

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Intanto, e a proposito delle diverse “memorie” che coesistono nel presente, dalla “fiamma eterna” sempre accesa nel memoriale di Chișinău dedicato alla vittoria sovietica sul nazifascismo al più vicino fronte dell’invasione russa in Ucraina nei pressi di Cherson distano meno di quattrocento chilometri: una distanza, più che geografica, ormai in tutto e per tutto simbolica, e apparentemente sempre più difficile da colmare.

La fiamma della vittoria nella seconda guerra mondiale a Chisinau (foto F. Brusa)

La fiamma della vittoria nella seconda guerra mondiale a Chisinau (foto F. Brusa)

– La prima puntata Moldova, la fame e la memoria

– La seconda puntata Moldova, la fame e la memoria

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