Prada, nota e oliatissima macchina della moda ha visto nelle ultime stagioni un grande cambiamento. Miuccia Prada, co-direttrice creativa della casa di moda milanese, è famosa per definire temi filosofici e specifiche linee guida nelle sue collezioni. La signora Prada (come viene chiamata) potrebbe concentrarsi sul velluto a coste e sulle conchiglie di ciprea in una stagione, per poi passare a proporre tute futuristiche nella successiva, grazie a una ben nota passione per le contraddizioni e a chiare visioni creative.
Le cose, però, sono cambiate. La signora Prada e il partner creativo Raf Simons non usano moodboard per spiegare il proprio lavoro (per carità!), ma se lo facessero, forse troveremmo come motivo ispiratore un personaggio come Timothée Chalamet, il principe del caos nella moda maschile, nascosto dietro la loro collezione uomo Autunno/Inverno 2025.
Domenica pomeriggio, durante la settimana della moda di Milano, gli ospiti di Fondazione Prada si sono trovati a percorrere una complessa struttura a torre di impalcature, l’ultima delle scenografie spettacolari create dal collaboratore di Prada, Rem Koolhaas. Celebrità e giornalisti erano seduti al terzo piano, mentre gli acquirenti e altri ospiti importanti si trovavano al piano inferiore. L’illuminazione era da discoteca e il pavimento era coperto da un tappeto in stile art nouveau, opera di Catherine Martin, scenografa di Moulin Rouge! e Il Grande Gatsby. La stanza era riempita da una musica cibernetica con un ritornello subacqueo che ripeteva la parola: Tecnologia! Tecnologia! Nel backstage, Simons ha spiegato: «Dovrebbe farti pensare a diversi riferimenti. Contrasti forti… Potresti ipotizzare: è Blade Runner, oppure una sala da ballo degli anni Venti?”».
Gli abiti presentavano la stessa mescolanza di riferimenti, come se un’intero scaffale di codici stilistici fosse crollata su un insieme di elementi sartoriali caotici. I modelli indossavano stivali western colorati con punte aguzze, grandi pezzi di pelliccia tagliati grossolanamente, vestaglie a quadri, magliette aderenti con stampe hawaiane dai toni agrumati, giacche da meccanico, completi di pelle, pantaloni attillati, cappucci da parka isolati dai cappotti e indossati come cappelli, pigiami e, in modo più stridente, piccoli orecchini e braccialetti a forma di palloni da basket. Sembrava quasi che Simons e la signora Prada avessero fatto spese in un negozio dell’usato e poi avessero vestito i modelli al buio.
La scaletta mi ha fatto venire in mente anche Chalamet e i bizzarri assemblaggi tra moda firmata, capi vintage e merchandising kitsch che ha indossato durante il tour promozionale del suo ultimo film: A Complete Unknown. L’attore è la figura stilistica più avvincente del nostro tempo perché affronta la sua crescente fama lasciando briglia sciolta al proprio istinto, non smussa gli angoli ma diventa sempre più strano. Una volta ho definito il suo modo di vestire come post-swag, uno stile vorticoso che sfida la logica, resiste alle tendenze e ignora la storia spesso ingombrante dell’abbigliamento maschile con cui si misura ancora tanta moda contemporanea. Ora, guidato dalla stylist Taylor McNeill, gli outfit di Chalamet sono diventati ancora più sbagliati. Ma c’è un senso di libertà impulsiva che sembra anche giusto. Puoi già immaginare l’attore sfoggiare uno degli orecchini da basket di Prada, ovunque tranne che in una partita di basket, ovviamente.
Alcuni dei pantaloni e dei pigiami erano così aderenti che si attaccavano scomodamente alle gambe e agli stivali dei modelli, richiamando il caratteristico stile di Timothée Chalamet. Nel dietro le quinte, con decine di critici e giornalisti internazionali attenti ad ogni sua parola, la signora Prada ha spiegato che lei e Simons si sono lasciati guidare dall’emozione e dall’intuizione piuttosto che dalla fredda razionalità: «Si trattava di romanticismo, ispirare passione, liberare l’istinto, che è così cruciale in questo momento. La scorsa stagione abbiamo parlato di intelligenza artificiale, e questo è il modo di tornare all’umanità, alla passione, alla liberazione dell’istinto, fondamentalmente». La signora Prada si riferiva a una sfilata tenutasi a settembre che presentava una combinazione ugualmente folle di riferimenti apparentemente irrazionali, una risposta, come ha spiegato all’epoca, alla crescente influenza degli algoritmi sui gusti delle persone. Lei è interessata a uno stile di vita che segue le inclinazioni personali, ovunque esse portino.
Il guazzabuglio stilistico sembrava anche stranamente a stelle e strisce. Più di una persona mi ha fatto notare che gli ricordava il breve periodo di Simons presso Calvin Klein, dove trasformava il suo fascino per David Lynch e altre pietre di paragone del cinema nazionale in inquietanti tableau americani. Gli abiti ispirati ai cowboy, presentati alla vigilia dell’insediamento di Trump e, per coincidenza, nel giorno in cui TikTok non era disponibile ai molti influencer americani che indossavano Prada in prima fila, erano forse un cenno al nuovo paradigma politico statunitense, con i signori della tecnologia come Elon Musk diretti alla Casa Bianca? La signora Prada è stata cauta: «È un po’ una risposta, come sempre, a ciò che sta accadendo».
Con Prada, le cose non sono mai semplici. L’anno scorso ho avuto l’impressione che il team creativo stesse spostando il processo creativo dall’idea di un design basato sui temi a qualcosa in grado di scaturire da un dialogo più organico, dove i punti di ispirazione si mescolano e combinano in modi imprevedibili, interpretando e reinterpretando il loro stesso lavoro man mano che procede. Nel backstage, Simons ha spiegato che le parole chiave della collezione, istinto e umanità, erano solo il punto di partenza della loro evoluzione creativa: «È il processo che per noi è molto interessante e fondamentale in questo momento, lavorare molto istintivamente e in modo libero, nel senso che le cose possono unirsi anche se sembrano non dovere stare insieme».
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