Elena Sofia Ricci e lo sguardo sul passato di Giulia Spizzichino

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“Sono una vittima non un simbolo”. Così si descriveva Giulia Spizzichino. Eppure la sua esperienza diventerà molto di più: un messaggio sull’importanza di perseguire la verità e la giustizia, sempre e comunque. Ebrea romana segnata dallo sterminio nazista di 26 membri della sua famiglia tra le Fosse Ardeatine e Auschwitz, Spizzichino rivive nell’interpretazione di Elena Sofia Ricci, protagonista del film tv La farfalla impazzita, in onda mercoledì 29 gennaio in prima serata, su Rai1. In occasione della Giornata della Memoria, il 27 gennaio, Alice nella Città ha scelto di promuovere un appuntamento speciale che possa arricchire il percorso formativo delle scuole, coinvolgendo 700 ragazzi delle scuole medie e superiori al Cinema Adriano di Roma per la premiere del film.

Tratto dall’omonimo libro, il film diretto da Kiko Rosati racconta la storia del processo all’ex capitano delle SS Erich Priebke, esecutore materiale della strage delle Fosse Ardeatine. Grazie al sostegno mediatico di Giulia Spizzichino, il criminale nazista è stato rintracciato in Argentina, estradato e poi condannato in Italia, ben 50 anni dopo il terribile eccidio del 1944. Ma non fu un risultato indolore, soprattutto per una donna come quella interpretata da Elena Sofia Ricci, letteralmente ossessionata dai fantasmi del suo passato, tanto da esitare più volte a rilasciare le sue tragiche e decisive testimonianze.

“È la quarta volta che interpreto una donna realmente vissuta. Non è mai facile, nel caso di Giulia Spizzichino è stato ancora più difficile. – dichiara l’attrice – Ho letto molto attentamente il libro, ho visto tantissime interviste, fortunatamente ce ne sono molte. Io non ho alle spalle una storia di sofferenza così forte e ho cercato di capire quel dolore inimmaginabile. Noi interpreti dobbiamo diventare quelle persone, empatizzare con loro, cioè patire con loro. Oltre a studiare come parlava, come inseguiva le parole, come le sceglieva, la cosa che più mi ha colpito è stato il suo sguardo. Lei non guardava mai in basso, ma raramente guardava il suo interlocutore. Il suo sguardo non fissava il vuoto, ma il suo passato. Quei morti di cui lei parla, lei li vede. Io rivedevo nello sguardo di Giulia Spizzichino quello che raccontava con dovizia di particolari”.

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Ciò che più viene sottolineato dalla narrazione e dalla performance dell’interprete è la gravità con cui la protagonista affrontava la vita. Indurita dai traumi della sua gioventù, tormentata dal volto dei suoi cari che continua a vedere intorno a lei ancora giovani e vivi come in quel dannato 24 marzo di 80 anni fa, Spizzichino ha avuto accanto a sé delle persone – il figlio Marco (Josafat Vagni) e il marito Umberto (Massimo Wertmüller) – che hanno saputo accettarne l’inevitabile irrequietezza. “Ho cercato di capire quanto certo dolore ti possa raggelare per sempre, al punto che per Giulia è stato molto difficile lasciarsi andare, potere amare. – continua Elena Sofia Ricci – È rimasta cristallizzata nel dolore di quel passato. Un dolore che si estende alla famiglia, quanto deve essere stato difficile per loro stare vicino a una donna che ha questo macigno di sofferenza di cui non riesce a liberarsi. Probabilmente l’essere stata spinta a fare qualcosa in modo che Priebke venisse estradato l’ha in qualche modo liberata”.

La farfalla impazzita (così veniva descritta Spizzichino dai suoi amici e familiari) è un film che riesce a traslare il dramma della seconda guerra mondiale in un’epoca a noi molto più vicina, gli anni ’90, permettendoci di capire quanto quei fatti abbiano ancora effetto su di noi. Intrecciando questa vicenda a quella delle Madri di Plaza de Mayo, cruciali nel cambiamento della protagonista durante il viaggio in Argentina, ci sottolinea l’universalità di un dolore che travalica il tempo e lo spazio: quello delle vittime di una violenza gratuita.

“Quello che fa tanta rabbia oggi è che siamo campioni mondiali di resistenza a qualsiasi tipo di evoluzione umana. – conclude Elena Sofia Ricci – Noi dimentichiamo o non vogliamo ricordare o ce ne freghiamo altamente. Continuiamo a perpetrare sul vicino, sul più debole il potere, la sopraffazione. Ho preso in prestito una frase di Camilleri: tutti i carnefici sono carnefici tutte le vittime sono vittime, in ogni tempo e in ogni luogo. Questo risuoni bene nelle coscienze di tutti noi. Ogni giorno. Quei criminali sono peggio delle bestie, perché le bestie uccidono per paura e per fame, gli uomini uccidono per gelosia, rivalità, per il potere, per il denaro e questo li rende colpevoli. E oggi noi siamo colpevoli. Che ognuno interroghi la propria coscienza perché oggi siamo colpevoli di perpetrare gli errori del passato. Non possiamo dimenticare”.



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