Il Cairo avrebbe potuto giocare un ruolo centrale nelle mediazioni ma così non è stato
Egitto. La tregua a Gaza: un’occasione persa per al-Sisi
Il governo nordafricano, preoccupato soprattutto dal possibile afflusso di rifugiati, si è dimostrato più un alleato di Israele che della Palestina
(Credit: U.S. Army Sgt. Amber I. Smith)
L’intesa raggiunta a Doha per il cessate il fuoco a Gaza, avviatosi tra mille incertezze con il rilascio dei primi ostaggi israeliani e di alcuni prigionieri politici palestinesi, è stata un’occasione persa per affermare la centralità della diplomazia egiziana in Medio Oriente.
L’Egitto avrebbe potuto assumere un ruolo vitale nei negoziati per la tregua, così come aveva tentato di fare durante l’Operazione Margine protettivo (2014), ma così non è stato.
Se il Cairo ha partecipato attivamente alla prima fase della mediazione con il raggiungimento della breve sospensione delle ostilità di 7 giorni nel novembre 2023, durante la quale sono stati rilasciati i primi ostaggi israeliani da parte di Hamas, con il passare del tempo, è stato chiaro per i negoziatori, inclusi gli Stati Uniti, che l’appiattimento egiziano su posizioni pro-israeliane avrebbe impedito di ottenere concretamente un cessate il fuoco.
Per esempio le autorità egiziane hanno continuato a tenere chiuso il valico di Rafah impedendo il passaggio degli aiuti umanitari ma anche dei feriti palestinesi che avrebbero potuto essere curati negli ospedali egiziani.
La questione del corridoio Philadelphi
Proprio la situazione a Rafah sarà il vero banco di prova per la tenuta della tregua del 19 gennaio. Quando l’esercito israeliano (Idf) ha avuto il pieno controllo del corridoio Philadelphia che separa Gaza dal Sinai, lungo i 13 chilometri di confine tra i due paesi, è tornata al centro della diplomazia egiziana la questione, sollevata da al-Sisi subito dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023, in merito a dove sarebbero dovuti andare i rifugiati palestinesi.
«Vadano nel deserto del Negev» e non nel Sinai, aveva tuonato il presidente egiziano quando il conflitto tra Israele e Hamas era ancora agli inizi. Al-Sisi ha anche chiesto alla comunità internazionale di «fermare ogni tentativo di costringere i palestinesi a lasciare la loro terra».
Non solo, quando Idf ha confermato il pieno controllo di alcuni dei tunnel, controllati da Hamas, che uniscono il Sinai con Gaza, la televisione pubblica egiziana ha negato che quei tunnel servissero per rifornire il gruppo che governa la Striscia di Gaza di armi da usare nel conflitto. Secondo gli egiziani, questa narrativa sarebbe stata utile a Tel Aviv per giustificare le sue azioni militari sanguinose a Rafah. In particolare, i diplomatici egiziani hanno più volte sostenuto di aver distrutto queste strutture transfrontaliere, spesso usate per il contrabbando di merci e prodotti alimentari.
Tuttavia, nonostante le dichiarazioni ufficiali, per mesi sono andate avanti le manovre egiziane al confine con Israele. Vari approfondimenti della BBC avevano rivelato, sin dal 2023, la costruzione di un’area recintata al confine tra Egitto e Israele. Se per gli egiziani si tratterebbe di una zona di parcheggio per i mezzi coinvolti negli aiuti umanitari, per settimane si è pensato che l’area avrebbe potuto accogliere i rifugiati di Gaza, nell’ennesimo campo profughi palestinese della regione.
In parallelo, mentre il conflitto ha preso sempre più le sembianze di una guerra permanente, è andato crescendo il business dell’accoglienza. Per migliaia di dollari, i più abbienti tra i palestinesi di Gaza, hanno superato il valico di Rafah e sono fuggiti verso il Cairo, lasciando al loro destino feriti e rifugiati.
La mediazioni, tra tensioni e ritorno al tavolo negoziale
Tuttavia, in questi 15 mesi di guerra, non sono mancate le tensioni tra Egitto e Israele. In particolare quando nel maggio 2024, le autorità israeliane, stracciando qualsiasi possibilità di raggiungere un accordo con Hamas, hanno lanciato l’invasione di terra a Rafah che, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unrwa), ha spinto un milione di palestinesi a lasciare la città di confine. E così in un incidente che ha coinvolto Idf e militari del Cairo, due soldati egiziani sono rimasti uccisi.
Eppure, nonostante queste scaramucce di confine, i rapporti tra Egitto e Israele sono rimasti solidi. Non solo, l’attendismo del Cairo ha dimostrato gli ottimi rapporti bilaterali che ci sono tra Egitto e Israele. Con la firma del Trattato di pace (1979) che segnò la fine politica per l’ex presidente, Anwar al-Sadat, l’Egitto è stato il primo paese arabo a riconoscere Israele.
Cancellata la breve parentesi dell’ex presidente, Mohammed Morsi, che aveva dato diritto di cittadinanza ai rifugiati siriani e palestinesi in Egitto, dopo il golpe del 2013, al-Sisi ha posto al centro della sua politica estera, ancora una volta, l’alleanza con Tel Aviv. Negli ultimi anni, su richiesta israeliana, l’esercito egiziano ha distrutto oltre 12 mila case ad al-Arish nel Sinai e ha espropriato 6 mila ettari di terreno, per la costruzione di due possibili zone cuscinetto ad al-Arish e a Rafah.
Non solo, anche le continue scoperte di gas nel Mediterraneo orientale, al largo di Port Said, hanno reso eccellenti i rapporti tra i due paesi. E così nel gennaio 2020, Israele ha iniziato a esportare il suo gas in Egitto come parte di un accordo più generale che include la consegna di 85 miliardi di metri cubi di gas in 15 anni.
Nonostante questo, con il piano Biden del maggio 2024, gli Usa hanno tentato di riportare Israele e Hamas al tavolo negoziale. Eppure, secondo ricostruzioni di stampa, smentite dal Cairo, dietro al mancato accordo del maggio 2024, quando Hamas voleva chiudere l’intesa mentre l’esercito israeliano entrava a Rafah, ci sarebbe stato proprio il doppio gioco egiziano.
Sarebbero stati uomini dell’intelligence egiziana, tra cui lo specialista della questione palestinese Ahmed Abdel Khalek, a modificare last-minute, in parte, i termini dell’intesa, per favorire il sì definitivo di Hamas, senza consultare preventivamente le autorità israeliane.
In quella fase si trattava sugli ostaggi israeliani, il rilascio dei prigionieri politici palestinesi e la fine delle ostilità ma era ancora tutto molto incerto. Era anche la fase in cui il presidente Usa Joe Biden chiedeva al premier Netanyahu di non varcare una “linea rossa” facendo entrare l’Idf a Rafah. Cosa che è poi avvenuta.
Un successo per la diplomazia del Qatar
E così i colloqui sono diventati gradualmente più intensi a Doha, in Qatar che al Cairo. Tuttavia l’Egitto avrebbe potuto tornare a guidare i negoziati quando le autorità qatarine, che hanno subìto il bando della tv Al-Jazeera con sede a Doha da parte israeliana, hanno annunciato la possibile chiusura degli uffici di Hamas nel paese, gravemente colpito da assassini mirati, come l’uccisione a Gaza dei tre figli dell’ex guida politica del movimento, Ismail Haniyeh, assassinato a Teheran il 31 luglio 2024. Ma così non è stato.
Una volta raggiunta l’intesa il 19 gennaio scorso, Egitto e Qatar si sono limitati ad annunciare congiuntamente la creazione di una task force comunicativa per affrontare qualsiasi controversia che dovesse emergere nella prima fase di 60 giorni di tregua. In altre parole, l’unico vero successo della diplomazia egiziana in questi negoziati è stato quello di aver impedito l’attivazione di una zona cuscinetto nel Sinai che avrebbe potuto ospitare migliaia di rifugiati palestinesi.
In verità negli ultimi anni in Egitto ha pesato molto un crescente sentimento anti-Hamas. Questo si può spiegare con gli iniziali legami tra il movimento palestinese e i Fratelli musulmani, ma individua anche una più diffusa e profonda discriminazione da parte delle autorità egiziane che coinvolge rifugiati palestinesi e siriani.
Le proteste pro-Palestina in Egitto (2023-2024)
Eppure la guerra a Gaza ha riportato anche le proteste al Cairo. Dopo il 7 ottobre 2023, gli egiziani hanno protestato in massa contro i crimini commessi a Gaza, come non facevano dal 2019.
Spesso, queste manifestazioni sono state manipolate dai sostenitori del presidente al-Sisi in funzione elettorale, finendo per favorire la sua terza elezione, nel dicembre 2023. Elezioni che è avvenuta in barba al limite dei due mandati previsti inizialmente dalla Costituzione e con una partecipazione popolare più alta al voto rispetto al passato.
«Si è iniziato con piccole manifestazioni con attivisti politici che si sono incontrati sui gradini del Sindacato dei giornalisti al Cairo», ha spiegato a Nigrizia l’attivista Mahiennur el-Masry. «La prima protesta c’è stata venerdì 13 ottobre 2023 ma molti dei contestatori non hanno potuto marciare per le strade perché gli è stato impedito dalla polizia. Ma con il passare dei giorni, e dopo aver ascoltato le parole di al-Sisi e le dichiarazioni del governo israeliano sul possibile spostamento dei palestinesi di Gaza Nord, c’è stato un grande rifiuto da parte degli egiziani», ha aggiunto el-Masry.
«Ho preso parte alle proteste dell’Università di al-Azhar e alla moschea Mustafa Mahmud a Mohandessin. I sostenitori di al-Sisi si sono assembrati nel quartiere di Medinat Nasr. Al-Azhar è un luogo storico per le proteste degli ultimi anni, ma si avvertiva anche il rischio che gli islamisti prendessero parte alle manifestazioni», ha continuato Mahiennour. «Dopo la preghiera di venerdì 20 ottobre 2023, le persone hanno iniziato ad andare fuori dalla moschea. E così siamo arrivati fino a piazza Tahrir (simbolo delle proteste del 2011, ndr)», ha concluso.
E come al solito, a partire dalla primavera del 2024, sono continuati inesorabilmente gli arresti di oppositori politici che ogni venerdì protestavano per chiedere il cessate il fuoco a Gaza. A pagarne le spese il 24 aprile 2024 sono stati importanti attivisti della sinistra egiziana, tra cui la stessa Mahiennour el-Masry, arrestata e poi rilasciata dopo la manifestazione a sostegno delle donne del Sudan e di Gaza, alle porte degli uffici delle Nazioni Unite al Cairo. Tra gli arrestati, poi liberati, figuravano anche due cittadini italo-egiziani, Mohamed Farag e Lina Aly.
E così anche lo spazio di libertà assicurato alle proteste per Gaza si è andato chiudendo in Egitto. Sono state oltre 135 le persone arrestate dall’inizio delle manifestazioni. Due studenti sono stati arrestasti perché hanno organizzato l’iniziativa Studenti per Gaza, uno di loro, Ziad Bassiouni, che studia all’Università del Cairo, è stato prelevato dalla sua abitazione.
L’altra persona arrestata è stato lo studente dell’Università di Mansoura, Mazen Ahmed, di 19 anni. Le autorità egiziane hanno così cercato di impedire che qualsiasi movimento pro-Palestina si strutturasse in Egitto, in particolare dopo che sono stati intonati slogan contro il regime egiziano e lo stesso presidente al-Sisi in alcune delle manifestazioni.
Con la possibile fine delle ostilità a Gaza, nonostante il conflitto israelo-palestinese non finirà qui, l’Egitto ha dimostrato di essere un alleato strategico essenziale per Israele più che per i palestinesi.
L’annuncio di un’invasione di terra a Rafah da parte israeliana e la possibilità di spostamenti di massa di rifugiati palestinesi hanno rappresentato l’unico paletto imposto da al-Sisi alla comunità internazionale per non alienarsi l’opinione pubblica egiziana che ha chiesto a gran voce la fine del conflitto.
Eppure, dopo il genocidio di questi mesi, l’appiattimento del Cairo sulle stesse posizioni dell’Arabia Saudita, in cerca prima del conflitto di una normalizzazione dei rapporti con Israele insieme ai paesi del Golfo, potrebbe non bastare più per i delicati equilibri del Nord Africa e del Medio Oriente.
Sarà impossibile scioglierli, infatti, in assenza di una vera soluzione diplomatica del conflitto che includa la creazione di uno stato palestinese che per il momento, per frammentarietà e assenza di continuità territoriale, faticherebbe ad esistere.
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