Trump chiude la porta degli Usa

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Nello Studio Ovale, Trump mostra un ordine esecutivo appena firmato – Ansa

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Fuori dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, fuori dagli Accordi di Parigi sul clima, fuori dall’intesa globale dell’Ocse sulla minimum tax. La cifra delle prime ore della presidenza Trump 2.0 è la rottura. Determinato a fare da spartiacque tra un prima e un dopo, a livello nazionale e internazionale, il tycoon ha spaccato a colpi di ordini esecutivi anche l’impianto sui programmi di assistenza estera.

Trump ha sempre preso a calci l’Agenzia sanitaria delle Nazioni Unite. Nel 2020, nelle vesti di allora presidente, aveva avviato le procedure per mandare in soffitta la storica membership. Era piena pandemia e accusava Ginevra, dove ha sede l’Oms, di aver aiutato Pechino a coprire le prove dell’origine cinese del Covid-19. Il “divorzio” fu fermato dal successore, Joe Biden, appena dopo l’insediamento del 20 gennaio 2021. L’ordine esecutivo che il tycoon ha firmato lunedì riprende gli argomenti sulla «gestione inadeguata della pandemia emersa a Wuhan, e di altre crisi sanitarie globali» rafforzandoli con critiche sui «pagamenti ingiustamente onerosi» che Washington deve sopportare, rispetto ad altri Paesi, per rimanere nel gruppo Oms.

«La Cina, con una popolazione di 1,4 miliardi di persone, pari al 300% della popolazione degli Stati Uniti, contribuisce – specifica il documento in cinque paragrafi – con quasi il 90% in meno rispetto agli Stati Uniti». Segue, lapidaria, la richiesta all’Amministrazione di «sospendere il trasferimento futuro di qualsiasi fondo, supporto o risorsa» e l’interruzione dei «negoziati sull’accordo pandemico e sugli emendamenti al regolamento sanitario internazionale». Richiamato e riassegnato altrove il personale americano di stanza a Ginevra e, ancora, attivate le procedure identificare «partner credibili e trasparenti» con cui lavorare. Ci vuole un anno perché la rottura, immediatamente notificata al Palazzo di Vetro, diventi esecutiva. Nel frattempo, gli Stati Uniti dovranno continuare a pagare.

Sismica è anche la portata del provvedimento che ha trascinato Washington fuori dagli Accordi sul clima di Parigi, il trattato internazionale più importante contro il riscaldamento globale perché sottoscritto da tutte le nazioni del mondo fatta eccezione per Iran, Yemen e Libia. Anche questa è una mossa che Trump aveva compiuto durante il suo primo mandato (»Sono stato eletto per rappresentare la gente di Pittsburgh, non di Parigi» disse nel 2017) e che Biden aveva revocato. I toni delle motivazioni all’origine dello strappo sono incendiari. «Le iniziative internazionali condotte negli ultimi anni non riflettono i valori del nostro Paese – si legge – né i nostri obiettivi economici e ambientali». Durissimo è l’affondo sui meccanismi contemplati dall’Accordo del 2015 a finanziare iniziative e politiche più verdi. «Sono fondi provenienti dalle tasse pagate dagli americani che vanno a Paesi che non ne hanno bisogno, né li meritano». La portata degli investimenti finiti nel mirino del nuovo presidente è di circa 100 miliardi di dollari. Trump è convinto che la lotta all’inquinamento possa essere fatta anche «senza danneggiare o soffocare l’economia».

Gli sforzi degli Stati Uniti per ridurre le emissioni di gas serra, va detto, erano già in stallo. La stretta di lunedì, osservano gli addetti ai lavori, rende semplicemente più improbabile alcun miglioramento. Nasce da qui l’appello del Segretario generale dell’Onu, António Guterres, a «città, Stati e aziende» americane a dimostrare, a prescindere dalle posizioni della Casa Bianca, «visione e leadership» nella costruzione di un’economia a emissioni zero. La portata dell’uscita dagli Accordi di Parigi, effettiva solo tra un anno, proprio come l’addio all’Oms, è enorme. Amplificata pure dalle misure contemplate a rottamare il “New Green Deal” di Biden. Il mantra, The Donald lo ha citato pure nel suo discorso di insediamento, è «Drill, baby, drill» (trivelle, ragazzi, trivelle).

La lista degli ordini destinati a inaugurare «la nuova età dell’oro» non è finita. Ieri, Trump ha chiarito anche che non intende portare avanti l’adesione degli Stati Uniti al patto dell’Ocse sulla minimum tax. È da buttare, dunque, la legge (arenata al Congresso) messa a punto dall’Amministrazione Biden per entrare nel club dei Paesi che obbligano le grandi aziende a pagare il 15% di tasse sugli utili. Il memorandum presidenziale appena varato esorta, anzi, il Tesoro a preparare misure ritorsive contro chi applica prelievi “extraterritoriali” sulle multinazionali a stelle e strisce. L’imperativo “America First” (l’America prima, il resto non conta) è ciò che ha ispirato anche l’ordine esecutivo sulla sospensione, per il momento di 90 giorni, di tutti i programmi di assistenza estera. Il motivo? «L’industria e la burocrazia degli aiuti esteri non sono allineate ai valori e agli interessi americani» sottolinea il provvedimento, e «servono a destabilizzare la pace mondiale». Ci sia aspetta che Trump li riorganizzerà sulla base dei suoi obiettivi politici e delle alleanze che intende coltivare sullo scacchiere internazionale. Dove si consumerà, ci si chiede, il prossimo strappo? Toccherà davvero alla Nato? Il terremoto Trump è appena cominciato.

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