Una recente sentenza della Cassazione, per la prima volta, mette in ordine una materia complessa come quella che riguarda il diritto alla privacy nel contesto dei messaggi Whatsapp.
Il cellulare per la prima volta viene considerato, in una sentenza, come un “contenitore di corrispondenza”. È questa la descrizione contenuta in una recentissima pronuncia della Corte di cassazione penale, Sez. VI, la sentenza 13 gennaio 2025, n. 1269 che ha considerato le chat contenute nel cellulare come corrispondenza.
Fino a qualche giorno fa le informazioni rilevanti ottenute tramite screenshot conservati nella memoria di un telefono cellulare, definito e stabilendo in alcuni anni di sentenze e pronunciamenti seppur dibattuti, rientravano nella categoria dei documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p.
Questo principio faceva perno sulla considerazione che tali prove rappresentassero la memorizzazione di un fatto storico e fossero assimilabili a una prova documentale, utilizzabili a tutti gli effetti ai fini probatori nel processo penale. Un’opportunità e al tempo stesso una sfida per il sistema giudiziario che ha visto ampi dibattiti da parte della Corte Suprema sulla natura documentale degli screenshot e dei messaggi WhatsApp.
Rispetto il contesto civile, l’articolo di riferimento era considerato l’art. 2712 c.c. che viene in soccorso della legge defininendo la valenza probatoria degli screenshot, stabilendo che le riproduzioni fotografiche, informatiche, fonografiche, e ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e cose, possono costituire prova piena dei fatti e delle cose rappresentate.
Messaggi, Whatsapp: la Cassazione fa ordine in materia di privacy
Ma tutto potrebbe cambiare, perché in questo ultimo pronunciamento la Corte ha individuato quale oggetto di privacy e tutela da eccessi, gli screenshot estratti dalla polizia giudiziaria dal cellulare di un indagato che non era stato informato della facoltà di assistenza legale oltre che della legittimità di poter rifiutare agli agenti il permesso di controllare la memoria del proprio telefono. La sentenza, che ha considerato le chat come corrispondenza, non ha ammessa quale prova gli screenshot di quella conversazione poiché sono state acquisite in violazione della riserva di legge e di giurisdizione, prescritte dall’art. 15 della Costituzione, poiché le ritiene acquisite in violazione di un divieto probatorio sono inutilizzabili anche nel giudizio abbreviato.
La sentenza n. 1269/2025 del 13 gennaio che definisce come inutilizzabili gli screenshot estratti dalla polizia giudiziaria dal cellulare dell’indagato con il suo consenso fa riferimento ad un controllo stradale effettuato dalla polizia giudiziaria, durante il quale erano state scoperte delle stupefacenti in un’auto. All’interno dell’autovettura erano stati effettuate foto e poi diversi screenshot dal cellulare del conducente, su suo consenso ma senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
La sentenza ha definito inutilizzabili queste prove, nello specifico le chat estratte dal cellulare senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, poiché assumono la natura di ‘corrispondenza’, sentenziando che è necessario porre in essere delle garanzie di salvaguardia del diritto alla riservatezza dei dati archiviati nella memoria di un telefono cellulare.
Il precedente della Corte Costituzionale
Questo pronunciamento origina anche dagli effetti giuridici di una precedente sentenza della Corte cost., la n. 170 del 7/6/2023, che ha ampliato ila riconosciuta natura di “corrispondenza” anche alle comunicazioni non più in itinere ma acquisite dopo la loro ricezione e lettura da parte del destinatario, quindi conservate all’interno di archivi anche digitali, come una memoria di un telefono o di un pc.
La Consulta, a questo proposito, argomenta nella sentenza come la garanzia di cui all’art. 15 della Costituzione, che tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, consentendone la limitazione «soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria» debba essere considerata estesa «a ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini educativi, compresi quelli elettronici e informatici».
Va aggiunto che la validità di tale tutela permane finché la comunicazione conservi carattere di attualità e di interesse per i corrispondenti, venendo meno solo quando il decorso del tempo o altra causa abbia trasformato il messaggio in documento “storico”, cui può attribuirsi un valore retrospettivo, affettivo, collezionistico, artistico, scientifico o probatorio.
Inutilizzabilità di una chat whatsapp
La questione centrale affrontata dalla sentenza focalizza l’inutilizzabilità di chat, scambi, conversazioni scritte provenienti dall’archivio di un telefono cellulare senza che si sia provveduto a disporne il sequestro e soprattutto l’effetto a cascata che potrebbe avere su molti altri procedimenti in itinere. L’effetto di questo pronunciamento potrebbe riguardare anche tutta la messaggistica archiviata nei telefoni cellulari ritenuta probatoria che invece non potrebbe più essere considerata tale, non più come accadeva fino ad ora un ‘semplice’ documento, che potesse essere liberamente acquisibile senza la garanzia costituzionale prevista dall’art. 15 Cost., mentre potrebbe essere necessario che, come da sentenza, «richiede l’assoggettamento alla disciplina dell’art. 254 c.p.p. che impone la necessità di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, necessariamente motivato al fine di giustificare il sacrificio della segretezza della corrispondenza, senza la possibilità di accesso diretto da parte della Polizia Giudiziaria, che ha solo il potere di acquisire materialmente il dispositivo elettronico ma senza accesso diretto al suo contenuto».
Sequestro della corrispondenza
In aggiunta se si fa riferimento a quanto citato nell’art. 254 c.p.p. il sequestro della corrispondenza è autorizzato «presso coloro che forniscono servizi postali, telegrafici, telematici o di telecomunicazioni» ma non si specifica nulla circa un dispositivo con un suo archivio dati, per cui l’accesso ad esso viola non solo la riserva di giurisdizione ma pure la riserva di legge. La sentenza specifica e chiarisce che anche in presenza di un consenso chiaro e specifico reso anche dopo aver ricevuto tutte le informazioni legali necessarie affinchè fosse valido, resta imprescindibile, onde prevenire il rischio di abusi, che in situazioni del genere la polizia giudiziaria proceda al sequestro del telefono senza poter accedere al suo contenuto, prima di una formale autorizzazione da parte del pubblico ministero, proprio come è disposto in caso di apertura della corrispondenza.
In questo caso specifico l’acquisizione dei contenuti delle chat avvenuta sulla base di un rilievo fotografico operato dalla stessa polizia giudiziaria (c.d. screenshot) delle chat WhatsApp, non è una pprocedura accettabile e le prove sono ritenute non valide.
Le conclusioni dei giudici
La sentenza ribadisce che seppure i moderni strumenti tecnologici possono aiutare a semplificare la vita degli inquirenti, non tutto ciò che la tecnologia consente di fare è automaticamente autorizzato a livello giuridico e normativo.
Questo concetto sarebbe importante se fosse mutuato in ogni contesto sociale, relazionale e tecnologico. Se infatti ci ricordassimo che, ad esempio, seppure i social network ci consentono di commentare liberamente i post degli altri questo non significa che sia possibile diffamare altri utenti oppure offenderli violentemente e ripetutamente. Allo stesso modo seppure immagini, video, contenuti testuali sono stati pubblicati su internet questo non da automaticamente il diritto a chiunque di copiarli e violare il diritto d’autore o la riservatezza di chi li ha postati, oppure non è legale fingerci un’altra persona e ingannare qualcuno per il solo motivo che si riesca a farlo agevolmente senza troppi controlli.
I diritti costituzionali, fondamento del nostro sistema legislativo, vanno sempre rispettati da parte di ognuno di noi e, come dice la sentenza da parte anche delle forze dell’ordine. Tra questi diritti fondamentali quelli messi più ‘a dura prova’ dal sistema dei social sono il diritto alla propria reputazione, il diritto alla propria privacy e quello all’oblio, il diritto all’identità personale, la tutela del proprio nome e della propria immagine. Ricordiamocelo la prossima volta che scattiamo e inoltriamo uno screenshot, di là della tastiera e dello schermo ci sono delle persone e alla nostra libertà di comunicazione va sempre affiancato il rispetto all’altrui riservatezza.
Il testo della sentenza
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