Acciaio, Arvedi annuncia nuovi investimenti su Ast. Occhio alle politiche di Trump e Ue

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«Su Ast gli investimenti annunciati si sono concretizzati, si stanno concretizzando ed ultimando  e tra cui per esempio la nuova linea di laminazione a freddo, il forno walking beam e altri. Quindi il piano presentato dalla proprietà e dal presidente è un piano concreto che sta avanzando passo passo e che sta rispettando tra l’altro i tempi che erano stati annunciati durante i vari incontri sia con le forze sociali sia con i dipendenti. Il futuro però, come si dice giustamente, fa sempre un po’ rivedere anche la la strategia. Infatti non nego che stiamo riflettendo anche su nuove scelte e un nuovo piano di investimenti che si vada ad affiancare a quello preesistente e che ci aiuti ad essere al passo con un mercato in continua evoluzione; un piano di investimenti che è anche il frutto della nostra strategia di sviluppo commerciale». Questo l’annuncio di Mattia Sala, della direzione commerciale Ast nel corso di un webinar organizzato dal portale online dedicato all’acciaio, Siderweb, quando il dibattito locale è concentrato su un accordo di programma dichiarato a suo tempo vincolante e dopo tre anni non ancora firmato.

Nuovi investimenti Arvedi-Ast «Non lo dettaglio – dice a proposito di questo secondo piano di investimenti – perché siamo in un ambiente molto competitivo in cui bisogna mantenere un profilo discreto e riservato, quello che posso dire è che lavoreremo davvero molto per rimettere il cliente al centro della nostra attenzione. Quindi il servizio e la qualità saranno veramente la bussola del nostro agire quotidiano. Il nostro obiettivo concreto è quello di essere un punto di riferimento o il punto di riferimento nel mercato italiano e un valido supporto per il cliente europeo e globale». 

Mattia Sala Per il mercato dell’inox, lo stesso Sala ha prospettato un primo trimestre 2025 destinato a trascinarsi le difficoltà di un 2024 caratterizzato da calo della produzione industriale e delle esportazioni. Sull’anno in corso inoltre ha evidenziato le incertezze per fattori geopolitici, non da ultimo le scelte dell’amministrazione Trump. Il crollo del settore automotive (-13,8% in Italia) e la concorrenza cinese nel settore elettrodomestico le ha rappresentate come le sfide più significative per i produttori siderurgici. Immancabile poi il riferimento alla necessità di affrontare le problematiche energetiche europee per garantire la competitività.

Acciaio inox «Il panorama industriale soprattutto italiano nel 2024 ha riscontrato una situazione di indubbia difficoltà data anche dal calo del volume di export che ha evidenziato la debolezza del mercato interno. L’unica differenza per l’inox è stata che alcuni produttori hanno visto una piena capacità produttiva e quindi con un valore di spedito sicuramente migliore rispetto al 2023. Quindi abbiamo avuto un volume di freddo che ha visto un incremento del 5% rispetto al 2023 in Europa, 13,5% in più in Italia e per ciò che riguarda invece il laminato a caldo abbiamo avuto un incremento del 1,2% in Europa. Quello che ritengo un po’ fattore decisivo per il 2025 sono le decisioni che verranno prese dall’amministrazione Trump e la politica monetaria che sarà intrapresa dall’Unione Europea. Le previsioni a ottobre erano velatamente ottimistiche per il 2025, soprattutto per il triennio 26-29, un po’ su tutti i settori dell’acciaio inox, però hanno fatto poi a inizio anno eccezione due settori che sono l’automotive ed il bianco (elettrodomestici). La mia preoccupazione per ciò che riguarda il settore dell’automotive è chiaramente non solo il perdurare del calo delle immatricolazioni, ma il fatto che questo spinga poi le aziende produttrici a tagliare i costi, ovvero rimettere poi in discussione l’esistenza di interi siti produttivi con tutte le negative conseguenze che queste possono avere sull’indotto e ritengo che quanto stiamo vivendo sia una situazione mai vista prima in Europa; se la dismissione di interi siti produttivi dovesse accelerare nei prossimi anni, il risultato per l’Europa sarebbe quello di diventare anche terreno di conquista per le economie di Cina e India, ma trovo che la cosa ancor più grave sia che assisteremmo anche ad un impoverimento tecnologico e  anche creativo, difficile poi da colmare nei prossimi anni, senza contare appunto l’impatto che questo avrebbe sull’industria dell’inox».

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Costi automotive «Personalmente – ammonisce il responsabile della divisione commerciale Ast – credo che le case automobilistiche debbano fare anche un po’ di autocritica: gli aumenti dei prezzi degli autoveicoli sono stati un po’ troppo troppo onerosi per i consumatori se paragonati nel pari periodo a un calo continuo dei costi delle materie primi prime utili alla fabbricazione dei loro prodotti in primis l’acciaio inox. Tra le altre cose quindi puntare anche solo, come vuole la strategia europea, sulla vendita di veicoli elettrici, cedo che non sia fattibile, neanche credibile. Al momento il consumatore medio europeo non vede questa tecnologia come convincente e soprattutto accessibile. L’immediata conseguenza infatti, è che diverse case automobilistiche stanno ritardando oppure ridimensionando i lanci di questi modelli e stanno anche ritardando gli obiettivi di elettrificazione, quindi i veicoli ibridi che erano visti come una soluzione tecnologica di transizione, diciamo che potrebbero diventare una soluzione di più lungo periodo. Questo vorrebbe dire che l’impatto sull’inox è che questa rallentata diffusione dei veicoli elettrici potrebbe chiaramente anche ritardare il calo della domanda di sistemi di scarico (tubo marmitta) e di altri componenti che chiaramente si basano sull’acciaio inossidabile e questo chiaramente avrebbe un impatto positivo nel caso in cui le case automobilistiche sviluppassero un’offerta variegata, quindi non centralizzata e focalizzata solo sull’elettrico, ma anche su altri sistemi alternativi, senza cancellare del tutto tecnologie come il diesel e il benzina che a fine ciclo di vita è tutto da dimostrare che siano più impattanti di un di un veicolo elettrico».

La Cina che avanza «Per ciò che riguarda invece il settore delettrodomestico e nonostante anche in questo caso si preveda una ripresa della domanda nel 2025, il futuro di lungo periodo è un po’ più incerto dal nostro punto di vista. Questo perché la produzione di elettrodomestici è in Europa influenzata negativamente da un crescente volume di prodotti finiti importati soprattutto dalla Cina. Se prendiamo infatti l’Europa compresa anche  la Turchia, uesti rappresentano quasi la metà delle esportazioni cinesi di elettrodomestici. Chiaro che questo è un altro dato che deve far riflettere sulla fragilità del nostro ambiente economico, comunque troppo esposto alla concorrenza di prodotti fabbricati in contesti economico sociali e anche geografici che quasi per nulla sono raffrontabili con una produzione made in Europe. Questi sono Paesi che non hanno limiti alle emissioni e che beneficiano di costi dell’energia elettrica e gas estremamente competitivi, molto spesso con tariffe regolamentate direttamente dai governi nazionali. Queste esportazioni stanno mettendo in crisi l’economia europea».

Trump Poi mi viene anche da dire, aggiungo, vista la l’elezione al presidente Trump che anche il suo annuncio di voler riporre dazi sulle merci provenenti dall’Unione Europea rappresenta sempre per la nostra economia un grave rischio per la crescita economica. Chiaro che questo andrebbe a impattare su tanti settori, su tanti manufatti e sicuramente però i principali sarebbero proprio quelli dell’elettrodomestico e quelli del dell’automobile. Ci sarebbe anche il rischio del trasferimento di molte produzioni direttamente negli Stati Uniti e questo chiaramente a tutto maleficio dell’economia europea». 

Il tubo Nonostante la crisi automotive, tra i settori che stanno dando dei segnali positivi, Sala inserisce il tubo: «È uno dei settori più promettenti per applicazioni alimentare, medicale e farmaceutica. Chiaro che è un po’ tutto da vedere perché siamo solo all’inizio dell’anno, ma i primi segnali si sono concretizzati».

L’energia «Le industrie ad alta intensità energetica – ha detto Sala riprendendo uno dei temi più caldi per Ast – si trovano ad affrontare una crisi esistenziale. I costi operativi continuano a crescere minando la competitività delle imprese. La combinazione di regole più severe, costi operativi più alti e una concorrenza globale spesso sleale stanno spingendo molte aziende a delocalizzare la produzione al di fuori dell’Unione. Questo fenomeno non solo sta causando una riduzione significativa della produzione di acciaio in Europa, ma sta anche aumentando le importazioni a maggiore intensità di carbonio con impatti negativi sul clima, sull’occupazione e sulla sicurezza dell’Unione. Io credo che il problema esiste ed è sicuramente amplificato dagli elevati costi dell’energia che in Italia sono doppi, se non tripli rispetto a quelli che possiamo trovare in altri paesi europei che comunque in Europa sono ancora significativamente superiori rispetto a quelli dei competitor globali come Stati Uniti e Cina. Questa disparità rende estremamente difficile per l’industria italiana e anche per quella europea mantenere la propria competitività sui mercati internazionali. A maggior ragione se poi consideriamo che il consumo di energia elettrica è destinato ad aumentare di circa il 60% entro il 2030 rispetto al 2023, vista poi la scelta di virare all’elettrico nel raffrescamento, nel riscaldamento, cottura industriale domestica, trasporto pubblico, privato, merci, è una scelta ormai fatta Unione Europea. Una scelta epocale, però se questa è la scelta a cui vogliamo proseguire è sicuramente fondamentale contare su infrastrutture energetiche moderne e affidabili, anche se poi quando andiamo a vedere i progressi del settore questi sono stati modesti, perché del nucleare se ne parla ma non c’è un piano. Si parla molto di rinnovabili offshore, ma diciamo che l’avanzamento su questo tema è stato particolarmente modesto se non lento. Quindi è un tema che oggi non è ancora preso di petto né a livello europeo né a livell istituzionale in Italia».

Costi e concorrenza Arvedi insomma chiede investimenti significativi, un’azione politica più incisiva per affrontare queste carenze e un nuovo meccanismo di formazione del prezzo dell’energia, affinché il comparto energetico possa tornare ad essere un settore chiave e strategico in ogni paese: «Ci aspettiamo dalle istituzioni – concude Sala – un cambio di passo e una presa di coscienza di questo tema. Chiaramente poi non sta a noi indicare la ricetta ma il nodo del caro bolletta va sciolto, evitando la disparità di trattamento tariffario non più sostenibile all’interno della Comunità Europea».

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