Sinner-Rune live agli Australian Open, risultato in diretta: 3-1 (6-3, 3-6, 6-3, 6-2), Jannik ai quarti oltre le difficoltà, avanti anche Sonego che batte Tien

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(Gaia Piccardi) Alla fine i fantasmi, come ampiamente previsto da Shakespeare, li vede Rune principe di Danimarca. Jannik Sinner porta a casa la partita di tennis più drammatica di cui sia stato protagonista, a differenza di Wimbledon l’anno scorso, quando il malore accusato gli costò la sconfitta con Medvedev

Questa volta il malessere che si manifesta a metà del secondo set, dopo essersi annesso il primo 6-3 grazie a un break iniziale, si prolunga per interminabili minuti, forse un colpo di calore in una giornata australiana torrida ma non rovente, comunque condizioni di gioco, sul cemento, che mettono a dura prova sia Rune che Sinner. La spia dell’allarme si accende sul 2-2, quando l’azzurro spreca due palle break con due errori non forzati, un dritto e un rovescio: un comportamento non da Sinner, che si muove per il campo lento, impacciato, trascinando i piedi, in evidente difficoltà fisica. 

Sul 4-3 per il danese, con Sinner al servizio, le crepe si allargano: è fermo sulle gambe, sofferente, respira evidentemente a bocca aperta, come boccheggiasse. La prima palla break per Rune si materializza in quel momento, 1h12’ dopo l’inizio dell’ottavo di finale dell’Australian Open. È un doppio fallo — ancora una volta un atteggiamento non da Sinner (avevamo mai visto un doppio fallo del barone rosso sulla palla break? A memoria, no) — a consegnare all’avversario il prezioso vantaggio. 5-3, 6-3.

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Sul set pari, cupo e sconsolato, senza una parola Sinner lascia il campo. Nel suo angolo c’è allarme, l’amico-manager Alex Vittur scende negli spogliatoi per capirci qualcosa di più. Al rientro, la situazione non sembra migliorata. «Faccio fatica a muovermi a sinistra» sembra dica Jannik ai due allenatori, Vagnozzi e Cahill. Quel che è peggio, un irrefrenabile tremore alle mani scuote il giocatore ai cambi di campo del terzo drammatico set. Il corpo è chiaramente impegnato a combattere un virus, una situazione di disidratazione, un blocco allo stomaco perché Jannik è verdognolo, con un’espressione di nausea dipinta sul volto.

E poi, sull’1-1 del terzo set, c’è quel terzo game che ricorderemo a lungo: 12 punti, oltre 10’ di alternanza di emozioni. Sinner va sotto 14-40 sul suo servizio. La fatica fisica gli toglie lucidità ma riesce ad annullare la prima palla break con un martellamento da fondo; sulla seconda Rune lo chiama a rete, lo passa con un lob, a Jannik riesce il recupero e la chiusura del punto con uno schiaffo al volo, specialità della casa. Giocatori piegati sulle gambe, ovazione. C’è una terza palla break, cancellata con classe: ace a 195 km all’ora. Il fratello Mark si alza in piedi, lo sostiene facendo il pugno. 

Jannik sembra distrutto, tiene il servizio rimanendo aggrappato al match con le unghie e con i denti. Sul 2-2 torna sull’orlo del baratro: due doppi falli nel game consegnano al rivale un’occasione di fuga, è ancora un ace (198 km/h) a stopparla. Sul 3-2, finalmente, Sinner chiama in campo il fisioterapista. C’è un consulto, comincia ufficialmente il medical time out. Jannik riesce dal campo, come a Wimbledon. Sparisce lunghi minuti.
«Resisti!» gli urlano dalle tribune al ritorno. Ne ha tutte le intenzioni. Sul 4-3, costretto dalle difficoltà contingenti ad arretrare molto dietro la linea di fondo, Sinner subisce il tennis di Rune. Che però esita ad assestare la coltellata decisiva, vacilla, regala. Palla break Sinner. Un drop shot e un passante di Rune rimandano il sogno, ma Jannik trova la forza di inventarsi un rovescio incrociato stretto e ne strappa una seconda. E lì, colpevolmente, Holger infossa in rete. 5-3. Sinner è ancora vivo e lotta insieme a noi, si è ripreso il destino tra le mani. Adesso il fisioterapista lo chiama Rune (sorrisetto perfido di Jannik quando se ne accorge). Nell’attesa Cahill urla al suo pupillo di fare alzare la tettoria della panchina, per risposare all’ombra. Ogni stilla di energia è chiamata a rapporto. Alla ripresa del gioco Jannik al servizio chiude a zero con un ace. 6-3.

Nel quarto set c’è l’inconveniente del moschettone della rete che si rompe. La riparazione chiede tempo: il giudice di sedia ha il buonsenso di rimandare i giocatori negli spogliatoi, perché attendano all’ombra. Altre stille vitali di energie. Il break del 2-1, poi, chiude sul 6-2 una vicenda densissima e a tratti tesa (6-3, 3-6, 6-3, 6-2), nella quale Sinner è morto e risorto più volte, dimostrando sprezzo del pericolo e, ancora una volta, enorme disponibilità alla sofferenza. Le doti dei campioni. «Match durissimo — dice —. Sono rimasto lì mentalmente, aggrappato al mio servizio e sperando buone cose dalla risposta. Era stata una mattina strana: non mi sono riscaldato, ho fatto fatica dall’inizio, ho giocato un tennis di qualità, il medico mi ha aiutato. Sono felice di essere ancora nel torneo». Nei quarti di mercoledì aspetta il vincente del match tra il padrone di casa De Minaur e il piccolo fenomeno americano Michelsen. Nulla, d’ora in poi, può più fargli paura.



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