«Il mare della Toscana è vicino al limite: agire subito o perderemo tutto»

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di Salvatore Mannino

L’allarme di Letizia Marsili, docente dell’università di Siena, grande esperta della biologia marina: Molto dipende dal riscaldamento globale ma ancora si può agire direttamente sulle acque e sulla gestione complessiva delle attività umane»

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«Il mare della Toscana merita ancora la sufficienza, ma attenzione perché siamo al limite del non ritorno: un passo in più e rischiamo di perdere tutto».

È ancora un grido d’allarme moderato quello di Letizia Marsili, docente dell’università di Siena, grande esperta della biologia marina delle nostre coste: basterà ricordare che si deve a lei il disperato tentativo di questa estate di salvare la balena che poi andò ad arenarsi e morire nel porto di Talamone e che sempre a lei e al suo dipartimento si debbono alcuni degli studi più seri sulla proliferazione incredibile del granchio blu, uno dei flagelli dovuti all’aumento delle temperature negli ultimi anni del mare toscano e non solo.




















































Nel giorno, però, dell’iniziativa per la laguna di Orbetello, conviene forse partire dallo stato di salute di questo specchio d’acqua.

«In inverno — spiega la professoressa — sta probabilmente meglio di quanto non stesse col caldo della grande crisi di luglio. Ma tutto lascia pensare che con l’innalzamento della temperatura nei prossimi mesi tornerà ad affacciarsi una situazione difficile. Ormai la laguna sta vivendo un fenomeno di vera e propria tropicalizzazione. Il microclima sale, favorisce la proliferazione delle alghe che a loro volta si mangiano l’ossigeno di cui si alimentano le specie ittiche autoctone. E la decomposizione peggiora ancora la situazione. Un fenomeno che si autoalimenta».

Ma come si può provare a uscirne? 

«Serve un’azione —spiega l’esperta — di lungo periodo, da parte di tutte le organizzazioni cui è devoluto il benessere della laguna. Occorrono strategie di mitigazione dei nutrienti che vanno ad alimentare anche la proliferazione delle alghe. Azoto, fosforo e altri elementi utilizzati negli allevamenti di pesce diventano a loro volta un inquinante, che compromette l’equilibrio complessivo».

Un po’ meno preoccupante la situazione del tratto di mare toscano, da Capalbio fino alla costa massese. E tuttavia, mette in guardia Letizia Marsili, «non possiamo dimenticare che si tratta pur sempre di un pezzo di Mediterraneo, specchio d’acqua relativamente piccolo rispetto agli oceani, ma sottoposto anch’esso a fenomeni di forte tropicalizzazione. Voglio ricordare solo che la temperatura delle acque sale di 0,4 gradi ogni dieci anni, il doppio della media degli oceani. Il risultato è la sostituzione di specie ittiche tropicali a quelle abituali».

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Un esempio che valga anche per la Toscana? «Indubbiamente l’emblema è il granchio blu che si sta sempre più impadronendo del nostro mare. Ormai il granchio classico non si trova quasi più, neppure per farlo vedere ai nostri studenti. La specie blu lo sta soppiantando una velocità incredibile, è molto più prolifica e ha una capacità predatoria straordinaria: non solo divora le vecchie specie, ma gli sottrae le prede abituali».

Ci sono poi i fenomeni di inquinamento che non accennano a diminuire e che sono particolarmente evidenti alle foci dei fiumi, in particolare dove l’Arno incontro il mare: «Sì, succede ovunque sbocchino i grandi fiumi. Compreso il Po. Un aspetto particolarmente evidente è quello della plastica, ma ce ne sono di altrettanto pericolosi». 

Diagnosi impietosa, forse, ma la professoressa ci tiene a chiarire che il «Tirreno sta ancora meglio rispetto al Mar Ligure o all’Adriatico. Molto dipende dal riscaldamento globale ma ancora si può agire direttamente sulle acque e sulla gestione complessiva delle attività umane». 

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