Farmaci e biotech, il monito di Sergio Dompé: «All’Italia e all’Ue serve un piano, o perdiamo il treno dell’innovazione»

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di
Alessandra Puato

«Sulle scienze della vita si è spenta l’attenzione, ma sono fondamentali per il futuro dell’economia in Italia e in Europa». L’allarme dell’azienda che ha raddoppiato i ricavi in quattro anni. «Che fine ha fatto il Rapporto Draghi?»

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«Health is wealth», disse nel novembre 2021 l’allora premier Mario Draghi al G20, quando ancora l’emergenza Covid non era terminata. La salute è prosperità. Si può partire da qui per riaccendere il faro su un settore fondamentale non soltanto per il benessere dei cittadini, ma anche per l’economia del Paese. È quello delle scienze della vita che, nota Sergio Dompé, «registra una disattenzione da parte dell’Europa e dell’Italia» benché, in particolare nella Penisola, vanti primati, competenze e un patrimonio di dati del Servizio sanitario nazionale prezioso ma ancora poco utilizzato, utile per l’applicazione dell’intelligenza artificiale che servirà a prevenire malattie e trovare nuovi farmaci. «Bisogna intervenire subito o rischiamo di perdere il treno», dice il presidente esecutivo di Dompé farmaceutici, vicepresidente per le Life science di Assolombarda. Un allarme lanciato a ridosso del World Economic Forum di Davos 2025 che, dal 20 al 24 gennaio, si concentrerà sull’impatto dell’intelligenza artificiale sull’industria. 

Il rilancio

Già nel novembre 2022, dalle colonne del Sole 24 Ore, lo stesso Dompé sollecitò un piano strategico per investire sulle life Science in Italia. Ora rilancia, dalla guida di un azienda di famiglia che è un simbolo delle biotech di successo italiane: 1,3 miliardi il fatturato di Dompé Farmaceutici atteso quest’anno, dagli 1,030 miliardi del 2023 e quasi il doppio rispetto ai 776 milioni del 2022. Per il 2025 l’80% è previsto venire dagli Usa, che l’anno scorso coprivano il 75% dei ricavi e sono diventati il propulsore dei farmaci innovativi. «Gli Stati Uniti da sempre investono molto nelle scienze dalla vita, sono il primo mercato per l’innovazione — dice Sergio Dompé, che il 15 gennaio era a Dallas per l’incontro d’inizio anno di Dompé Usa con oltre 200 addetti del gruppo negli Stati Uniti —. Ma in Italia e nel resto d’Europa il tema life science sembra passato in secondo piano. Si è persa l’attenzione nata con il Covid, è rallentata la spinta a investire». Eppure l’Italia «è tra i primi due produttori di farmaci in Europa, con oltre 50 miliardi nel 2023», secondo Farmindustria. E «le scienze della vita sono il settore a maggior valore aggiunto e in più rapida crescita dell’export — nota Dompé —. Contribuiscono in modo significativo al prodotto interno lordo e agli investimenti in ricerca a produzione». 




















































Sulla scia del Rapporto Draghi

Perciò l’imprenditore milanese sollecita il governo ad adottare «una strategia chiara sulle scienze della vita», settore che coinvolge «farmaci, dispositivi medici, diagnostica». «Siamo disponibili a collaborare», dice Dompé, e invita ad attuare il Rapporto sul futuro della competitività europea che Draghi presentò il 9 settembre 2024 a Bruxelles, con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Quel documento nasceva per ridurre il divario fra l’Europa e gli Usa su competitività e innovazione, anche nel settore farmaceutico. Sottolineava, per esempio, le politiche fiscali favorevoli alla ricerca farmaceutica negli Usa, «più uniformi rispetto all’Europa», e la lentezza nell’immissione sul mercato dei nuovi farmaci, con «27 procedure necessarie per decidere su prezzi e rimborsi» nei vari Stati Ue dopo l’approvazione dell’Ema, l’autorità regolatoria. Valorizzava i punti di forza europei del pharma come «la forte base manifatturiera e la competenza scientifica nei brevetti»; la «leadership nel commercio»; la «parità con gli Usa per pubblicazioni scientifiche». Ma che fine ha fatto? «Il Rapporto Draghi vedeva nella salute un fattore competitivo capace di garantire futuro — dice Dompé —. Doveva avviare un programma straordinario di cui per ora non si vedono i presupposti. Rafforzare la nostra leadership sull’innovazione, per recuperare il divario con gli Stati Uniti e la Cina, è necessario e urgente. L’ultimo rapporto della Federazione europea dell’industria farmaceutica mostra come, delle 90 molecole arrivate sul mercato lo scorso anno, 28 siano state sviluppate negli Stati Uniti, 25 in Cina e soltanto 17 in Europa».

Dove si può migliorare

In questo quadro, Dompé si dice «riconoscente alla presidente del Consiglio e al ministro degli Esteri per avere dato visibilità all’Italia oltreconfine». Ma sollecita anche «una strategia competitiva chiara per le scienze della vita, settore dove l’Italia ha una posizione di rilievo e che con l’intelligenza artificiale sarà determinante nel futuro». In particolare cita a modello la Lombardia, dove secondo Assolombarda nel 2024 il valore generato dalla filiera delle life science è il 12,6% del Pil e le aziende sono più di duemila. «Il problema è che non c’è una visione unitaria» nel Paese, rimarca l’imprenditore. Chiaro che gli interventi in manovra finanziaria, dal punto di vista degli imprenditori farmaceutici, non hanno aiutato. Se da un lato non è stato aumentato il Fondo sanitario nazionale, dall’altro è stato anche deciso di trasferire dai produttori ai grossisti lo 0,65% del prezzo di vendita al pubblico delle specialità medicinali essenziali e per malattie croniche. Intervento che, secondo Dompé, rischia di rallentare gli investimenti. Eppure «in Italia abbiamo un vantaggio competitivo forte, per esempio sui dati stratificati del Servizio sanitario nazionale — dice l’imprenditore —. È un patrimonio utilissimo per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale: ma servono piattaforme integrate per fare ricerca, il Fascicolo sanitario non basta».

Sempre più tecnologia

Proprio con l’intelligenza artificiale «vedremo che l’accesso al benessere e il mantenimento della salute sono connessi allo sviluppo e alla disponibilità delle tecnologie emergenti». Ma queste tecnologie costano, servono risorse: mentre la popolazione invecchia e la spesa sanitaria aumenta. «Le persone oltre i 65 anni oggi in Italia sono un quarto della popolazione, nei prossimi 25 anni saranno il 35% — dice Dompé —. Sarà necessario un nuovo paradigma orientato all’intero corso della vita. La prevenzione, che oggi convoglia soltanto il 5% del Fondo sanitario nazionale, sarà centrale». La spesa sanitaria complessiva per cittadino in Italia è più bassa che altrove: «Sfiora i 2 mila 900 euro l’anno, mentre in Germania raggiunge quasi 5 mila 800 euro e in Francia supera i 5 mila», dice Dompé. Malgrado questo, finora i risultati ci sono stati. Fra il 2020 e il 2023 l’aspettativa di vita per i nuovi nati è salita da 80 a 83,7 anni (dato Istat-Assolombarda). E il ruolo del Sistema sanitario nazionale è riconosciuto ormai economico, oltre che sociale. «Pensiamo a quanti decessi, ospedalizzazioni, costi sociali e perdite di produttività sono stati evitati dall’introduzione dei vaccini contro la poliomielite, i farmaci per l’Hcv, le Car-T, i dispositivi impiantabili e digitalmente connessi. Nel 2003-2019, solo sul fronte oncologico, grazie alle migliori cure e prevenzione, in Italia sono state evitati 270 mila decessi (dati Aiom 2023, ndr.). L’innovazione entrata nel Sistema Sanitario ha generato valore per il cittadino». Si riparta da qui.

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