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27 febbraio: è la data scelta dal “parlamentino” dell’Anm sabato scorso per scioperare contro il ddl costituzionale sulla separazione delle carriere. Adesso l’obiettivo è non ripetere il flop che ci fu con l’astensione indetta a maggio 2022 per dire no alla riforma Cartabia. Allora solo il 48% dei magistrati partecipò alla protesta. L’obiettivo è replicare i numeri precedenti a quelli di tre anni fa. Nel luglio 2010, quando le toghe scioperarono contro la Manovra, la percentuale si attestò tra l’80 e l’85%. Nel 2004, all’astensione proclamata contro la riforma Castelli, aderì il 90% delle toghe.
La partecipazione allo sciopero del prossimo mese deve essere alta perché entra nel vivo la partita più importante: quella contro la riforma che per alcuni magistrati è questione addirittura di «vita o di morte». Il governo e la maggioranza considerano la modifica costituzionale «la madre di tutte le riforme», e il referendum che verrà un indice di gradimento sulla magistratura. Vietato dunque sbagliare per l’Anm nella prima vera iniziativa contro il ddl costituzionale appena approvato alla Camera e tra poco in discussione al Senato. «Se falliamo l’appuntamento del 27, potremmo veder seppellita la nostra campagna contro la riforma», ci ha detto un magistrato al termine della riunione di sabato.
La proclamazione dello sciopero è nata su input di un emendamento di Stefano Celli di Magistratura democratica al documento poi approvato sabato al termine del Comitato direttivo centrale, con solo 5 voti di astensione. Tuttavia, anche tra chi ha votato a favore non si nasconde appunto qualche perplessità: se c’era necessità di uscire uniti dalla riunione del parlamentino e rispettare il deliberato dell’assemblea straordinaria del 15 dicembre scorso, c’è comunque chi lontano dai microfoni sostiene che la mossa di convocare lo sciopero così presto sia una scelta azzardata, fatta anche in chiave elettorale in vista delle elezioni del 26, 27, 28 gennaio per il nuovo Comitato direttivo centrale dell’Anm.
Per alcuni sarebbe stato meglio lasciare che a gestire la protesta avesse provveduto direttamente il nuovo direttivo, a urne scrutinate dunque. Ma una volta presentato l’emendamento da parte di “Md”, la corrente che si fosse opposta allo sciopero avrebbe certamente perso voti, e siccome i pronostici sulle elezioni sono incerti meglio non fare passi falsi.
Il timore sulla riuscita è comunque legato a fattori temporali: lo sciopero è stato indetto dal “Cdc” uscente, a gestirlo dovrà essere quello nuovo che si riunirà per la prima volta l’8 febbraio. Se fino a qualche giorno fa si ipotizzava che per eleggere la nuova giunta e il nuovo presidente sarebbero stati necessari anche un paio di mesi, con la data fissata già del 27 febbraio le prospettive cambiano: occorre avere subito un nuovo vertice, anche solo per dare un volto alla campagna di comunicazione. L’alternativa potrebbe essere quella di avere l’eletto più anziano nel “Cdc” come presidente ad interim. Per alcuni magistrati sarebbe stato meglio utilizzare il 25 gennaio come test per poi vedere quando convocare l’astensione.
Infatti, sempre sabato scorso, il direttivo dell’Anm ha deliberato di abbandonare, indossando toga e coccarda tricolore e con la Costituzione in mano, le aule in cui si terranno le inaugurazioni dell’Anno giudiziario nelle singole Corti d’appello: a Napoli, nel momento in cui prenderà la parola il Nordio, in tutte le altre sedi non appena interverrà il rappresentante dell’Esecutivo.
Inoltre i magistrati, prima dell’inizio delle 26 cerimonie, si raccoglieranno all’esterno, mostrando cartelli sui quali saranno trascritte frasi tratte da un testo significativo sul valore della Costituzione. E qui sorge un’altra preoccupazione: pur avendo alcuni componenti di “Magistratura indipendente” votato il documento finale a favore delle manifestazioni del 25 gennaio, c’è la paura che un’altra ala della corrente moderata dell’Anm, su indicazione del segretario Claudio Galoppi, possa boicottare quanto deciso dal parlamentino. Un danno di immagine, di forza e compattezza che il “sindacato” delle toghe non può permettersi in questo momento.
Comunque, anche per evitare imbarazzi con il Capo dello Stato, si è deciso di non mettere in atto azioni di dissenso durante l’inaugurazione nazionale dell’Anno giudiziario che si terrà in Cassazione venerdì 24. Santalucia, durante il “Cdc” di sabato, ha precisato, replicando sempre a Celli: «A scanso di equivoci non ci sono telefonate che mi fanno da freno: per me lo sciopero va bene. Mi preoccupava l’ipotesi di farlo l’11 febbraio». Il riferimento era a eventuali interventi da parte degli Uffici del Quirinale che avessero rappresentato un invito a non prendere iniziative così forti di protesta. Al Colle sono perfettamente consapevoli di quanto sia già alta la tensione che c’è tra governo, maggioranza e Anm, ma è da escludere che la Presidenza della Repubblica si muova per formalizzare placet o scagliare anatemi rispetto allo sciopero.
Ovviamente prosegue e si farà sempre più intenso lo scontro a distanza con l’Unione Camere penali, seconda la quale la protesta delle toghe «rischia non solo di alterare ancora una volta i necessari equilibri fra i poteri dello Stato ma di compromettere l’immagine stessa della magistratura». Dai microfoni di SkyTg 24 ha replicato Santalucia: «Delegittima le toghe stare in silenzio di fronte a una riforma che peggiorerà il servizio giustizia e indebolisce il quadro delle garanzie».
L’altro scontro ha coinvolto il deputato di FI Enrico Costa, che ha detto: «Insieme alla separazione delle carriere occorre affrontare il tema dei magistrati fuori ruolo che lavorano nei ministri anziché nei Tribunali. L’Anm, per contrastare la riforma, paventa il rischio inesistente del pm sottoposto all’Esecutivo, l’alterazione dei poteri dello Stato, ma chissà perché resta in silenzio di fronte a questo plotone di toghe che rappresentano plasticamente il potere giudiziario nella pancia dell’Esecutivo».
Qui a controbattere è stato Salvatore Casciaro, che dell’Anm è il segretario: «L’onorevole Costa, da avvocato penalista, segue la scia delle Camere penali ed è ossessionato dal ‘plotone di toghe’ che stanno al ministero, ‘scrivono norme’ e ‘rispondono a interrogazioni’ ma non è in grado di allargare lo sguardo sugli avvocati, un vero e proprio reggimento, pari quasi al 20% delle due assemblee legislative, che siedono in Parlamento e propongono e approvano norme in materia di giustizia, restando simultaneamente impegnati nel quotidiano svolgimento dell’attività professionale nei Tribunali e nelle Corti». L’anno e mezzo che ci attende da qui al referendum sarà estremamente frizzante.
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