L’Italia ha superato un traguardo inquietante: il debito pubblico ha sfondato la soglia dei 3.000 miliardi di euro, attestandosi, a novembre 2024, a 3.005,2 miliardi (sic). Si tratta di un record storico che rappresenta non solo un valore simbolico, ma anche un elemento di riflessione cruciale sulla sostenibilità economica del Paese.
Mai dal 1861, anno dell’Unità d’Italia, il peso complessivo del debito era stato così ingente. In soli tredici anni, dal 2012, quando si raggiunse per la prima volta la soglia dei 2.000 miliardi, l’incremento è stato di circa 1.000 miliardi, con una crescita media di 76,9 miliardi annui.
Il fardello cresce di 76 mld l’anno
Il superamento della soglia dei 3.000 miliardi di euro di debito pubblico rappresenta non solo un allarme per la sostenibilità economica dell’Italia, ma anche il risultato di decenni di errori e scelte politiche discutibili. Se oggi ci troviamo con un fardello che cresce di oltre 76 miliardi l’anno, è fondamentale analizzare le responsabilità storiche che hanno contribuito a questa impennata, in particolare a partire dal 2012.
Il punto di rottura: la crisi del debito italiano del 2012
La crisi del debito sovrano del 2011-2012 è spesso considerata l’origine del boom del debito pubblico italiano, ma limitarci a questo dato rischia di ridurre il problema a un semplice evento esogeno. In realtà, è proprio l’incapacità della classe politica e istituzionale di affrontare le radici strutturali del problema che ha innescato l’escalation. Prima del 2012, il debito pubblico italiano era già su una traiettoria preoccupante. Dal 1994, anno in cui il debito superò per la prima volta i 1.000 miliardi di euro, al 2011, l’Italia non era riuscita mai a invertire la tendenza, nonostante alcuni periodi di crescita economica e riduzione del rapporto debito/PIL. La classe politica dell’epoca, più concentrata sul breve termine e su interessi elettorali, ha evitato riforme strutturali significative, perpetuando un sistema di spesa pubblica insostenibile. In aggiunta, nel pieno di quella crisi finanziaria, l’Italia ha adottato politiche di austerità per contenere lo spread e mantenere la fiducia dei mercati. Tuttavia, l’approccio si è rivelato miope. Mentre l’austerità ha avuto un impatto depressivo sull’economia reale, le mancate riforme strutturali hanno lasciato invariata la spesa pubblica improduttiva. Il debito è aumentato sia in termini assoluti che in rapporto al PIL, segnando l’inizio di una spirale da cui il Paese non si è mai ripreso completamente.
Gli errori del successivo decennio: emergenzialità e bonus elettorali
Dopo la crisi, l’aumento del debito non può più essere attribuito esclusivamente alle condizioni di mercato. La politica italiana ha spesso adottato scelte di spesa miope, finanziando interventi emergenziali e bonus elettorali senza una visione strategica di lungo periodo.
In primis, l’alternanza di governi tecnici e coalizioni fragili ha prodotto un’incapacità cronica di affrontare le riforme più impopolari. Settori come la sanità e le pensioni, pur essendo fondamentali, continuano a rappresentare voci di spesa difficilmente sostenibili senza interventi strutturali. Tra il 2012 e il 2020, le riforme di ampio respiro si sono fermate davanti al timore di perdere consenso politico. Dal 2020, la pandemia di COVID-19 ha dato una spinta ulteriore al debito. È innegabile che l’emergenza sanitaria richiedesse risorse straordinarie, ma una parte significativa della spesa è stata destinata a misure poco mirate, come bonus generalizzati e incentivi scarsamente efficienti, senza reali investimenti di lungo periodo. In altre parole, si è speso molto, ma non necessariamente bene.
Superbonus 110: la ripresa senza ritorno
Infine, la gestione della crisi energetica del 2022 e l’introduzione di misure come il Superbonus 110% (come ho già evidenziato in precedenti articoli) hanno rappresentato un ulteriore esempio di scelte miopi. Se da un lato il Superbonus ha favorito la ripresa di alcuni settori economici, dall’altro ha comportato un costo per le casse dello Stato di circa 120 miliardi di euro, con un ritorno fiscale inferiore al previsto.
Chi è responsabile?
Le responsabilità sono diffuse e condivise, ma alcuni attori meritano un’attenzione particolare. Negli ultimi vent’anni, la politica italiana ha spesso preferito rinviare le riforme più urgenti per evitare scontri sociali. Dai governi di centrosinistra a quelli di centrodestra, nessuno è stato realmente in grado di mettere mano alla spesa pubblica improduttiva o di razionalizzare settori come la previdenza sociale. Sebbene l’UE abbia fornito linee guida e vincoli utili per il contenimento del debito, le politiche di austerità imposte tra il 2011 e il 2014 hanno aggravato le condizioni economiche del Paese, riducendo la capacità di crescita. Infine, la società italiana, così come la sua classe dirigente, ha spesso privilegiato soluzioni immediate a problemi complessi. La mancanza di una visione strategica ha portato a interventi emergenziali senza affrontare le radici strutturali della spesa pubblica.
Prospettive critiche e rischi futuri: cosa fare?
La situazione attuale non è sostenibile, e continuare a rinviare le scelte difficili non è più un’opzione. Tuttavia, per invertire questa tendenza, occorrono interventi drastici:
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Razionalizzazione della spesa pubblica: Non si tratta solo di tagliare, ma di riorientare le risorse verso investimenti produttivi, riducendo gli sprechi e aumentando l’efficienza della macchina statale.
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Riforma fiscale strutturale: L’Italia deve riformare il sistema fiscale per combattere l’evasione e semplificare il quadro normativo, aumentando le entrate senza gravare ulteriormente su chi già paga le tasse.
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Investimenti strategici: Le risorse del PNRR rappresentano un’opportunità unica, ma devono essere utilizzate in modo intelligente, evitando dispersioni e inefficienze.
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Stabilità politica e visione di lungo periodo: Serve una classe politica capace di anteporre il bene del Paese agli interessi di partito, con un piano condiviso che miri a una reale sostenibilità economica.
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha cercato di rassicurare l’opinione pubblica: «Siamo confortati dal fatto che l’Italia sia uno dei pochi Paesi ad aver adottato tempestivamente un piano strutturale di rientro del debito, condiviso e accettato dall’Unione Europea». Tuttavia, le parole del ministro non possono nascondere la realtà di un Paese che continua ad accumulare passività, mentre il ritmo di riduzione del rapporto debito/PIL, pur positivo, non basta a invertire la tendenza in termini assoluti.
L’aumento vorticoso del debito pubblico italiano è il risultato di decenni di errori accumulati rima e dopo. Guardare al passato con spirito critico è necessario per evitare che gli stessi errori compromettano il futuro. Ma per riuscirci, serve il coraggio di affrontare riforme difficili e impopolari, mettendo al centro una visione chiara e condivisa di sostenibilità economica e sociale.
In conclusione, il superamento dei 3.000 miliardi di euro di debito pubblico non è solo un dato storico, ma un campanello d’allarme che impone scelte coraggiose e una visione di lungo termine. Senza una strategia chiara e condivisa, il rischio è quello di compromettere non solo la sostenibilità economica, ma anche la coesione sociale del Paese.
Alberto Frau è professore di Economia e gestione aziendale, ricercatore universitario e scrittore. Collabora con la Luiss Business School e l’Università di Roma “Foro Italico”.
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