Da qualche tempo si sta affermando una nuova tendenza storico-politica che alcuni osservatori hanno definito con il neologismo di Shoah-washing – ripulitura dell’immagine attraverso la Shoah – che viene usata per modificare la percezione della storia passata da parte di alcuni movimenti politici, o addirittura di interi paesi, attraverso l’Olocausto.
Una politica globale, diffusa in vari continenti, Israele compreso, declinata secondo le varie necessità, che rilegge la storia di ieri, flettendola però su obiettivi di oggi, per fare in modo che le responsabilità del Secondo conflitto mondiale non pesino sugli eredi di chi ha commesso quelle colpe.
Varsavia docet
Caso-scuola è sicuramente la Polonia, dove ormai tutto il sistema pubblico ne è o ne è stato coinvolto: dal governo alle istituzioni statali, compresi istituti specifici che si occupano di storia patria, dai musei alle scuole, tutti complici nel trasmettere una lettura storica preconfezionata ed eterodiretta che sostiene un messaggio di innocenza nazionale durante l’Olocausto.
La Polonia è diventata un campione (a livello mondiale) della relativizzazione dell’Olocausto, della de-giudiziarizzazione dell’Olocausto e dell’invidia dell’Olocausto, insistendo sulla collusione e sulla cospirazione ebraico-bolscevica e incolpando le vittime della loro stessa fine.
La storia della Shoah nella Polonia di oggi viene logorata da un’aggressione tossica delle politiche governative di negazionismo e distorsione che arriva, senza far storcere troppo il naso, al grande pubblico. A differenza dei negazionisti di un tempo, gli Stati, i partiti politici e i singoli impegnati nella distorsione dell’Olocausto non negano la realtà della catastrofe ebraica, essi ammettono liberamente il deliberato assassinio di 6 milioni di ebrei europei da parte dei nazisti.
Niente a che fare
Quello che rifiutano di riconoscere, tuttavia, è che il loro popolo, la loro nazione o la loro parte politica hanno avuto a che fare con l’evento. Che i loro antenati hanno preso parte al progetto genocida tedesco. Questa posizione, definita dall’intellettuale israeliano Manfred Gerstenfeld “deviazione dell’Olocausto”, è presente soprattutto in tanti paesi dell’Est Europa, dove si è compiuta la maggior parte del crimine, ma anche in altri paesi dove vi sono stati movimenti politici o popolazioni volenterosamente sostenitori del genocidio ebraico.
Una partita sempre più complessa e articolata che sconvolge, mimetizzando le politiche velenose con altre più positive, i più tradizionali sistemi di pensiero usciti dalle ceneri della guerra mondiale. Pedina fondamentale di questo puzzle è la figura dei Giusti tra le nazioni, utilizzati per l’appunto in questa chiave di Shoah-washing per costruire una narrazione nuova, positiva e utilizzabile pubblicamente.
I Giusti diventano uno dei perni di questa riscrittura, infatti essi non vengono presentati per quello che sono stati, ovvero singoli eroi silenziosi che a sprezzo del pericolo, mettendo a repentaglio la vita propria e quella dei propri cari, hanno salvato, o tentato di salvare, gli ebrei dal loro destino di morte. I Giusti tra le nazioni, figura voluta da Moshe Bejski – ebreo polacco-israeliano sopravvissuto alla persecuzione grazie all’intervento di Oskar Schindler – e istituzionalizzata dallo stato d’Israele nel 1962, esprimono un grande concetto figlio di quella esperienza.
I Giusti rappresentano la libertà di pensiero e d’azione, essi ci forniscono l’esempio che è sempre possibile agire secondo coscienza, anche quando, come nella prima metà del Novecento, i totalitarismi dominavano le masse attraverso aggressive compagne di propaganda e la coercizione forzata messa in pratica con un uso sistematico della violenza e della repressione del dissenso. Essi sono stati delle mosche bianche all’interno di questo panorama di consenso diffuso.
Deformare i fatti
I negazionisti ci forniscono una lettura diversa, essi insistono, al contrario, sul fatto che aiutare gli ebrei fosse la posizione predefinita della loro nazione. Affermano che la società polacca o quelle ungherese, ucraina o lituana hanno fatto del loro meglio per salvare i loro concittadini ebrei nel momento del bisogno, cosa che naturalmente non è vera, anzi.
Nelle intenzioni dei promotori e di quelle di vari sopravvissuti, valorizzare questo comportamento doveva anche essere uno sprone a diventare Giusti, doveva stimolare e incoraggiare le persone a essere tali, arrivando a contemplare pure aspetti redentori, come nominare Giusti anche soldati tedeschi o addirittura SS.
Oggi si è andati ben oltre. A Treblinka, nel 2021, lo stato polacco ha eretto un monumento a un polacco che fu fucilato “per aver portato acqua ai treni della morte”, quando invece decine di testimonianze ci dicono il contrario, ovvero che i polacchi speculavano sugli ebrei appena scaricati alla stazione del famigerato campo di sterminio. Al di là del processo di attestazione di questi fatti, vi è un enorme problema politico di deformazione e percezione di un fatto, di un luogo e di una narrazione.
In questo modo non solo si scrive una storia priva di ogni complessità, e quindi non attendibile, ma si strumentalizza la figura dei Giusti tra le nazioni. Con queste storpiature sono equiparati alle persone “buone”, ma essi furono molto di più, furono coraggiosi e indipendenti, andarono letteralmente controcorrente, perché per compiere quei gesti essi compirono veri e propri reati, erano a tutti gli effetti fuorilegge.
Non riuscire a mettere a fuoco questo passaggio, ovvero che i Giusti per essere tali sono andati contro la legislazione del tempo, non permette di capire uno dei passaggi fondamentali del perché la Shoah è considerata un evento senza precedenti nella storia dell’uomo.
Questa caratteristica denota il fatto che in quegli anni vi fu un vero e proprio sovvertimento del diritto positivo, dove il crimine era eletto a legge e viceversa la giustizia, come l’intendiamo noi oggi, non era contemplata, ma era suddita dei diritti provenienti, o meno, dalla razza.
Ed è da fuorilegge che hanno agito, Osman Carugno, Carlo Angela, Giacomo Bassi e Odoardo Focherini in Italia oppure Aristides de Sousa Mendes, Chiune Sugihara, Feng-Shan Ho, Giorgio Perlasca o Raoul Wallenberg in Europa, solo per fare alcuni esempi.
Anche in Italia
Questo Shoah-washing sta avvenendo anche in Italia. Molte modalità del governo polacco dell’ex premier Mateusz Morawiecki sono state fatte proprie dalla destra italiana, come dimostrano le recenti inchieste giornalistiche di Fanpage.
L’attuale iper vicinanza dei leader di destra al governo di Israele non significa necessariamente che l’antisemitismo sia morto in quegli ambienti, anzi conferma un’antica previsione di Theodor Herzl. Nella sua opera fondativa del sionismo, Lo Stato degli ebrei (1896), quest’ultimo affermò che «gli antisemiti saranno i nostri amici più sicuri e i paesi antisemiti i nostri alleati».
Con questi stretti rapporti si tenta di cancellare il fatto storico che il fascismo italiano, in particolare quello di Salò, fu uno stretto e operoso collaboratore del nazismo nella persecuzione dei diritti e delle vite degli ebrei. Nel contempo si vuole resuscitare l’ossimoro dei sionisti antisemiti, che complicano ancora di più il già complicatissimo panorama odierno.
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