“Così eredità, clientelismo e potere monopolistico alimentano le fortune di un’oligarchia di miliardari. Mentre i poveri hanno smesso di diminuire”

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Per qualcuno il 2024 è stato un anno da incorniciare. Requisito principale: essere già molto ricco, meglio se miliardario. Le poco più di 3mila persone al mondo che corrispondono all’identikit hanno visto le loro fortune crescere di 2 milioni di dollari al giorno. Quelle di Elon Musk e Mark Zuckerberg, casualmente entrambi a Washington per la cerimonia di insediamento di Donald Trump, sono cresciute rispettivamente del 31% e 69% arrivando a superare i 330 e 198 miliardi. Jeff Bezos, anche lui all’Inauguration day, è salito a quota 219. Le cose sono andate così bene che, continuando così, entro un decennio almeno cinque membri del “club” diventeranno trilionari, raggiungendo un patrimonio di 1000 miliardi. Per chi invece si trova in povertà la vita negli ultimi 12 mesi è cambiata molto poco, come negli ultimi 35 anni: se la percentuale di popolazione mondiale che ha a disposizione meno di 6,85 dollari al giorno è diminuita, il numero assoluto resta invariato a circa 3,5 miliardi di persone, il 44% dell’umanità. Sono i risultati, scrive Oxfam nel suo annuale rapporto sulla disuguaglianza globale, di un “sistema economico estrattivo” che perpetua disparità risalenti al colonialismo e in cui una “oligarchia miliardaria” sfrutta clientele e potere monopolistico per aumentare le proprie rendite.

Il report, che come sempre esce mentre a Davos inizia il Forum dell’élite politica e finanziaria, si intitola non a caso “L’ora più buia per l’uguaglianza“. E smentisce una serie di luoghi comuni e verità presunte su ricchezza e povertà. Davvero la globalizzazione ha avuto successo nel ridurre la povertà estrema? In realtà a calare è stato solo il numero degli indigenti estremi che devono tirare avanti con 2,15 dollari al giorno a parità di potere d’acquisto, una soglia di per sé insufficiente come benchmark di una vita dignitosa secondo molti commentatori. Peraltro i progressi registrati dipendono interamente dalle performance della sola Cina. Dove nel frattempo la povertà relativa è al contrario aumentata. Per non dire del rischio di sottostima della povertà legato alla sottovalutazione dell’inflazione che colpisce i beni essenziali.

Quanto alla grande ricchezza, lo spin che la riconduce interamente a merito, capacità imprenditoriale e propensione al rischio non regge alla prova dei fatti. Il 36% della ricchezza dei miliardari è ereditata e tutti i miliardari under 30 lo sono grazie ai genitori, trend destinato a montare nei prossimi anni per banali ragioni anagrafiche. Un trasferimento che in gran parte non sarà tassato, grazie a legislazioni compiacenti (come quella italiana). In più molto speso la ricchezza è legata a doppio filo a relazioni clientelari con il potere oliate dall’attività di lobbying e da finanziamenti all’informazione, quando non dal diretto possesso di mezzi di comunicazione. L’Economist ha stimato che tra 1998 e 2023 la ricchezza dei “capitalisti clientelari” sia aumentata da 315 a 3mila miliardi di dollari. A questo si aggiunge l’impatto del potere monopolistico delle imprese possedute o guidate dai molto ricchi, vedi la Amazon di Bezos che ha il 70% del mercato degli acquisti online in Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. Dal quasi monopolio deriva un maggior potere contrattuale. Il risultato finale, argomenta Oxfam è una redistribuzione alla rovescia dai lavoratori agli azionisti.

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Il contesto in cui le disuguaglianze prosperano è poi quello di uno sbilanciamento di potere politico, finanziario e commerciale tra Nord e Sud del mondo. Nazioni Unite, agenzie di sviluppo globali e istituzioni finanziarie internazionali sono dominate dai Paesi sviluppati. Il sistema di tassazione internazionale, plasmato da quel “club dei ricchi” che è l’Ocse, è iniquo e lascia prosperare paradisi fiscali e abusi, anche se i negoziati per una nuova Convenzione quadro Onu sulla cooperazione fiscale hanno aperto uno spiraglio. Gli accordi commerciali internazionali e le regole del Wto costringono i Paesi del Sud ad aprire i loro mercati e adottare norme “favorevoli agli investimenti”, spesso con effetti deleteri per la popolazione. Il settore finanziario è dominato da pochi Paesi del Nord del mondo le cui agenzie di rating possono condizionare i costi di finanziamento di tutti gli Stati. Compresi quelli gravati da un enorme debito coloniale, a cui il Fmi impone ricette liberiste che tendono ad aumentare povertà e squilibri nella distribuzione dei redditi. Oxfam stima che, in una serie di Paesi poveri, “per ogni dollaro USA che il Fmi ha incoraggiato a spendere in beni pubblici, il Fondo ha imposto di tagliare quattro volte tanto attraverso misure di austerità“. A questo vanno aggiunte le spinte alla finanziarizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici, a partire da sanità e istruzione.

Le multinazionali dal canto loro mettono in atto una sorta di nuovo colonialismo economico che passa per il controllo delle catene di approvvigionamento, lo sfruttamento della manodopera a basso costo e delle riserve minerarie, il predominio su dati e risorse digitali che consente tra l’altro di influenzare le opinioni pubbliche nella sfera politica, culturale ed economica. Un sistema che drena ricchezza dal Sud al Nord in una misura difficile da quantificare. Alcuni studiosi ci hanno provato e il rapporto ne dà conto: il predominio delle valute del Nord nel sistema dei pagamenti internazionali e i costi di finanziamento più bassi nei Paesi ricchi “costano” al Sud 1.000 miliardi l’anno e i lavoratori del Sud globale nel solo 2021 sono stati impiegati per 826 miliardi di ore non retribuite, per un valore di 16.900 miliardi di euro. Nel frattempo i Paesi a basso e medio reddito spendono oggi in media quasi la metà del loro bilancio per rimborsare il debito estero.

Una maggiore equità, fa notare Oxfam, non contribuirebbe solo ad aumentare la velocità di riduzione della povertà, ma è anche l’unica strada possibile per salvare il pianeta perché frenerebbe i consumi dell’1% più ricco, responsabile di emissioni di Co2 pari a quelle del 66% più povero. Meno disuguaglianza è associata peraltro a livelli minori di corruzione, più libertà di stampa, livelli di criminalità più bassi, dibattito pubblico meno polarizzato. Per essere ottimisti su come andrà il 2025 ci vuole però un bello sforzo di immaginazione dopo la rielezione di Donald Trump, le cui politiche vanno in direzione contraria alla promozione dell’uguaglianze e sono destinate ad aumentare i divari economici e sociali.



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