“Testa del Serpente”, quattro giudizi ribaltati e la rideterminazione per i “Banana”

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COSENZA L’analisi della sentenza emessa in secondo grado nei confronti degli imputati coinvolti prima nell’operazione e poi nel processo “Testa del Serpente” parte dalle assoluzioni. Quattro quelle decise dalla Corte d’Appello di Catanzaro, che lunedì 14 gennaio, dopo quattro ore di camera di consiglio ha emesso il verdetto. Franco Casella, Paco Germano, Andrea Greco e Domenico Iaccino sono stati assolti dopo aver ricevuto pesanti condanne in primo grado.

Gli assolti e il commento dei legali

Per Casella (difeso dagli avvocati Vincenzo Belvedere Jr e Giuseppe Belcastro) la pena inflitta dal tribunale di Cosenza era stata di 6 anni e 2 mesi e nei suoi confronti l’accusa era di aver partecipato ad una richiesta estorsiva «reiterata» presentandosi a nome di «Luigi Abbruzzese detto “Banana”» e procedendo con l’intimidazione nei confronti della parte offesa alla quale veniva richiesto di liberare un terreno. Sarebbe stato sempre Casella, per chi indagava, ad intimare la dazione di 20mila euro al “fratello” Roberto Porcaro. Inoltre l’imputato, ieri assolto, avrebbe rivolto minacce di morte nei confronti della presunta vittima di estorsione. I legali di Casella, al Corriere della Calabria, si dicono soddisfatti «perché questo processo fin dall’inizio aveva mostrato delle lacune pur portando ad una sentenza di condanna in primo grado. Che fosse ingiusta lo ha dimostrato la Corte d’Appello di Catanzaro dando assolutamente credito alla tesi di totale estraneità di Casella, da questa vicenda e da altre, sempre sostenuta».
Paco Germano (difeso dall’avvocata Fiorella Bozzarello), invece, era ritenuto «vero e proprio factotum di Roberto Porcaro», e per l’ex reggente degli “Italiani” – secondo l’accusa – avrebbe partecipato ad episodi relativi ad alcune richieste estorsive.
In primo grado Andrea Greco (difeso dall’avvocata Giorgia Greco) aveva subito una condanna a 9 anni e sei mesi. Anche nel suo caso, i giudici della Corte d’Appello hanno ritenuto evidentemente non congrua la decisione in primo grado ribaltando il verdetto e decidendo per la sua assoluzione. Estorsione e lesioni aggravate dal metodo mafioso ai danni di Antonio Russo, questa la vicenda addebitata a Greco e riferita alla vendita di un terreno che Russo aveva occupato abusivamente e del quale pretendeva la proprietà.
Domenico Iaccino (difeso dall’avvocato Cristian Cristiano) rispondeva in concorso con Marco Abbruzzese della detenzione illegittima di una pistola calibro 9×21 con relativo munizionamento ma soprattutto di aver preso parte ad un proposito omicidiario. «Giunge con quasi tre anni di ritardo una sentenza di assoluzione che, alla luce di un’istruttoria univocamente indirizzata verso l’innocenza di Iaccino, accusato di aver fatto da palo nel tentato omicidio Muoio, doveva essere pronunciata già dai giudici del tribunale di Cosenza, di contro appiattiti, all’epoca, verso una tesi rimasta assolutamente indimostrata: tesi che era stata sorretta, per come scritto dal collegio giudicante, dalle presunte affermazioni di un collaboratore – Vincenzo De Rose – che mai aveva parlato della propria presenza sul luogo teatro dell’evento e al momento dell’esplosione dei colpi di arma da fuoco», dice l’avvocato Cristiano. «Tesi, ancora, che era stata avallata dall’aver individuato i presunti riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori nel fatto che Celestino Abbruzzese avesse in uso una determinata macchina – affermazione che ancora oggi basisce non comprendendo come il dichiarare di avere in uso un auto possa essere un riscontro alla credibilità del dichiarante salvo voler ipotizzare che chiunque di noi non sappia neanche che macchina usi – o che avesse utilizzato per la fuga una moto poi data alla fiamme ma mai rinvenuta nel presunto luogo in cui era stata abbandonata e risultata, guarda caso, circolante anche negli anni successivi al presunto rogo», conclude il legale.

Il clan Abbruzzese

Pene rideterminate e riviste al ribasso per Luigi Abbruzzese, Nicola Abbruzzese, Marco Abbruzzese e Franco Abbruzzese. Il gruppo dei “Banana” con al vertice Luigi – secondo l’accusa – farebbe parte della mala confederata cosentina. Numerosi gli episodi segnalati a loro carico: richieste di somme di denaro, aggressioni, e ferimenti legati al controllo delle piazze di spaccio. Lo stesso gruppo sarebbe collegato ai cugini Abbruzzese di Cassano allo Jonio. I sodalizi sono particolarmente attivi in ogni campo dell’attività criminale, dal racket, all’usura, ai danneggiamenti, ai pestaggi, allo spaccio di ogni tipo di sostanza stupefacente, alla gestione del gioco d’azzardo, si riorganizzano a seguito del “vuoto di potere” creatosi sul territorio al termine del processo “Nuova Famiglia” del 2014. A confermare l’operatività sono stati, oltre agli accertamenti investigativi, anche numerosi collaboratori di giustizia: Luciano Impieri, Ernesto e Adolfo Foggetti, Daniele Lamanna, Giuseppe Montemurro, Luca Pellicori, Vicenzo De Rose, Francesco Noblea, Giuseppe Zaffonte ed infine i due ex membri dei “Banana” Celestino Abbruzzese detto “Micetto” e la moglie Anna Palmieri.
La Corte d’Appello ha riconfermato in toto il giudizio di primo grado emesso nei confronti di Antonio Abbruzzese, Claudio Alushi, Giovanni Drago, Adamo Attento e Antonio Marotta. (f.b.)

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